Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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La notizia di reato: sagoma, tempi di iscrizione e controlli (di Chiara Fanuele, Professore associato di Diritto processuale penale – Università di Siena)


Al fine di ovviare all’eccesiva durata dei procedimenti penali italiani, la c.d. “riforma Cartabia” ha provveduto anche in relazione alle indagini preliminari: ha disposto che il legislatore delegato introduca un controllo giurisdizionale sulla tempestiva iscrizione oggettiva e soggettiva delle notizie di reato. In particolare, proprio la verifica giudiziale sulla “tempestività” delle iscrizioni (cui si è aggiunto l’ulteriore eventuale controllo circa la richiesta del pubblico ministero di proseguire le investigazioni sul caso già archiviato) è diretta ad evitare che l’accusa, semplicemente ritardando l’iscrizione della notitia criminis, possa riuscire ad aggirare l’articolato sistema dei termini di durata massima delle indagini preliminari, con evidenti ripercussioni negative sulla complessiva tempistica processuale. Occorre verificare, però, innanzitutto, se siffatta direttiva possa portare a pregiudicare l’autonomia funzionale del pubblico ministero; per, poi, affrontare gli interrogativi che attengono ai futuri aspetti applicativi della riforma.

 

News of crime: outline, times of registration and controls

In order to reduce the excessive length of criminal proceedings, the so called “Cartabia reform” has also introduced provisions with regards to preliminary investigations, i.e., the introduction by the delegated legislator of a jurisdictional control over the prompt registration of the news of crime and of the name of the suspect. In particular, the judicial control concerning the “prompt” registration added to the further possible control regarding the public prosecutor’s request to continue the investigations into the already filed case, aims at ensuring compliance with the complex system of the maximum terms of duration of preliminary investigations. It may happen, in fact, that the prosecutor simply delays the registration of the notitia criminis, thus negatively affecting the overall timing of the procedure. Nevertheless, it is necessary to investigate first if such provision could undermine the public prosecutor’s functional autonomy and then face those issues concerning future application aspects of this reform.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il sindacato giurisdizionale sulle “datazioni” delle notizie di reato - 3. Una prima valutazione dell’istituto di futura vigenza - 4. L’“iscrizione coatta” del nome della persona indagata nel registro delle notizie di reato - 5. I presupposti per la riapertura delle indagini - 6. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Premessa

Una delle parti certamente più significative della legge 27 settembre 2021, n. 134 [1] è la regolamentazione di cui all’art. 1, comma 9, lett. da p) a t), ove si stabiliscono criteri normativi volti a far introdurre un meccanismo di verifica giudiziale sull’iscrizione delle notizie di reato (con implicito riferimento alle ipotesi in cui queste risultassero mancanti, intempestive, oppure perfino eccessive) [2]; nonché a far fissare i parametri per un più penetrante controllo, da parte del giudice, nel caso in cui il pubblico ministero richieda d’essere autorizzato a riprendere le investigazioni su un caso già archiviato. In sostanza, si tratterà di un sindacato giurisdizionale (riguardante il momento iniziale del procedimento penale oppure quello successivo alla sua chiusura con un provvedimento di archiviazione), diretto ad evitare surrettizie elusioni relativamente ai termini di durata massima delle indagini preliminari; e ciò, al fine ultimo di assicurare la “ragionevole durata dei processi penali” (art. 111, comma 2, Cost.), che dipende, spesso, dalla efficienza e dalla tempestività delle autorità competenti nello svolgimento delle attività preistruttorie.


2. Il sindacato giurisdizionale sulle “datazioni” delle notizie di reato

Secondo il testo delle direttive in commento, il Governo è delegato ad attribuire al giudice il potere di: a) accertare la veridicità della data di iscrizione della notizia di reato oggettivamente qualificata e del nome della persona indagata; b) nel caso di «ingiustificato e inequivoco ritardo» verificatosi nella suddetta iscrizione, retrodatare l’iscrizione stessa. Tali funzioni potranno essere esercitate, su richiesta motivata di chi vi abbia interesse, entro un termine che dovrà essere fissato dal futuro decreto legislativo delegato; il dies a quo, fissato a pena di inammissibilità, decorrerà «dalla data in cui l’interessato [avrà avuto la] facoltà di prendere visione degli atti che imporrebbero l’anticipazione della notizia a suo carico» (art. 1, comma 9, lett. q). In sostanza, la direttiva di cui alla lett. q) del citato art. 1, comma 9, delinea – nell’ottica delle coordinate espresse dalla proposta presentata dal Ministro della giustizia On. Bonafede [3] e, poi, da quella della “Commissione Lattanzi” [4] – una soluzione (che da tempo la dottrina era andata sollecitando) relativa ad una questione dalle rilevanti implicazioni garantistiche. In effetti, nella concreta esperienza, non è raro il caso in cui, al momento d’iscrizione della notizia, non sia nota ancora l’identità del colpevole. L’attività d’investigazione comporta, in capo a chi la svolge, un cambiamento, una evoluzione delle conoscenze: da un atto iniziale (nella fattispecie de qua l’iscrizione nell’apposito registro dell’informazione relativa ad un fatto qualificato come reato dal pubblico ministero), l’attività d’inchiesta progredisce continuamente tramite l’acquisizione di ulteriori cognizioni utili alla ricostruzione del fatto (anzitutto, per risalire all’identità dell’autore). Quindi, il suddetto atto iniziale ha un’efficacia polivalente: esso è notizia di reato oggettivamente qualificata e spunto investigativo per identificare il colpevole [5]. In altri termini, il progressivo sviluppo delle indagini contro ignoti può consentire di acquisire nuovi dati, tali da incidere sulla dinamica del procedimento: una volta che, tramite gli atti compiuti, venga comunque individuato il possibile autore del fatto penalmente illecito, [continua ..]


