Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Particolare tenuità del fatto e minimi edittali. Ancora in tema di dinamiche tra organi costituzionali (di Mariavaleria del Tufo, Professore ordinario di Diritto penale – Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa)


Sullo schema delle sentenze monitorie, la Corte costituzionale, nel silenzio del legislatore, ha dichiarato l’illegitti­mità dell’art. 131 bis c.p. nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva, estendendone l’ambito operativo. Il contributo ripercorre genesi e ruolo della pronuncia e indaga sulle dinamiche tra organi costituzionali e sulle politiche di recupero di centralità poste in essere da parte della Corte costituzionale, con impatti severi anche per i giudici di merito.

Particular tenuousness of the fact and mandatory minimums. Back to the relationship between constitutional bodies

Enforcing the monitory pattern of its new ruling, the Constitutional Court, in response to a silent legislator, declared that art. 131 bis c.p. is illegitimate as it does not allow the application of the cause of non-punishment based on the particular tenuousness of the fact to crimes for which are not foreseen punishment mandatory minimums. The paper traces the genesis and the role of the Constitutional Court decision and investigates the relationship between constitutional bodies and the Court re-centralization policies, with their severe impacts on the ordinary judges.

Particolare tenuità del fatto: illegittima l’esclusione dei reati per i quali non è previsto un minimo edittale È costituzionalmente illegittimo l’art. 131 bis del codice penale, inserito dall’art. 1, comma 2, d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, recante «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67», nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva. [Omissis]   RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 12 luglio 2019, il Tribunale ordinario di Taranto, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis del codice penale, inserito dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, recante «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67», in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione. La norma censurata violerebbe gli evocati parametri nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto al reato di ricettazione attenuata da particolare tenuità previsto dall’art. 648, secondo comma, cod. pen. 2. L’ordinanza di rimessione espone che nel giudizio principale V. M. è imputato del reato di ricettazione attenuata da particolare tenuità per avere egli, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, acquistato o comunque ricevuto alcune confezioni di rasoi e lamette da barba di provenienza furtiva. L’istruttoria dibattimentale avrebbe comprovato la particolare tenuità sia del danno subito dalla persona offesa dal furto che del lucro conseguito dall’imputato, quest’ultimo, peraltro, soggetto incensurato, sì da potersi intendere la sua condotta come del tutto occasionale. Ricorrerebbero, quindi, tutti gli estremi della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto introdotta dall’art. 131-bis cod. pen., la cui applicazione sarebbe tuttavia impedita dall’entità della pena edittale della ricettazione attenuata, il cui massimo di pena detentiva, pari a sei anni di reclusione, eccede il limite applicativo dell’esimente, fissato dal primo comma dello stesso art. 131-bis in cinque anni. 3. Ad avviso del rimettente, l’assenza di minimo edittale di pena detentiva per il reato di cui all’art. 648, secondo comma, cod. pen., e quindi l’operatività del minimo assoluto di quindici giorni stabilito per la reclusione dall’art. 23, primo comma, cod. pen., indicherebbe [continua..]

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SOMMARIO:

1. L’art. 131 bis c.p. di nuovo al vaglio della Corte Costituzionale - 2. Il ruolo del tertium comparationis - 3. La funzione didattica della Corte. Istruzioni per scrivere un’ordinanza ammissibile - 4. Dinamiche tra organi costituzionali: i moniti della Corte al legislatore - 5. Dalla diffusività del controllo costituzionale al riaccentramento nelle mani della Corte - 6. Sentenze monitorie e interventismo della Corte - NOTE


