Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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A quarant'anni dall'assassinio dell'avv. Fulvio Croce: autodifesa e difesa d'ufficio in due storici processi (di PAOLO FERRUA Professore di Procedura penale - Università degli Studi di Torino)


L'assistenza del difensore non è solo un diritto, ma una imprescindibile condizione di regolarità del processo, che non può essere soppressa, quale che sia la volontà dell'imputato; di qui l'obbligo di nomina di un difensore d'uf­ficio all'imputato che sia privo di quello di fiducia. Resta il delicato problema dei rapporti tra imputato e difensore d'ufficio nell'elaborazione della linea difensiva, con diverse soluzioni a seconda che l'imputato accetti il processo, riconoscendone implicitamente la legittimità, o assuma un atteggiamento di radicale contestazione riconducibile alla logica del processo di ‘rottura'. Sul tema preziose indicazioni si ricavano dall'analisi di due processi storici: quello a Charlotte Corday nella Francia rivoluzionaria e quello di Torino al nucleo storico delle ‘brigate rosse'.

Forty years from the assassination of the attorney Fulvio Croce: self-defense and court-appointed legal aid in two historic trials

Assistance by a lawyer is not only a right of the accused, but also condition of a due process of law. This is the main reason for the appointing of a lawyer regardless of the defendants will. Certainly situations may be very different one from the other, depending on whether the defendant recognizes the authority and the legitimacy of the State. Perfect examples of such cases where the trial for Charlotte Corday in revolutionary France and the trial for the “Red Brigades” held in TurinA quarant’anni dall’assassinio dell’avv. Fulvio Croce: autodifesa e difesa d’ufficio in due storici processi.

IL PROCESSO TORINESE ALLE BRIGATE ROSSE Fu in occasione del processo al nucleo storico delle Brigate Rosse, apertosi a Torino il 17 maggio 1976, che emerse con grande drammaticità la questione se si potesse concedere l’autodifesa esclusiva all’imputato che rifiutasse l’assistenza del difensore; o se, invece, quest’ultima dovesse comunque essere imposta come obbligatoria. Riepiloghiamo rapidamente la vicenda. All’apertura di quel processo l’imputato Maurizio Ferrari, a nome di tutti gli imputati detenuti, lesse un comunicato: «Ci proclamiamo pubblicamente militanti dell’organizzazione comunista Brigate Rosse. E come combattenti comunisti ci assumiamo collettivamente e per intero la responsabilità politica di ogni sua iniziativa passata presente e futura. Affermando questo viene meno qualunque presupposto legale per questo processo. Gli imputati non hanno niente da cui difendersi. Mentre al contrario gli accusatori hanno da difendere la pratica criminale antiproletaria dell’infame regime che essi rappresentano. Se difensori, dunque, devono esservi, questi servono a voi egregie eccellenze. Per togliere ogni equivoco revochiamo perciò ai nostri avvocati il mandato per la difesa e li invitiamo, nel caso fossero nominati d’ufficio, a rifiutare ogni collaborazione con il potere [...]». Il Presidente della Corte d’assise Guido Barbaro, di concerto con il Consiglio dell’ordine degli Avvocati, procedette alla nomina dei difensori d’ufficio. Gli imputati, però, dichiararono di non accettare la nomina e fecero presente che «qualora i difensori accettassero la nomina, saranno ritenuti come collaborazionisti del regime, con le conseguenze che ne potranno derivare». A seguito di quest’ultimo comunicato, i nuovi difensori d’ufficio nominati dalla Corte, in occasione della seconda udienza del 24 maggio 1976, rimisero a loro volta il mandato. A questo punto, come prevedeva l’art. 130 del c.p.p. 1930, il Presidente della Corte d’assise incaricò della difesa l’avv. Fulvio Croce, Presidente dell’Ordine degli avvocati di Torino. Questi accettò l’inca­rico e scelse, tra i consiglieri dell’ordine, gli altri difensori tra cui l’avv. Franzo Grande Stevens come difensore di Renato Curcio. All’udienza del 25 maggio 1976 gli imputati riaffermarono il loro rifiuto della difesa leggendo un nuovo comunicato contenente minacce contro Fulvio Croce ed i legali da esso delegati: «Gli avvocati nominati dalla corte sono di fatto degli avvocati di regime. Essi non difendono noi, ma i giudici. In quanto parte organica ed attiva della contro-rivoluzione, ogni volta che prenderanno iniziative a nostro nome agiremo di conseguenza». Nel corso dell’udienza, come pure in quella del 26 maggio, ogni volta che i legali d’ufficio presero la parola furono [continua..]

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Fascicolo 6 - 2018