3. Una prima valutazione dell’istituto di futura vigenza

Prima facie la previsione d’una verifica giudiziale circa la tempestività o non dell’iscrizione concernente il nome della persona indagata nel registro delle notizie di reato (v. art. 335 c.p.p.) non pare pregiudicare l’autonomia funzionale del pubblico ministero [11]. Difatti – conformemente all’opinione da tempo prevalente nella dottrina [12] –, rientra nelle attribuzioni del giudice per le indagini preliminari il controllo sulla correttezza del magistrato inquirente nel provvedere alla menzionata iscrizione [13]. Infatti, un sindacato giurisdizionale sulle eventuali iscrizioni “tardive” potrebbe assicurare il rispetto del principio di obbligatorietà dell’azione penale [14], e costituire una verifica circa la condotta dell’accusa simile all’accertamento concernente la richiesta del pubblico ministero per far prorogare il termine utile per le investigazioni; oppure alla sua domanda di riaprirle dopo un provvedimento di archiviazione. Peraltro, la giurisprudenza [15] ha finora evitato di riconoscere al giudice un simile potere, adducendo motivi di carattere sia sistematico che esegetico-letterale [16]. Resta, però, fatto innegabile che il codice di procedura penale vigente, nell’intento di contemperare il carattere di celerità delle indagini con la loro necessaria completezza per le più adeguate determinazioni circa l’esercizio dell’azione penale, ha fissato termini di durata massima dell’attività investigativa (art. 405 c.p.p.); il cui rispetto non può essere assicurato che dal controllo cui è deputato l’organo giurisdizionale, chiamato a verificare l’effettiva sussistenza delle condizioni per concedere le richieste proroghe. Del resto, anche la disciplina di cui all’art. 414, se correttamente intesa, può essere applicata in modo da evitare che, per eludere i suddetti termini, si operino, successivamente all’archiviazione, arbitrarie riattivazioni della macchina giudiziaria. Si tratta – a ben riflettere – della stessa esigenza al cui soddisfacimento pare indirizzato anche il “nuovo” controllo giurisdizionale sulle iscrizioni “intempestive”. Insomma, si tratta di tre tipi di attribuzione, demandati al medesimo organo giurisdizionale, che sembrano tutti diretti a garantire, tramite una verifica ex post, la [continua ..]


4. L’“iscrizione coatta” del nome della persona indagata nel registro delle notizie di reato

La direttiva di cui all’art. 1, comma 9, lett. r) – orientata anch’essa al soddisfacimento di esigenze garantistiche, cioè ad evitare la mancata iscrizione di notitiae criminis significative anche sotto il profilo soggettivo – prescrive di attribuire al giudice per le indagini preliminari il potere, esercitabile anche ex officio, di ordinare al pubblico ministero di iscrivere nel registro delle notizie di reato il nome di una persona non ancora indagata. Invero, questo criterio, una volta attuato dal legislatore delegato con una disposizione ad hoc, potrebbe eliminare alla radice una questione da tempo discussa: la possibilità o non, per il giudice per le indagini preliminari, di ordinare al pubblico ministero la formulazione dell’imputazione nei confronti di altri soggetti non indagati, per i quali la pubblica accusa non abbia formulato alcuna richiesta di archiviazione (art. 409, comma 4, c.p.p.). Difatti, secondo un risalente orientamento giurisprudenziale [36] – disatteso da una più recente pronuncia delle Sezioni unite [37] – il giudice per le indagini preliminari può ordinare al pubblico ministero di formulare l’imputazione nei confronti di una persona diversa da quella individuata dall’organo inquirente. Questa soluzione è stata criticata dalla dottrina [38], per la quale tale esegesi risulta lesiva del diritto alla difesa (art. 24, comma 2, Cost.) di suddetta persona: essa si trova ad essere identificata ex actis come possibile imputato, senza che le sia mai stato contestato, preliminarmente, alcun addebito, né avere potuto svolgere la propria attività partecipativa, né esercitare i propri poteri sollecitatori (ad es., la facoltà di presentare memorie) durante l’udienza camerale instauratasi conseguentemente al mancato accoglimento, da parte del giudice per le indagini preliminari, della richiesta di archiviazione. Per di più – a ben riflettere – il diritto di difesa dell’imputato sarebbe violato anche sotto un altro profilo: secondo la dottrina dominante [39], nel caso dell’imputazione coatta, l’instaurazione della fase processuale non deve essere preceduta dall’avviso di cui all’art. 415-bis c.p.p. Per risolvere le difficoltà poste dall’ipotesi de qua, è stata elaborata dalla dottrina la seguente soluzione: il giudice per le indagini [continua ..]