1. L’art. 131 bis c.p. di nuovo al vaglio della Corte Costituzionale

La Corte costituzionale, con sentenza 25 giugno 2020, n. 156, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 131 bis c.p. [1], per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva. Soprattutto se letta alla luce di una sentenza di non fondatezza emanata nel 2017 [2], in relazione ai medesimi riferimenti normativi, la pronuncia è interessante da almeno due prospettive, una attinente all’istituto in esame, l’altro alla dinamica tra poteri. La Corte interviene infatti su un tema delicato e complesso come quello delle cause di non punibilità, ritornando in particolare su una normativa controversa, la particolare tenuità del fatto, e definendone in senso espansivo la portata applicativa. Ma, e qui il discorso si fa più intrigante, raggiunge il risultato applicando regole interpretative e adottando tipologie di interventi che i giudici costituzionali stanno ormai utilizzando da alcuni anni, con una politica giudiziaria sempre più concreta e stringente nei confronti di legislatore e giudici. Dopo inviti, ammonimenti, moniti e ultimatum la Corte è ormai solita intervenire in modo fattivo e, addolcendo il suo self restraint, utilizza gli strumenti giuridici a sua disposizione per espungere dal sistema o per portare a conformità norme che il Parlamento, pur sollecitato, non provvede a modificare. Non senza risparmiare suggerimenti ai giudici in ordine al modo di strutturare correttamente le ordinanze di rimessione per non imporre alla Corte, come soluzione obbligata, una dichiarazione di inammissibilità [3]. Il segno distintivo dei rapporti istituzionali recenti non è dunque più improntato da tempo alla conservazione delle norme, in nome dell’horror vacui, ma alla loro invalidazione o alla loro interpretazione manipolativa, come prodotto finale di un’azione bifasica, che da un lato intende rispettare le sfere di competenza del Parlamento, senza tuttavia tollerarne più gli effetti inerziali, e dall’altro sollecita la presentazione di ordinanze suscettibili di essere accolte. Questo cambiamento di rotta è stato elaborato dalla Corte attraverso l’applicazione di modelli interpretativi perfezionati di sentenza in sentenza e [continua ..]


2. Il ruolo del tertium comparationis

C’è un altro aspetto che riporta l’attenzione alla pronuncia n. 207/2017: il valore dell’individuazione di un tertium comparationis adeguato ad argomentare il contrasto di una disposizione con il principio di eguaglianza. Per la giurisprudenza costituzionale, una valutazione relativa all’ampiezza delle cause di non punibilità comporta strutturalmente una ponderazione aperta tra ragioni diverse e confliggenti, un giudizio che appartiene al legislatore: la Corte costituzionale può sindacare la scelta normativa solo per ragioni di “manifesta irragionevolezza” [15], ma è il giudice a doverle fornire gli strumenti in modo corretto. Anche il Tribunale di Nola aveva motivato la sua ordinanza portando a comparazione una serie di ipotesi astrattamente configurabili come di particolare tenuità, e tuttavia di maggiore allarme sociale: reati, quindi, che potrebbero essere ritenuti non punibili avendo il legislatore previsto un massimo edittale di 5 anni, sebbene il minimo sia ben superiore ai 15 giorni implicitamente stabiliti per la ricettazione attenuata. Tuttavia la Corte, nel 2017, aveva ritenuto i reati indicati dal giudice rimettente (contro la P.A., l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, l’incolumità individuale, ecc.) a tal punto eterogenei da non costituire un modello comparativo idoneo a fondare una lesione del principio di eguaglianza in rapporto alla ricettazione attenuata. Il ruolo fondamentale dell’individuazione di un tertium comparationis adeguato era stato del resto ribadito dalla Corte già in pronunce risalenti [16]. In particolare, con sentenza di inammissibilità n. 148/2016, al giudice rimettente era stato mosso l’appunto di essersi limitato a chiedere la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione sanzionatoria censurata, senza curarsi di indicare un parametro che consenta di rinvenire una soluzione costituzionalmente obbligata e senza neppure precisare quale sia il trattamento sanzionatorio che, a suo avviso, sarebbe conforme a Costituzione [17]. E tuttavia un possibile superamento della necessità di ritrovare un tertium comparationis era stato prospettato da una importante sentenza della Corte, la n. 236/2016 [18], in tema di alterazione dello stato civile di un neonato mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità (art. 567, comma 2, [continua ..]


