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Prescrizione del reato e inerzia del pubblico ministero: nuove prospettive e limiti dei diritti della vittima nelle indagini preliminari
di Martina Aloisi, Dottore in giurisprudenza
Il 18 marzo 2021 la Corte e.d.u. è tornata ad occuparsi della posizione giuridica rivestita nell’ordinamento italiano dalla persona offesa prima dell’esercizio dell’azione penale, riscontrando l’avvenuta violazione del suo diritto di accesso a un tribunale e di quello alla ragionevole durata del procedimento nel caso in cui, a causa dell’inerzia del titolare delle indagini, il reato si fosse prescritto nella fase delle indagini preliminari. La decisione in commento consente di riaprire il dibattito su due temi che appaiono strettamente correlati: l’interesse di giustizia della vittima del reato, origine di diritti partecipativi che prescindono dalle eventuali richieste civilistiche, e la configurabilità in capo al pubblico ministero di un vero e proprio obbligo di attivazione in tempi ragionevoli, conseguente all’esercizio dei diritti della persona offesa.
On 18th March 2021 the ECHR re-examined the legal position of the victim of an offence before the institution of a criminal prosecution in Italian law, thus declaring the violation of the right of access to a court and of the right to trial within reasonable time when the prosecution became time-barred because of the inactivity of the public prosecutor. This decision allows for new discussion on two relevant issues which appear strictly connected with each other: the interest of justice of the victim of an offence, which is the origin of participatory rights unrelated from reparation, and the possibility to commit the public prosecutor to investigate within a reasonable time.
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Durata irragionevole delle indagini, prescrizione del reato e diritto di accedere al giudice
L’indagine per un fatto non complesso che si dilunghi inutilmente viola il diritto della persona offesa ad una celere risposta dell’autorità dinanzi alla denuncia di fatti penalmente rilevanti; l’inerzia degli inquirenti nella gestione dell’accertamento ridonda negativamente sull’art. 6, §1 Cedu (ragionevole durata del procedimento) e si riverbera sulla posizione dell’offeso, che non ha strumenti effettivi per fare valere le proprie istanze e per sollecitare l’avvio di un giudizio penale sui fatti che lo hanno colpito, donde la contestuale infrazione, da parte dell’autorità nazionale, dell’art. 13 Cedu [nel caso di specie, alcun atto investigativo era stato compiuto per sei anni a seguito di una querela della vittima per diffamazione a mezzo stampa].
[Omissis]
INTRODUZIONE
1. La presente causa riguarda l’eccessiva durata delle indagini preliminari svolte nell’ambito del procedimento avviato dal ricorrente, l’assenza di un ricorso effettivo che consenta a quest’ultimo, in quanto parte lesa, di presentare delle doglianze a tale riguardo, e l’archiviazione della denuncia dell’interessato per intervenuta prescrizione del reato. Il ricorrente denuncia una violazione degli articoli 6 § 1, 8, 13 e 14 della Convenzione.
IN FATTO
2. Il ricorrente è nato nel 1951 e risiede a Caserta. È stato rappresentato dall’avvocato A. Imparato.
3. Il Governo è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora.
4. Il ricorrente è avvocato. All’epoca dei fatti, era anche presidente di una squadra di calcio, la «Casertana».
5. Il 22 luglio 2001 il giornale «Corriere di Caserta» pubblicò in prima pagina un articolo intitolato «Buco di mille miliardi "firmato" Petrella & Co.». L’articolo, accompagnato da una fotografia del ricorrente, conteneva il seguente passaggio: «L’amministrazione sanitaria locale e la regione si sono dissanguate in sei anni. Cifre a nove zeri per gli onorari del presidente della Casertana, Petrella, mentre il vice pretore onorario era [X], numero due della società, che ha fatto eseguire 6.066 pignoramenti, arricchendo così i suoi amici avvocati. (...). Sei anni di salassi nel bilancio della sanità pubblica ad opera di giudici e avvocati (guarda caso Petrella e [X], oggi presidente e vicepresidente della Casertana), [che] avranno ripercussioni per decenni». Il 23, 24 e 25 luglio 2001 il «Corriere di Caserta» pubblicò altri articoli con contenuto simile a quello del 22 luglio.
6. Ritenendo che gli articoli apparsi sul «Corriere di Caserta» avessero offeso il suo onore e la sua reputazione, il 28 luglio 2001 il ricorrente sporse denuncia per diffamazione a mezzo stampa contro il loro autore e il direttore di questo giornale, nonché contro il presidente e l’amministratore delegato della società editrice. Nella sua denuncia, presentata al procuratore di Santa Maria Capua Vetere, il ricorrente precisava che intendeva costituirsi parte civile nel procedimento e chiedere un risarcimento di 10 miliardi di lire italiane (ITL), ossia 5 milioni di euro (EUR). Inoltre, il ricorrente indicava di voler essere informato circa l’eventuale archiviazione della sua denuncia.
7. Il 10 settembre 2001 la causa fu deferita alla procura della Repubblica presso il tribunale di Salerno, competente ratione loci.
8. Con una decisione del 9 novembre 2006, comunicata al ricorrente il 2 dicembre 2006, il procuratore richiese l’archiviazione della denuncia dell’interessato per intervenuta prescrizione del reato denunciato.
9. Con decreto del 17 gennaio 2007, il giudice per le indagini preliminari di Salerno archiviò il procedimento, accogliendo la richiesta del procuratore.
IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI
10. Il diritto e la prassi interni pertinenti riguardanti la legge n. 89 del 2001 («la legge Pinto») sono descritti nelle sentenze Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23‑31, CEDU 2006-V) e Arnoldi c. Italia (n. 35637/04, §§ 15-19, 7 dicembre 2017).
11. Ai sensi dell’articolo 79 del codice di procedura penale (CPP), la parte lesa può costituirsi parte civile solo a partire dall’udienza preliminare, che costituisce il momento del procedimento in cui il giudice è chiamato a decidere se l’indagato debba essere rinviato a giudizio (si veda, per maggiori dettagli sullo status della parte lesa nel diritto italiano, Arnoldi, sopra citata, §§ 15-18).