5. I presupposti per la riapertura delle indagini

La legge 134/2021, all’art. 1, comma 9, lett. t), obbliga a «prevedere criteri più stringenti ai fini del­l’adozione del decreto di riapertura delle indagini di cui all’art. 414 c.p.p.». Viene agevolmente da pensare che sulla formulazione di questa direttiva abbia pesato anche quanto deciso dalla Cassazione in materia di riapertura delle indagini; la cui interpretazione più recente dell’art. 414 c.p.p. [42] esclude che la richiesta di autorizzazione a riaprire le indagini possa essere basata su di una mera rilettura del materiale indiziario valutato per dichiarare infondata la notizia di reato; e nega che un eventuale decreto autorizzativo possa limitarsi a considerare diversamente quel materiale. In questo senso, si adduce che l’art. 414 prescrive una motivazione “tipizzata”, cioè, focalizzata sull’e­sigenza di investigazioni “nuove” (nel senso di “altre” rispetto a quelle già svolte). Occorre, invece – secondo i giudici di legittimità – un quid novi, che può anche consistere in risultati modesti, purché questi, valutati unitamente al materiale preesistente, possano giustificare un sostanziale ribaltamento del quadro indiziario, secondo la regola, in materia di prova indiretta, espressa dal brocardo quae singula non probant et unita probant. Va nondimeno menzionata anche un’interpretazione estensiva dell’art. 414 [43]: “nuove” sarebbero tutte quelle investigazioni che, per qualsiasi motivo, non siano state effettuate in precedenza, anche se le stesse sarebbero potute essere svolte prima della richiesta di archiviazione. Di conseguenza, si ritiene che il pubblico ministero possa venire autorizzato a svolgere nuove indagini per completare le precedenti anche qualora siano ormai scaduti i termini di durata massima per queste ultime stabiliti (e perfino quando tale inutile decorso dipenda dallo scarso zelo dell’inquirente) [44]. Infine – secondo un indirizzo “intermedio” – l’istituto in esame è utilizzabile per colmare precedenti lacune investigative; ma le “nuove indagini” non possono basarsi su di una valutazione diversa dei risultati di quelle già compiute [45]. Al fine di porre termine ad ogni incertezza esegetica, l’art. 1, comma 9, lett. t) cit. prescrive al futuro legislatore di fissare [continua ..]


6. Considerazioni conclusive

In definitiva, le commentate direttive della “riforma Cartabia” sembrano accumunate dall’intento di rafforzare la funzione di controllo e di garanzia del giudice per le indagini preliminari. Difatti, – occorre sottolinearlo – durante la fase preliminare, prima che venga formulata l’imputazione, il giudice esercita una giurisdizione senza (previa) azione: in sostanza, cioè, una giurisdizione di garanzia [48]. La terzietà e l’imparzialità, che caratterizzano istituzionalmente la figura del giudice, escludono un suo “coinvolgimento” nelle indagini; l’organo giurisdizionale non ha poteri investigativi, perché la funzione inquirente è riservata al pubblico ministero. In altri termini, nel nostro sistema, quanto alla fase investigativa, il giudice non può costituire un “ausiliario” o un “doppione” del pubblico ministero. Quindi, la giurisdizione ante iudicium, attribuita nel nostro ordinamento ad un organo ad hoc, assolve, essenzialmente, ad una funzione di garanzia e di controllo sull’attività dell’accusa diretta a realizzare un equo bilanciamento tra libertà e autorità [49]. Pertanto, sembra che il sindacato cui è chiamato il giudice nell’ipotesi di cui all’art. 414 c.p.p. – differentemente da quello richiesto ai fini dell’archiviazione, volto a garantire l’obbligatorietà dell’azione penale – si caratterizzi anch’esso come una più specifica funzione di garanzia, nei confronti di chi – attesa l’efficacia solo parzialmente preclusiva dell’archiviazione [50] – potrebbe vedersi nuovamente sottoposto ad indagini per lo stesso fatto e indipendentemente dalla sopravvivenza di nuovi elementi probatori a suo carico. Quindi, anche sotto questo profilo, pare condivisibile la proposta di prevedere presupposti “più stringenti” per la riapertura delle indagini. Infine, pare auspicabile che i decreti attuativi della legge delega individuino modalità di controllo, corredate da adeguate sanzioni, sulle scelte compiute dal pubblico ministero nel momento di iscrizione della notizia di reato. Non è, infatti, concepibile, in un sistema in cui sono stabiliti termini di durata massima dell’attività investigativa (art. 405 ss.), la mancanza di un sindacato giurisdizionale [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2022