3. La funzione didattica della Corte. Istruzioni per scrivere un’ordinanza ammissibile

Da questo punto di vista, nella sent. n. 207/2017, un primo, forte richiamo è mosso ai giudici rimettenti cui, non per la prima volta, la Corte attribuisce, in ragione delle argomentazioni poco stringenti utilizzate, la responsabilità dell’inammissibilità delle questioni sollevate [30]. Essi sono infatti i primi garanti dell’accoglibilità delle loro tesi, che vanno strutturate in modo rigoroso e articolato, consentendo in tal modo la ricevibilità della domanda e, quindi, l’allineamento a Costituzione della disciplina impugnata. La Corte quasi accompagna per mano il giudice nella scrittura di un’ordinanza di rimessione che avrebbe chance di essere accolta: ad esempio, lo abbiamo visto, oltre a scegliere adeguatamente il tertium comparationis, il giudice dovrebbe tendenzialmente evitare di fondare l’asserita disparità di trattamento mettendo in discussione la legittimità dei limiti sanzionatori previsti dal legislatore, perché il potere di sindacato in materia è in gran parte sottratto alla Corte. Tuttavia, suggerisce la sentenza, il problema non è senza uscita, dal momento che, in caso di manifesta irragionevolezza della disciplina, la Corte può comunque intervenire. Ma si dovranno utilizzare argomentazioni forti, tali da far risaltare con tutta evidenza i profili di irragionevolezza. Ad esempio – continua la Corte – si potrebbe sottolineare l’ano­malia dell’intervallo di pena previsto per la ricettazione attenuata, ampiamente sovrapponibile a quello stabilito per la ricettazione; si potrebbe evidenziare la sproporzione tra le diminuzioni operate sul piano sanzionatorio nella fattispecie attenuata in confronto alle pene analoghe stabilite per la fattispecie base (il massimo subisce una diminuzione contenuta, da 8 anni per la ricettazione a 6 anni per l’ipotesi attenuata; il minimo una diminuzione “enorme”, da 2 anni a 15 giorni); si potrebbero prospettare casi concreti, in cui altri reati a tutela del patrimonio, sanzionati con un massimo di 5 anni di reclusione, potrebbero beneficiare della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, sebbene sanzionati nel minimo con la pena di sei mesi di reclusione, dato indicativo di una ben maggiore offensività rispetto a fatti sussumibili nella fattispecie di ricettazione attenuata [31]. In effetti, il Tribunale di [continua ..]


4. Dinamiche tra organi costituzionali: i moniti della Corte al legislatore

Ma, nella sent. n. 207/2017, la Corte non si era limitata a scrivere un piccolo compendio di “istruzioni per l’uso” dell’ordinanza di rimessione. Si era rivolta, come è ormai usa fare, al legislatore, mettendolo sull’avviso: un’ordinanza non accolta per problemi argomentativi costituisce non di rado la spia di un problema reale, di un’esigenza di cui è il legislatore a doversi far carico per evitare il protrarsi di trattamenti penali generalmente avvertiti come iniqui. Nello specifico, la Corte suggeriva al legislatore anche il tipo di modifica da apportare. Oltre alla pena massima edittale, al di sopra della quale la causa di punibilità non possa operare, potrebbe prevedersi una pena minima, al di sotto della quale i fatti possano comunque essere considerati di particolare tenuità [33]. Nella sent. n. 156/2020 la Corte rileva immediatamente – e stigmatizza – il mancato accoglimento del suo monito da parte del legislatore, che pure aveva rimesso mano al testo dell’art. 131 bis [34]. Visto che il legislatore non ha sanato lo scostamento dell’art. 131 bis dai parametri costituzionali, essa interviene con lo strumento della declaratoria di illegittimità. Tuttavia non si spinge al di là dei suoi poteri e, per la mancanza di un parametro generalizzabile che spetta al legislatore determinare, questa volta non può individuare nel sistema un limite minimo (nemmeno i sei mesi di reclusione previsti per i reati contro il patrimonio che sono stati utilizzati come tertia comparationis) al di sotto del quale ritenere applicabile l’art. 131 bis. La Corte può invece impedire che fatti di minima offensività restino esclusi dall’applicazione della causa di non punibilità in ragione di un massimo edittale superiore ai 5 anni. A tal fine dichiara illegittimo l’art. 131 bis c.p. laddove non risultava applicabile ai reati privi di esplicita predeterminazione del minimo edittale di pena detentiva. Il legislatore è tuttavia ancora una volta richiamato all’esercizio delle sue prerogative: la Corte ribadisce la ragionevolezza del suggerimento dato nella sent. n. 207/2017. La disciplina più congrua da fornire alla materia resta la fissazione per legge di un preciso limite minimo, al di sotto del quale l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. non potrebbe essere preclusa [continua ..]