12. L’articolo 55, comma 1, lettera a) del decreto-legge n. 83 del 22 giugno 2012 (successivamente convertito in legge, senza modifiche sul punto qui di seguito esposto, dalla legge n. 134 del 7 agosto 2012) ha introdotto nell’articolo 2 della legge Pinto un comma 2 bis che prevede, in particolare, che la durata del processo penale deve essere calcolata a partire dal momento in cui la persona lesa è ammessa al processo in qualità di parte civile. La Corte costituzionale, ritenendo tale comma compatibile con l’articolo 6 § 1 della Convenzione, con la sua sentenza n. 249 depositata il 25 novembre 2020, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sottoposta alla sua attenzione.
13. Ai sensi dell’articolo 127 delle disposizioni di attuazione del CPP, la segreteria del pubblico ministero deve trasmettere ogni settimana al procuratore generale presso la corte d’appello l’elenco delle notizie di reato per le quali la procura non ha esercitato l’azione penale o non ha richiesto l’archiviazione.
14. Gli articoli 405 e 406 del CPP prevedono dei termini per l’espletamento degli atti di indagine da parte della procura. Una volta scaduti i termini previsti per l’esercizio dell’azione penale o la presentazione di una richiesta di archiviazione delle accuse, ai sensi dell’articolo 413 del CPP, è consentito alla persona offesa chiedere al procuratore generale presso la corte d’appello di avocare l’indagine ai sensi dell’articolo 412 del CPP.
15. L’articolo 412 del CPP, in vigore all’epoca dei fatti, disponeva quanto segue nelle sue parti pertinenti nel caso di specie:
Articolo 412 - Avocazione delle indagini preliminari per mancato esercizio dell’azione penale
«1. Il procuratore generale presso la corte di appello dispone con decreto motivato l’avocazione delle indagini preliminari se il pubblico ministero non esercita l’azione penale o non richiede l’archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice. (...)
2. (...)»
16. L’articolo 413 del CPP è formulato come segue:
Articolo 413 - Richiesta della persona sottoposta alle indagini o della persona offesa dal reato
«1. La persona sottoposta alle indagini o la persona offesa dal reato può chiedere al procuratore generale di disporre l’avocazione a norma dell’articolo 412 comma 1 [del CPP].
2. Disposta l’avocazione, il procuratore generale svolge le indagini preliminari indispensabili e formula le sue richieste [richiesta di archiviazione o di esercizio dell’azione penale] entro trenta giorni dalla richiesta proposta a norma del comma 1.»
17. Il 27 marzo 2007 il Consiglio superiore della magistratura (CSM) è stato investito di una domanda riguardante la validità e l’interpretazione della sua precedente delibera del 16 luglio 1997 concernente la disciplina della avocazione delle indagini preliminari i cui termini siano scaduti. Con delibera del 12 settembre 2007 («Potere di avocazione del Procuratore generale presso la Corte d’appello»), il CSM ha innanzitutto rammentato di aver svolto un’indagine sugli approcci e sulle diverse pratiche adottate dalle procure generali e di aver concluso che il diritto interno non prevedeva alcun potere discrezionale del procuratore generale in materia di avocazione. Alla luce di questi elementi, pur precisando di essere «nella consapevolezza di come fosse impossibile per le Procure generali riuscire ad avocare tutte le indagini preliminari i cui termini fossero scaduti, per poi concludere le stesse nel breve termine di trenta giorni dalla disposta avocazione», il CSM ha osservato che la sua delibera del 1997 aveva indicato una soluzione pratica alla questione relativa ai criteri da adottare per selezionare i casi da avocare e che mirava a «fornire una soluzione ragionevole a una situazione che, altrimenti, [sarebbe potuta] diventare insostenibile, dato che le procure generali non [avevano] nessuna possibilità materiale di avocare tutte le indagini preliminari i cui termini [fossero] scaduti». Infatti, nel 1997, il CSM aveva limitato l’avocazione obbligatoria ai soli casi in cui, una volta scaduti i termini, il procuratore non poteva chiedere l’archiviazione o esercitare l’azione penale poiché era necessario compiere altri atti d’indagine.
IN DIRITTO
I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
18. Il ricorrente lamenta che la durata del procedimento penale è stata eccessiva e che, disponendo l’archiviazione della sua denuncia penale per intervenuta prescrizione del reato, le autorità interne gli hanno impedito di avere accesso a un tribunale. Egli invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) ed entro un termine ragionevole, da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»
19. Il Governo ammette che la causa riguarda principalmente «l’inerzia della procura che avrebbe comportato la prescrizione e impedito l’accesso a un tribunale», ma contesta la tesi sostenuta dal ricorrente.
A. Sulla ricevibilità
1. Sull’applicabilità dell’articolo 6 della Convenzione
20. Il Governo afferma che le doglianze del ricorrente sono incompatibili ratione materiae e, pertanto, devono essere respinte. Il Governo sostiene, in particolare, quanto segue: il procedimento penale si è concluso con l’archiviazione, senza che l’imputato sia stato rinviato a giudizio; di conseguenza, il ricorrente non ha mai avuto la qualità di parte nel procedimento e non ha mai potuto chiedere alcun risarcimento; tenuto conto del fatto che nel diritto italiano il principio della preminenza del penale sul civile non è riconosciuto e che il ricorrente aveva la possibilità di intentare un’azione civile per ottenere un risarcimento, il procedimento penale non era «direttamente» determinante per il diritto di natura civile dell’interessato; perciò, contrariamente a quanto emerso nella causa Perez c. Francia ([GC], n. 47287/99, CEDU 2004 I), l’aspetto civile non era strettamente legato allo svolgimento del procedimento penale.