5. Dalla diffusività del controllo costituzionale al riaccentramento nelle mani della Corte

Che la Corte costituzionale stia perseguendo una politica generale volta a consentire la pervasione “molecolare” dell’ordinamento da parte dei principi costituzionali per attualizzare il favor Constitutionis, è opinione condivisa da molti costituzionalisti [36]. È anche vero che, cercando di perseguire i propri obiettivi, non sempre la Corte ha utilizzato i metodi illustrati. Anzi. In numerose sentenze ha affidato direttamente al giudice l’allineamento della disciplina normativa a Costituzione, suggerendogli gli spazi per giungere a una “decisione conforme”, senza dover per questo sollevare questione di legittimità. Emblematica – in ambito penale – la pronuncia della Corte in merito all’art. 609 sexies – nella versione dell’art. 7, l. n. 27/1996 [37] – secondo cui l’autore di atti sessuali con minore degli anni 14 non poteva invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa. La Corte, con sent. n. 322/2007 [38], ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità sollevata in riferimento all’art. 27, comma 1 e 3, Cost., e non ha proceduto all’eliminazione della disposizione [39], sia perché in tal modo avrebbe provocato effetti collaterali inaccettabili da un punto di vista sistemico-ordinamentale, sia perché, a suo avviso, il giudice aveva comunque a sua disposizione tutti gli strumenti necessari per giungere a una decisione costituzionalmente corretta risolvendo il caso in esame alla luce del principio di colpevolezza, evidentemente leso laddove si negasse rilievo all’ignoranza o all’errore inevitabili sull’età. La sentenza, in questo caso, non chiama direttamente in causa il legislatore, anche se le sue considerazioni hanno orientato la produzione legislativa. In realtà, cinque anni dopo, all’interno dell’art. 609 sexies è stato inserito, o a questo punto esplicitato, il requisito della scusabilità di errore e ignoranza inevitabili. Le indicazioni della Corte sono state dunque prese in conto, anche se con notevole ritardo e in occasione della riscrittura della disposizione, riformulata con la legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione di Lanzarote [40], per la cui emanazione vi erano state, sotto tutt’altri profili, numerose pressioni. Nella sentenza in discorso, però, non [continua ..]


6. Sentenze monitorie e interventismo della Corte

La riaffermazione del ruolo centrale della Corte [59] è perseguita proprio attraverso l’utilizzo e la crescente incisività delle sentenze monitorie, che sono indirizzate al legislatore. Lo schema è quello di una pronuncia di mancato accoglimento, solitamente bifasica: in un primo momento, il giudice rimettente o è sollecitato a dare alla Corte la possibilità di intervenire attraverso lo sviluppo di motivazioni sostenibili, o, in presenza di argomentazioni corrette, riceve comunque una pronuncia di non accoglimento, stante la competenza del Parlamento a decidere in che modo riallineare a Costituzione la normativa illegittima. In una seconda fase, però, il legislatore è messo severamente in mora, affinché, nell’esercizio della propria discrezionalità, dia una risposta al problema, segnalato e non risolto, comunque spia di un forte disagio ordinamentale. Non di rado, lo si è visto, la Corte indica al legislatore quali potrebbero/dovrebbero essere le modifiche da apportare, forse nell’intento di scuoterlo dal suo sonno e di facilitargli il risveglio, forse nella speranza di indurre interventi chiari e costituzionalmente corretti, a fronte di una attività di normazione solitamente distratta. Lo ha fatto, ad esempio, in materia di prescrizione, laddove, in una prima sentenza [60], ha riconosciuto l’effettiva esistenza di un vulnus nel sistema [61], dichiarando nondimeno inammissibile la questione, pur correttamente sollevata, in ragione del rispetto della priorità di valutazione da parte del legislatore sulla congruità dei mezzi per raggiungere un fine costituzionalmente necessario. Nella sentenza, però, ancora una volta ha prospettato le soluzioni ipotizzabili [62], ammonendo il legislatore che non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al grave problema individuato nella … pronuncia [63]. In una seconda sentenza [64], e in riferimento alla medesima questione, la Corte prende atto dell’inerzia del legislatore che all’anomalia non aveva posto rimedio, e questa volta dichiara la fondatezza della questione e l’illegittimità parziale dell’art. 159 c.p.p., pur riconoscendo che il rimedio può non apparire completamente appagante. Prende tuttavia anche atto della presentazione alla Camera di un progetto di legge che dovrebbe [continua ..]


NOTE