21. Il ricorrente argomenta che l’articolo 6 della Convenzione è applicabile nel caso di specie.
22. La Corte rammenta che, secondo la sua giurisprudenza, la Convenzione non riconosce, di per sé, il diritto di far perseguire o condannare penalmente terze persone. Per rientrare nel campo di applicazione della Convenzione, tale diritto deve necessariamente andare di pari passo con l’esercizio da parte della vittima del suo diritto di intentare l’azione, per definizione civile, offerta dal diritto interno, anche soltanto al fine di ottenere una riparazione simbolica o la protezione di un diritto di carattere civile, sulla scia, ad esempio, del diritto di godere di una «buona reputazione». Pertanto, l’articolo 6 § 1 della Convenzione si applica ai procedimenti relativi alle denunce con costituzione di parte civile a partire dal momento in cui interviene l’atto di costituzione, a meno che la vittima non abbia rinunciato in maniera inequivocabile all’esercizio del suo diritto a ottenere riparazione (Perez, sopra citata, §§ 66-71, e Gorou c. Grecia (n. 2) [GC], n. 12686/03, §§ 24 25, 20 marzo 2009). Inoltre, la Corte ha considerato questa disposizione come applicabile alla parte lesa che non si era costituita parte civile, in quanto nel diritto italiano, anche prima dell’udienza preliminare, in cui può essere presentata tale costituzione, la vittima del reato può esercitare i diritti e le facoltà espressamente riconosciuti dalla legge (Sottani c. Italia (dec.), n. 26775/02, CEDU 2005-III (estratti), Patrono, Cascini e Stefanelli c. Italia, n. 10180/04, §§ 31-32, 20 aprile 2006, e Arnoldi, sopra citata, §§ 25 44).
23. Nella fattispecie, la Corte constata che la denuncia del ricorrente mirava a far valere un diritto di carattere civile - ossia il diritto alla protezione della sua reputazione -, di cui l’interessato poteva affermare in maniera difendibile di essere titolare. Inoltre, nella sua denuncia, il ricorrente aveva affermato che intendeva costituirsi parte civile nel procedimento penale e chiedere la somma di cinque milioni di EUR a titolo di risarcimento danni. Egli aveva anche espressamente richiesto di essere avvisato di un’eventuale archiviazione della causa (paragrafo 6 supra). Di conseguenza, il ricorrente ha esercitato almeno uno dei diritti e delle facoltà riconosciuti dal diritto interno alla parte lesa (Arnoldi, sopra citata, § 41). La Corte, tenuto conto delle argomentazioni presentate dal Governo e delle conclusioni da essa adottate nelle cause sopra menzionate, respinge l’eccezione sollevata dal Governo. L’articolo 6 § 1 della Convenzione è perciò applicabile alla presente causa.
2. Sull’esaurimento delle vie di ricorso interne
a) La domanda di avocazione
24. Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. A suo parere, considerato il fatto che gli articoli 405 e 406 del CPP prevedono dei termini per l’esecuzione degli atti di indagine, il ricorrente avrebbe potuto approfittare dell’inerzia della procura, inizialmente sollecitando la procura stessa e poi chiedendo, sulla base degli articoli 412 e 413 del CPP, al procuratore generale presso la corte d’appello di procedere all’avocazione delle indagini. A tale riguardo, la Corte constata che, nelle sue prime osservazioni, il Governo ha menzionato soltanto una sentenza della Corte di cassazione (n. 19833 del 2009) e che, successivamente, nelle sue osservazioni complementari, ha fatto riferimento a: a) una decisione del 6 dicembre 2011 del procuratore generale presso la corte d’appello di Brescia, con la quale il suddetto procuratore aveva respinto una domanda di avocazione in quanto, nel frattempo, il procuratore incaricato della causa aveva chiuso le indagini preliminari; e b) la delibera del CSM del 12 settembre 2007 riguardante il potere di avocazione del procuratore generale presso la corte d’appello.
25. Il ricorrente ritiene che le vie di ricorso indicate dal Governo non siano effettive, per i seguenti motivi: anzitutto, le autorità non avevano bisogno di essere sollecitate per essere messe al corrente dei ritardi della procura in quanto, secondo l’articolo 127 delle disposizioni di attuazione del CPP, la segreteria della procura doveva trasmettere ogni settimana al procuratore generale presso la corte d’appello l’elenco delle notizie di reato per le quali la procura non aveva esercitato l’azione penale o non aveva richiesto l’archiviazione; inoltre, la parte lesa non aveva alcuna possibilità di costringere la procura a proseguire le indagini; infine, egli non godeva di alcun «diritto» effettivo, fondato su una base legale chiara e accessibile, di formulare una domanda di avocazione, né di alcun diritto di contestare l’eventuale rigetto di una tale domanda.
26. La Corte rammenta che, ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, essa può essere adita solo dopo che siano state esaurite le vie di ricorso interne. Ogni ricorrente deve aver dato ai giudici interni l’occasione di riparare le violazioni dedotte contro le Alte Parti contraenti. Questa regola si basa sull’ipotesi, oggetto dell’articolo 13 della Convenzione - con il quale presenta strette affinità -, che l’ordinamento interno deve offrire un ricorso effettivo per quanto riguarda la violazione dedotta. Tuttavia, le disposizioni dell’articolo 35 § 1 prescrivono l’esaurimento dei soli ricorsi che siano al tempo stesso relativi alle violazioni denunciate, disponibili e adeguati. Questi ricorsi devono esistere con un sufficiente grado di certezza, non solo in teoria ma anche nella pratica, altrimenti mancano dell’effettività e dell’accessibilità richieste.
27. Per quanto riguarda l’onere della prova, la Corte rammenta che spetta al Governo, che eccepisce il mancato esaurimento, convincerla che il ricorso era effettivo e disponibile sia in teoria che in pratica all’epoca dei fatti (si vedano, tra molte altre, McFarlane c. Irlanda [GC], n. 31333/06, § 107, 10 settembre 2010, Vučković e altri c. Serbia (eccezione preliminare) [GC], nn. 17153/11 e altri 29, § 77, 25 marzo 2014, e Magyar Kétfarkú Kutya Párt c. Ungheria [GC], n. 201/17, § 52, 20 gennaio 2020). Pertanto, la base della via di ricorso deve essere chiara nel diritto interno (Scavuzzo-Hager e altri c. Svizzera (dec.), n. 41773/98, 30 novembre 2004, e Ceylan c. Turchia (dec.), n. 26065/06, 17 marzo 2015). La disponibilità del ricorso invocato, compresi la sua portata e il suo campo di applicazione, deve essere esposta con chiarezza e confermata o completata dalla prassi o dalla giurisprudenza (Gherghina c. Romania (dec.) [GC] n. 42219/07, § 88, 9 luglio 2015, McFarlane, sopra citata, §§ 117 e 120, e Mikolajová c. Slovacchia, n. 4479/03, § 34, 18 gennaio 2011). Quest’ultima, in linea di principio, deve essere ben consolidata e anteriore alla data di presentazione del ricorso (Gherghina, decisione sopra citata, § 88), salvo eccezioni giustificate dalle circostanze di una determinata causa.
28. Per quanto riguarda il rimedio, indicato dal Governo, previsto dall’articolo 413 del CPP (paragrafo 16 supra), la Corte rammenta che ha più volte considerato che un ricorso gerarchico non costituisce un ricorso effettivo in quanto, in generale, non conferisce al suo autore un diritto personale di ottenere che lo Stato eserciti i suoi poteri di sorveglianza (Sürmeli c. Germania [GC], n. 75529/01, § 109, CEDU 2006 VII). Essa è giunta a questa stessa conclusione nel caso in cui il procedimento intentato non prevede la partecipazione del ricorrente, ma soltanto il diritto di quest’ultimo di essere informato dell’esito del procedimento stesso (Jevremović c. Serbia, n. 3150/05, § 72, 17 luglio 2007). Infine, essa ha affermato che, in assenza di diritto di appello, un ricorso gerarchico non può avere un effetto significativo ai fini dell’accelerazione del procedimento nel suo complesso (Lukenda c. Slovenia, n. 23032/02, § 63, CEDU 2005 X).
29. Nella fattispecie, la Corte osserva che il Governo non ha dimostrato, alla luce dei criteri richiamati nel paragrafo 28 supra, che il ricorso gerarchico potesse, sia in teoria che in pratica all’epoca dei fatti, comportare un’accelerazione delle indagini preliminari. In particolare, il Governo non è riuscito a dimostrare che tale rimedio riconosce alla parte lesa un vero e proprio diritto personale di ottenere che lo Stato eserciti i suoi poteri di sorveglianza, di partecipare al procedimento, di essere informato dell’esito di quest’ultimo e di esercitare un diritto di appello avverso la decisione di rifiuto di avocare le indagini. In effetti, la sentenza della Corte di cassazione n. 19833 del 2009 rammenta soltanto che il procuratore generale ha il potere di avocare le indagini ai sensi dell’articolo 412 del CPP e afferma che il mancato rispetto dei termini previsti dall’articolo 405 del CPP (paragrafo 14 supra) non determina la decadenza del pubblico ministero dal potere di esercitare l’azione penale. Inoltre, il Governo non fornisce prove conclusive che dimostrino l’effettività di questo rimedio nella pratica. La decisione del CSM citata dal Governo tenderebbe invece a dimostrare il contrario, in quanto riconosce apertamente «che [è] impossibile per le procure generali riuscire ad avocare tutte le indagini preliminari per le quali i termini [sono] già scaduti» e che «le procure generali non [hanno] la possibilità materiale di avocare tutte le indagini preliminari per le quali i termini [sono] scaduti». Questa constatazione non può essere rimessa in causa soltanto perché, in una sola occasione, il procuratore generale presso la corte d’appello di Brescia ha respinto una domanda di avocazione in quanto, nel frattempo, le indagini erano state chiuse dal procuratore di primo grado.
30. Di conseguenza, la Corte respinge questa eccezione.
b) La via di ricorso dinanzi al giudice civile
31. Nelle sue osservazioni complementari e sull’equa soddisfazione, il Governo sostiene anche che il ricorrente avrebbe potuto adire le giurisdizioni civili ai fini della protezione dei suoi diritti.
32. La Corte rammenta che, ai sensi dell’articolo 55 del suo regolamento, la Parte contraente convenuta che intenda sollevare un’eccezione d’irricevibilità, deve farlo, nella misura in cui la natura dell’eccezione e le circostanze lo consentono, nelle sue osservazioni scritte o orali sulla ricevibilità del ricorso (N.C. c. Italia [GC], n. 24952/94, § 44, CEDU 2002-X). La Corte sottolinea che un’eccezione di irricevibilità deve essere sollevata dal Governo in maniera esplicita, e che non è compito della Corte dedurla dalle argomentazioni presentate da quest’ultimo (si vedano, mutatis mutandis, Navalnyy c. Russia [GC], nn. 29580/12 e altri 4, §§ 60-61, 15 novembre 2018, nella quale il governo convenuto aveva soltanto detto, in via incidentale, esaminando il merito di una doglianza, che il ricorrente non aveva contestato le misure controverse nell’ambito dei procedimenti interni, e Liblik e altri c. Estonia, nn. 173/15 e altri 5, § 114, 28 maggio 2019, nella quale il governo convenuto aveva indicato altre vie di ricorso che erano a disposizione dei ricorrenti ma non aveva sollevato un’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne). Se così non fosse, la Corte si troverebbe a violare il principio della parità delle armi (si veda, mutatis mutandis, Radomilja e altri c. Croazia [GC], nn. 37685/10 e 22768/12, § 123, 20 marzo 2018).
33. La Corte osserva, a questo titolo, che il Governo ha formalmente sollevato l’eccezione in questione, per la prima volta, nelle sue osservazioni complementari, e non nelle sue osservazioni iniziali sulla ricevibilità e sul merito della causa, nella parte dedicata alle eccezioni di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. Essa rileva, inoltre, che il Governo non ha fornito alcun chiarimento per tale ritardo, e constata che non esisteva alcuna circostanza eccezionale tale da dispensarlo dall’obbligo di sollevare l’eccezione in tempo utile. La Corte non può nemmeno considerare come un’eccezione formale di mancato esaurimento delle vie di ricorso il semplice riferimento fatto dal Governo, nelle sue prime osservazioni, alla possibilità per il ricorrente di avvalersi del ricorso in sede civile. In effetti, questo elemento è stato sollevato esclusivamente nell’ambito dell’eccezione relativa alla competenza ratione materiae (paragrafo 20 supra); ora, il Governo non ha sollevato alcuna eccezione di irricevibilità per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne nella parte corrispondente di tale documento. Pertanto, la Corte conclude che, per quanto riguarda questo secondo punto, il Governo è decaduto dalla possibilità di eccepire il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne (Khlaifia e altri c. Italia [GC], n. 16483/12, §§ 52 e 53, 15 dicembre 2016).
34. La Corte rammenta, infine, che nella causa Arnoldi (sopra citata, § 42, e si veda il paragrafo 53 infra), essa ha stabilito che la questione relativa all’esistenza di altre vie volte a proteggere il diritto di natura civile deve essere esaminata dal punto di vista della proporzionalità delle restrizioni del diritto di accesso a un tribunale, e non dal punto di vista della ricevibilità.
35. Pertanto, essa respinge anche questa eccezione.
36. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato né irricevibile per uno degli altri motivi di cui all’articolo 35 della Convenzione, la Corte lo dichiara ricevibile.
B. Sul merito
1. Sulla dedotta violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa dell’eccessiva durata del procedimento
37. Il ricorrente afferma che la durata del procedimento è stata eccessiva.
38. Il Governo non ha ritenuto utile presentare delle osservazioni sul merito in quanto, a suo parere, l’articolo 6 § 1 non è comunque applicabile alla presente causa.
39. La Corte sottolinea che il periodo da considerare nell’ambito di un procedimento penale dal punto di vista del «termine ragionevole» dell’articolo 6 § 1 inizia, per la persona che sostiene di essere stata lesa da un reato, nel momento in cui la stessa esercita uno dei diritti e delle facoltà che le sono espressamente riconosciuti dalla legge (Arnoldi, sopra citata, § 48).
40. Inoltre, la Corte rammenta che la durata ragionevole di un procedimento deve essere valutata sulla base delle circostanze della causa e tenendo conto dei criteri seguenti: la complessità della causa, il comportamento del ricorrente e quello delle autorità competenti, nonché la posta in gioco della controversia per l’interessato (Frydlender c. Francia [GC], n. 30979/96, § 43, CEDU 2000-VII).
41. Nella fattispecie, la Corte constata che il periodo da prendere in considerazione è iniziato il 28 luglio 2001, data in cui il ricorrente ha sporto denuncia, e si è concluso il 17 gennaio 2007, data della decisione di archiviazione adottata dal giudice per le indagini preliminari di Salerno. Pertanto, il periodo in questione è durato circa cinque anni e sei mesi per la sola fase delle indagini preliminari.
42. Inoltre, la Corte constata che, secondo i documenti forniti dalle parti, durante la fase suddetta non è stata svolta alcuna attività di indagine, e che la causa non era particolarmente complessa. Infine, essa constata che il Governo non ha fornito argomentazioni che possano giustificare delle indagini preliminari di tale durata.
43. La Corte ritiene che questi elementi siano sufficienti per concludere che, nel caso di specie, la durata del procedimento controverso è stata eccessiva e non ha rispettato l’esigenza del «termine ragionevole». Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
2. Sulla dedotta violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa di un mancato accesso a un tribunale
44. Il ricorrente lamenta una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione anche a causa del mancato accesso a un tribunale. In effetti, la decisione di archiviare la causa per intervenuta prescrizione dell’azione penale era dovuta, a suo parere, all’inerzia della procura, il che gli avrebbe impedito di costituirsi parte civile e di ottenere la protezione dei suoi diritti di carattere civile e l’esame della sua domanda di risarcimento. Infine, il fatto di obbligarlo a intentare successivamente un’azione dinanzi alle giurisdizioni civili avrebbe potuto rivelarsi inutilmente sterile e dispendioso, soprattutto in caso di successiva insolvenza della parte avversa.
45. Il Governo non ha ritenuto utile, ancora una volta, presentare delle osservazioni sul merito in quanto, a suo parere, l’articolo 6 § 1 non è comunque applicabile alla presente causa.
46. La Corte ritiene che la doglianza relativa al mancato accesso a un tribunale ponga una questione distinta rispetto a quella della durata del procedimento e, di conseguenza, conformemente all’approccio seguito nelle sentenze Atanasova c. Bulgaria (n. 72001/01, §§ 47 e 57, 2 ottobre 2008) e Tonchev c. Bulgaria (n. 18527/02, §§ 49 e 53, 19 novembre 2009), la esaminerà separatamente.
47. La Corte rammenta che ogni persona ha diritto a che un tribunale esamini le controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile. In tal modo l’articolo 6 § 1 sancisce il «diritto a un tribunale», del quale il diritto di accesso, vale a dire il diritto di adire un tribunale in materia civile, costituisce soltanto un aspetto (Principe Hans Adam II di Liechtenstein c. Germania [GC], n. 42527/98, § 43, CEDU 2001-VIII, e Cudak c. Lituania [GC], n. 15869/02, § 54, 23 marzo 2010).
48. La Corte precisa, tuttavia, che questo diritto non è assoluto: esso si presta a limitazioni implicitamente ammesse, in quanto richiede, per la sua stessa natura, una regolamentazione da parte dello Stato. Gli Stati contraenti godono in materia di un certo margine di apprezzamento. Alla Corte spetta invece deliberare in ultimo grado sul rispetto delle esigenze della Convenzione; essa ha il compito di verificare che le limitazioni attuate non restringano l’accesso offerto all’individuo in un modo o a un punto tale da compromettere il diritto in questione nella sua stessa sostanza. Inoltre, una simile limitazione del diritto di accesso a un tribunale è compatibile con l’articolo 6 § 1 solo se tende a uno scopo legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (Waite e Kennedy c. Germania [GC], n. 26083/94, § 59, CEDU 1999-I). In effetti, il diritto di accesso a un tribunale è violato quando la sua regolamentazione smette di perseguire gli scopi della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia e costituisce una sorta di barriera che impedisce alla persona sottoposta alla giustizia di ottenere che la sua causa sia esaminata nel merito dalla giurisdizione competente (Tsalkitzis c. Grecia, n. 11801/04, § 44, 16 novembre 2006). Nella causa Zubac c. Croazia ([GC], n. 40160/12, §§ 90 e 95, 5 aprile 2018), la Corte ha rammentato che quando un errore procedurale impedisce al ricorrente di avere accesso a un tribunale, essa tende solitamente a farlo gravare su chi ha commesso tale errore. La Corte ha aggiunto, in questa stessa causa, che una restrizione dell’accesso a un tribunale è sproporzionata quando l’irricevibilità di un ricorso risulta dall’imputazione al ricorrente di un errore di cui quest’ultimo non è oggettivamente responsabile.
49. La Corte rammenta che, in cause in cui veniva eccepita l’assenza di un esame sul merito di costituzioni di parte civile a causa dell’irricevibilità delle denunce penali alle quali tali costituzioni erano allegate, essa ha attribuito importanza all’accessibilità e all’effettività delle altre vie giudiziarie aperte agli interessati per far valere le loro pretese, soprattutto delle azioni disponibili dinanzi alle giurisdizioni civili (Forum Maritime S.A. c. Romania, nn. 63610/00 e 38692/5, § 91, 4 ottobre 2007). Nei casi in cui ha considerato che i ricorrenti disponessero effettivamente di tali ricorsi, la Corte ha concluso che non vi era stata violazione del diritto di accesso a un tribunale (Assenov e altri c. Bulgaria, n. 24760/94, § 112, Recueil des arrêts et décisions 1998-VIII, Ernst e altri c. Belgio, n. 33400/96, §§ 53-55, 15 luglio 2003, Moldovan e altri c. Romania (n. 2), n. 41138/98 e 64320/01, §§ 119-122, 12 luglio 2005, Lacerda Gouveia e altri c. Portogallo, n. 11868/07, § 80, 1° marzo 2011, e Nicolae Virgiliu Tănase c. Romania [GC], n. 41720/13, § 198, 25 giugno 2019).
50. In particolare, la Corte non ha concluso che vi era stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione nel caso in cui il procedimento penale non era stato condotto o era stato chiuso in quanto: non era stato accertato alcun reato (Georgi Georgiev c. Bulgaria (dec.), n. 34137/03, 11 gennaio 2011, Assenov e altri, sopra citata, §§ 22-23, Moldovan e altri, sopra citata, §§ 36-37, Forum Maritime S.A., sopra citata, § 30, e Manolea e altri c. Romania (dec.), n. 58162/14, § 23, 15 settembre 2020), o il procedimento penale si era concluso in applicazione di un patteggiamento (Nikolov c. Bulgaria (V) (dec.), n. 39672/03, 28 settembre 2010) o di un privilegio di giurisdizione (Ernst e altri, sopra citata, § 49) o per il decesso dell’imputato (Manolea e altri, sopra citata, § 23). Lo stesso è avvenuto per le cause nelle quali il ricorrente aveva già adito, parallelamente, il giudice civile e ottenuto un esame sul merito prima della chiusura dell’azione penale (S.O.S. racisme - Touche pas à mon pote c. Belgio (dec.) n. 26341/11, §§ 30-34, 12 gennaio 2016, e, mutatis mutandis, Borobar e altri c. Romania, n. 5663/04, §§ 59-60, 29 gennaio 2013).
51. Invece, in altre cause, la Corte ha concluso che vi è stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione quando la chiusura del procedimento penale e il mancato esame dell’azione civile erano dovuti a circostanze attribuibili principalmente alle autorità giudiziarie, soprattutto a ritardi procedurali eccessivi che hanno comportato la prescrizione del reato (Anagnostopoulos c. Grecia, n. 54589/00, §§ 31-32, 3 aprile 2003, Tonchev, sopra citata, §§ 50-53, Gousis c. Grecia, n. 8863/03, §§ 34-35, 29 marzo 2007, Atanasova, sopra citata, §§ 35-47, Dinchev c. Bulgaria, n. 23057/03, §§ 40-52, 22 gennaio 2009, Boris Stojanovski c. l’ex-Repubblica jugoslava di Macedonia, n. 41916/04, §§ 56-57, 6 maggio 2010, Rokas c. Grecia, n. 55081/09, §§ 22-24, 22 settembre 2015, e Korkolis c. Grecia, n. 63300/09, §§ 21-25, 15 gennaio 2015; si vedano, a contrario, Lacerda Gouveia e altri, sopra citata, § 77, Dimitras c. Grecia, n. 11946/11, § 47, 19 aprile 2018 e Nicolae Virgiliu Tănase, sopra citata, §§ 196-202 e 207-214, nella quale la Corte ha constatato l’assenza di responsabilità delle autorità nello svolgimento del procedimento penale, concludendo perciò che non vi era stata violazione dell’articolo 6 sotto il profilo del diritto di accesso a un tribunale e della durata del procedimento).
52. Nel caso di specie, la Corte constata che il ricorrente si era avvalso dei diritti e delle facoltà che erano disponibili nel diritto interno nell’ambito del procedimento penale e che gli avrebbero permesso, al momento dell’udienza preliminare, di chiedere riparazione del pregiudizio civile di cui sosteneva di essere vittima. Nella fattispecie, è soltanto a causa del ritardo con il quale le autorità procedenti hanno trattato il fascicolo e della prescrizione del reato denunciata che il ricorrente non ha potuto presentare la propria domanda di risarcimento danni (paragrafo 11 supra) e che, di conseguenza, egli non ha potuto ottenere una decisione sulla sua domanda nell’ambito del procedimento penale (Atanasova, sopra citata, § 45, e Dragomir c. Croazia [comitato], n. 43045/08, § 48, 14 giugno 2016).
53. La Corte ne deduce, sulla scia di quanto ha concluso nelle cause citate nel paragrafo 51 supra, che questo comportamento negligente delle autorità ha prodotto la conseguenza di privare il ricorrente dell’esame delle sue richieste di carattere civile nell’ambito del procedimento che aveva scelto di esperire e che era a sua disposizione nell’ordinamento giuridico interno. In effetti, non si può esigere che una persona sottoposta alla giustizia intenti un’analoga azione di responsabilità civile dinanzi al giudice civile dopo la constatazione di prescrizione dell’azione penale dovuta a errore del giudice penale (si veda, mutatis mutandis, Anagnostopoulos, sopra citata, § 32). A tale riguardo, la Corte osserva, in particolare, che intentare una tale azione implicherebbe probabilmente la necessità di raccogliere nuovamente delle prove, che il ricorrente avrebbe a questo punto l’onere di produrre, e che l’accertamento dell’eventuale responsabilità civile potrebbe risultare estremamente difficile dopo così tanto tempo (Atanasova, sopra citata, § 46).
54. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE A CAUSA DI UN’ASSENZA DI RICORSO EFFETTIVO CHE PERMETTA DI LAMENTARE LA DURATA DEL PROCEDIMENTO
55. Il ricorrente lamenta una mancanza di effettività del ricorso fondato sulla «legge Pinto», affermando che il motivo principale è che, a causa della giurisprudenza ben consolidata della Corte di cassazione, la parte lesa che non si è costituita parte civile non può presentare tale ricorso. Egli invoca l’articolo 13 della Convenzione, così formulato:
«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»
A. Tesi delle parti
56. Il Governo considera che la doglianza relativa all’articolo 13 debba essere dichiarata incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione in quanto, a suo parere, l’articolo 6 § 1 non è applicabile alla presente causa, e non si pronuncia sul merito della doglianza.
57. Il ricorrente ritiene che, a causa della giurisprudenza ben consolidata della Corte di cassazione, egli non poteva presentare il ricorso «Pinto» in quanto non aveva potuto costituirsi parte civile.
B. Valutazione della Corte
1. Sulla ricevibilità
58. La Corte rammenta che l’articolo 13 garantisce l’esistenza nel diritto interno di un ricorso che permetta di far valere i diritti e le libertà della Convenzione così come in essa sanciti. Questa disposizione ha dunque come conseguenza di esigere un ricorso interno che permetta di esaminare il contenuto di una «doglianza difendibile» basata sulla Convenzione e di offrirne la riparazione adeguata (De Souza Ribeiro c. Francia [GC], n. 22689/07, § 78, 13 dicembre 2012).
59. Nella fattispecie, la Corte ha appena concluso che l’articolo 6 § 1 era applicabile (paragrafi 22-23 supra) e ha constatato la violazione di tale disposizione soprattutto a causa della durata eccessiva del procedimento (paragrafi 39-43 supra). Di conseguenza, il ricorrente disponeva di una doglianza difendibile sotto il profilo dell’articolo 6 § 1, e l’articolo 13 della Convenzione è applicabile alla presente causa.
60. Constatando che questa doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte la dichiara ricevibile.
2. Sul merito
61. La Corte osserva che i principi che derivano dall’articolo 2, comma 2 bis della legge n. 89 del 2001 e dalla giurisprudenza interna consolidata in materia confermano l’inapplicabilità del ricorso «Pinto» alla parte lesa che non ha potuto costituirsi parte civile in un procedimento penale (paragrafi 10 e 12 supra).
62. Perciò, la Corte ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione a causa dell’assenza nel diritto interno di un ricorso che permettesse al ricorrente di ottenere il riconoscimento del suo diritto a che la sua causa fosse esaminata entro un termine ragionevole, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (si vedano, mutatis mutandis, Xenos c. Grecia, n. 45225/09, § 44, 13 luglio 2017, e Cipolletta c. Italia, n. 38259/09, § 49, 11 gennaio 2018).
III. SULLE ALTRE VIOLAZIONI DEDOTTE DELLA CONVENZIONE
63. Infine, il ricorrente, a sostegno delle sue doglianze, cita anche l’articolo 8 della Convenzione e l’articolo 6 della Convenzione, in combinato disposto con l’articolo 14 della Convenzione.
64. La Corte considera che queste doglianze siano assorbite da quelle relative agli articoli 6 e 13 della Convenzione e ritiene che non sia necessario esaminarle separatamente.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
65. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione:
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
A. Danno
66. Il ricorrente chiede la somma di 500.000 euro (EUR) per il danno morale che afferma di avere subìto.
67. Il Governo contesta questa richiesta e ritiene che la somma reclamata sia eccessiva.
68. La Corte ritiene doversi accordare al ricorrente la somma di 5.200 EUR per danno morale, più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta.
B. Spese
69. Il ricorrente chiede la somma di 27.727,20 EUR per le spese che ha sostenuto ai fini del procedimento dinanzi alla Corte.
70. Il Governo contesta questa richiesta e ritiene che la somma reclamata sia eccessiva.
71. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e dei criteri sopra menzionati, la Corte ritiene ragionevole accordare al ricorrente la somma di 2.000 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi ad essa, più l’importo eventualmente dovuto su tale somma dall’interessato a titolo di imposta.
C. Interessi moratori
72. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte,
1. Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile;
2. Dichiara, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa della durata eccessiva del procedimento;
3. Dichiara, con cinque voti contro due, che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa di una violazione del diritto di accesso del ricorrente a un tribunale;
4. Dichiara, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione;
5. Dichiara, all’unanimità, non doversi esaminare separatamente le doglianze formulate sotto il profilo dell’articolo 8 della Convenzione e dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 14 della Convenzione;
6. Dichiara, all’unanimità,
A. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
i. 5.200 EUR (cinquemiladuecento euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno morale,
ii. 2.000 EUR (duemila euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese,
b. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
7. Respinge, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il resto.
Opinioni dissenzienti.
(omissis)
Corte europea dei diritti dell’uomo, Prima Sezione, sentenza 18 marzo 2021, Petrella c. Italia
Sommario:
1. Il caso e le questioni - 2. La giurisprudenza europea e il diritto della vittima ad accedere a un giudizio equo - 3. Verso un diritto della vittima all’effettività delle indagini - 4. L’incidenza dei diritti della persona offesa sulla configurazione degli obblighi del pubblico ministero relativi all’esercizio dell’azione penale - 5. Osservazioni conclusive - NOTE
1. Il caso e le questioni
La sentenza emanata dalla Corte di Strasburgo il 18 marzo 2021 si segnala per la sua indubbia importanza nell’ottica della valorizzazione della tutela della persona offesa dal reato, riscontrando una violazione convenzionale dei suoi diritti nel caso in cui l’inerzia del titolare delle indagini abbia determinato il maturare del termine di prescrizione del reato e la conseguente archiviazione del procedimento penale. In particolare, i giudici europei hanno ravvisato una violazione degli artt. 6 § 1 e 13 Cedu da parte dell’ordinamento italiano nella parte in cui, rendendo impossibile la costituzione di parte civile all’offeso che sia stato danneggiato da reato, viola il suo diritto ad un equo processo, sotto il profilo della ragionevole durata dello stesso, e il suo diritto di accesso alla giustizia, a causa dell’assenza di un ricorso effettivo di cui il ricorrente possa servirsi per ottenere il soddisfacimento delle sue pretese risarcitorie o l’equa riparazione del danno. Nella fattispecie, il ricorrente presentò querela il 28 luglio 2001 denunciando di essere stato vittima del reato di diffamazione a mezzo stampa in seguito alla pubblicazione di un articolo che lo accusava di corruzione e truffe gravi ai danni della sanità pubblica, manifestando nella denuncia stessa l’intenzione di costituirsi parte civile e chiedere un risarcimento di dieci miliardi di lire a titolo di danno e di interessi. Una volta iscritta la [continua ..]
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2. La giurisprudenza europea e il diritto della vittima ad accedere a un giudizio equo
Proprio il riconoscimento di tale diritto di accesso al giudice in capo alla vittima del reato evidenzia l’esistenza di un diritto al processo, quale garanzia preliminare a tutte le altre garanzie processuali previste dalla Cedu [5]. Da qui discenderebbe ciò che parte della dottrina italiana qualifica «diritto alla giurisdizione» [6], inteso come diritto non solo di accesso a un giudice ma comprensivo delle garanzie del giusto processo [7]. Com’è noto, i giudici di Strasburgo escludono di netto la possibilità di riconoscere all’offeso un diritto di iniziativa processuale finalizzato alla condanna del presunto autore del reato. Tuttavia, al contempo, tendono costantemente ad affermare che - qualora lo Stato preveda l’esercizio dell’azione civile all’interno del processo penale - il processo stesso debba possedere tutte le garanzie previste dall’art. 6 Cedu, tra le quali rientra anche il principio di ragionevole durata del procedimento. L’evoluzione giurisprudenziale europea manifesta quindi una chiara tendenza a considerare il processo uno «strumento fondamentale di salvaguardia (anche) degli interessi delle vittime da reato» [8], potenziandone, in tal modo, il ruolo e le legittime aspettative. La sentenza in esame aggiunge un altro tassello a favore della tutela del soggetto che cumuli le qualità di persona offesa e di danneggiato dal reato, [continua ..]
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3. Verso un diritto della vittima all’effettività delle indagini
Al fine di garantire pienamente il diritto alla giurisdizione della vittima del reato, potrebbe quindi essere utile sganciare la sua tutela dalla necessaria richiesta di risarcimento del danno. A ben guardare, per ottenere il risarcimento del danno è sempre possibile adire il giudice civile. Al contrario, in assenza di un processo penale, a rimanere inascoltata è proprio la richiesta di giustizia dell’offeso. Mentre può legittimamente dubitarsi che la sola presentazione della querela comporti il sorgere in capo al danneggiato dal reato di una legittima aspettativa a che la decisione sulla fondatezza delle sue domande di riparazione del danno venga presa all’interno del circuito processuale penale, è indubbio che il solo rivolgersi alle pubbliche istituzioni affinché svolgano i ruoli affidati loro dalla legge fa sorgere in capo all’offeso dal reato una legittima aspettativa a che la sua domanda di giustizia trovi adeguato soddisfacimento. Un procedimento che pretenda di essere equo non può prescindere dalla tutela di tali aspettative [12] e la stessa Corte e.d.u. ha sostenuto che la tempestività e l’efficacia della risposta statuale alla commissione di atti illeciti costituiscono un requisito essenziale al fine di mantenere la fiducia dei cittadini nell’operato dello Stato [13]. Occorre peraltro evidenziare che la coesistenza della persona offesa e della parte civile e la necessaria [continua ..]
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4. L’incidenza dei diritti della persona offesa sulla configurazione degli obblighi del pubblico ministero relativi all’esercizio dell’azione penale
È evidente che la previsione di un diritto all’attivazione del pubblico ministero in capo alla vittima non può in alcun modo prescindere dalla previsione di un correlato obbligo di agire in capo al titolare delle indagini. Il rischio, altrimenti, è quello di privare le garanzie della persona offesa di effettività, svuotandole di significando. Tale collegamento è stato riscontrato dalla stessa Corte e.d.u. che, nella sentenza Petrella c. Italia, per affermare la violazione del diritto della persona offesa, è partita dalla premessa dell’esistenza, nell’ordinamento italiano, del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. È proprio quest’ultimo principio, infatti, a comportare l’insorgere in capo all’offeso della legittima aspettativa a che il titolare delle indagini decida sulla fondatezza o meno della notizia di reato, formulando una richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio. In definitiva, tale principio comporterebbe un obbligo per il pubblico ministero a svolgere le indagini necessarie ad assumere le sue determinazioni relative all’esercizio dell’azione penale, in un senso o nell’altro, escludendo però la legittimità di qualsiasi condotta inerte. A ciò si aggiunge l’interpretazione che la Corte costituzionale ha già dato in passato al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, [continua ..]
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5. Osservazioni conclusive
Al termine di questa disamina sembra possibile svolgere alcune considerazioni sul ruolo che la vittima del reato attualmente riveste all’interno dell’ordinamento italiano e sulla sua compatibilità con gli strumenti internazionali. De lege lata, l’offeso è oggi investito per lo più di poteri di sollecitazione dell’attività del pubblico ministero che possono legittimamente rimanere inascoltati, posto che la legislazione italiana non ha previsto alcun obbligo di valutazione di merito di tali atti di impulso, privando di fatto di effettività i poteri ad essi attribuiti. La stessa previsione dell’art. 335 c.p.p. che, com’è noto, permette alla persona offesa di ricevere notizia sulle iscrizioni delle notizie di reato che la riguardano, è destinata a rimanere priva di significato in assenza di mezzi effettivi finalizzati a sollecitare l’attività investigativa e le conseguenti determinazioni del pubblico ministero. L’informazione, infatti, dovrebbe logicamente fungere da presupposto per l’esercizio di ulteriori poteri ma in assenza di strumenti volti a consentire lo svolgimento di effettive investigazioni rischia di rimanere priva di significato. Invero, la qualità di persona offesa viene rafforzata solo al termine delle indagini preliminari qualora il pubblico ministero avanzi una richiesta di archiviazione, mediante l’apertura di un vero e proprio incidente [continua ..]
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NOTE