Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Il diritto del detenuto a partecipare all'udienza di riesame (di Raffaele Tecce, Ricercatore di procedura penale – Università di Roma “Tor Vergata”)


Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la pronuncia in commento, risolvono il contrasto sorto sulle modalità di presentazione della richiesta di partecipazione del detenuto all’udienza di riesame. L’approdo interpretativo lascia, tuttavia, non pochi dubbi, in ordine all’effettiva tutela del diritto dell’interessato, che, di fatto, viene limitato. De iure condendo, a valle della ricostruzione dei diversi orientamenti giurisprudenziali, si ritiene auspicabile un intervento legislativo che equipari la disciplina di cui all’art. 678 comma 3.2 c.p.p. all’ipotesi in questione, garantendo la partecipazione a distanza del detenuto o dell’internato.

The right of the prisoner to participate in the review hearing

The United Sections of the Court of Cassation, with the judgment in comment, resolve the dispute arisen on how to present the detainee’s request to participate in the hearing of review. The interpretive landing leaves, however, not a few doubts, regarding the effective protection of the law of the interested party, which, in fact, is limited.

De iure condendo, downstream of the reconstruction of the various jurisprudential guidelines, it is considered desirable a legislative intervention that equates the discipline of which art. 678 paragraph 3.2 of the criminal code to the hypothesis in question, ensuring the remote participation of the prisoner or interned.

La partecipazione del detenuto all’udienza di riesame Nel procedimento di riesame avverso provvedimenti impositivi di misure cautelari coercitive la persona detenuta o internata ovvero sottoposta a misura in concreto limitativa della possibilità di partecipare all’udienza camerale può esercitare il diritto di comparire personalmente all’udienza stessa solo se ne ha fatto richiesta, anche per il tramite del difensore, con l’istanza di riesame, ferma restando la facoltà di chiedere di essere sentita su specifici temi con l’istanza di differimento ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 9-bis. [Omissis]   RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza deliberata il 29 aprile 2019, il Tribunale del riesame di Napoli ha sostituito con la misura degli arresti domiciliari con “braccialetto elettronico” la misura cautelare della custodia in carcere applicata a R.G. dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata in relazione all’imputazione provvisoria di partecipazione ad un’associazione per delinquere finalizzata al reato di corruzione elettorale ex D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 86. 2. Avverso l’indicata ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli R.G., per il tramite del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Il primo motivo denuncia la nullità dell’ordinanza impugnata: premesso che in data 23 aprile 2019 R., detenuto nel carcere di (OMISSIS), aveva presentato richiesta di partecipazione all’udienza camerale dinanzi al Tribunale del riesame, fissata per il 29 aprile 2019 e che la richiesta era stata rigettata in quanto non proposta contestualmente all’istanza di riesame, si sostiene che l’art. 309 c.p.p., comma 6, prevede che l’imputato può, e non deve, chiedere di comparire personalmente con l’istanza di riesame, sicché la richiesta doveva ritenersi tempestiva, anche alla luce di un recente orientamento della giurisprudenza di legittimità. Il secondo motivo eccepisce l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3,24 e 111 Cost., dell’art. 309 c.p.p., commi 6 e 8-bis, se interpretati nel senso contrario a quello sostenuto con il primo motivo. Il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, sostenendo, in un quadro di diffusi riferimenti alla giurisprudenza di legittimità in materia, che non siano emersi il ruolo e il contributo dell’indagato nel sodalizio, né la sua consapevolezza della partecipazione ad un’associazione; il ricorrente, inoltre, richiama alcuni passaggi di intercettazioni telefoniche di conversazioni tra lo stesso R. ed un coindagato (S.), che dimostrerebbero l’estraneità del primo all’associazione di A. e M., essendo egli mosso da fini [continua..]

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SOMMARIO:

1. La legge n. 47/2015 - 2. Il diritto di comparizione del detenuto negli altri procedimenti camerali - 3. L’ordinanza di rimessione - 4. La sentenza delle Sezioni unite - 5. Osservazioni conclusive - NOTE


1. La legge n. 47/2015

Prima della riforma della materia cautelare del 2015 gli artt. 127 e 309 c.p.p. prevedevano, in ordine alla partecipazione del detenuto all’udienza di riesame, una doppia disciplina a seconda che l’indagato fosse ristretto all’interno del circondario del Tribunale del Riesame ovvero in luogo posto fuori della circoscrizione del collegio chiamato a decidere [1]. Nel primo caso, gli artt. 127, comma 3, c.p.p. e 102 disp. att. c.p.p., in combinato disposto con il comma 8 dell’art. 309 c.p.p., consentivano all’interessato di essere sentito in caso di comparizione, nulla specificando in ordine alle modalità di presentazione della richiesta di partecipazione. Con il conseguente obbligo, da parte del Tribunale del Riesame, di disporre la traduzione del detenuto ovvero il rinvio dell’udienza in ipotesi di omessa traduzione o legittimo impedimento dello stesso. Nel secondo caso, la norma disponeva il diritto di essere sentito prima dell’udienza camerale dal Magistrato di sorveglianza del luogo, ai sensi dell’art. 127, 3 comma c.p.p. [2]. La Corte di cassazione, a Sezioni unite, aveva riconosciuto, ai sensi dell’art. 127 c.p.p., il diritto di partecipazione al giudizio camerale [3] dell’imputato che avesse tempestivamente in qualche modo manifestato la volontà di comparire [4]. Secondo lo stesso orientamento la richiesta andava proposta nella «ragionevole immediatezza della ricezione della notificazione dell’avviso della data fissata per l’udienza camerale dinanzi al Tribunale» [5]. Dello stesso avviso, era un filone giurisprudenziale che sanciva, ancora con più forza, il dovere per il giudice, a seguito della richiesta dell’imputato di presenziare all’udienza, di disporne la traduzione dinanzi a sé, nell’ipotesi in cui essa fosse stata formalizzata «in modo tale da rendere manifesta la volontà di rendere dichiarazioni su questioni di fatto concernenti la propria condotta» [6]. Tale orientamento contrastava con un altro indirizzo, che ribadiva che, nel procedimento camerale de libertate, chi era detenuto in luogo esterno alla circoscrizione del giudice non aveva il diritto di essere sentito all’udienza fissata per il riesame, tanto è che poteva essere rigettata, finanche, la richiesta di audizione da parte del magistrato di sorveglianza [7]. I [continua ..]


2. Il diritto di comparizione del detenuto negli altri procedimenti camerali

Appare interessante richiamare, in maniera sintetica, le norme del codice di rito che fanno riferimento al diritto di comparizione del detenuto negli altri procedimenti camerali. Diritto disciplinato dall’art. 127 c.p.p [13]. In particolare, va evidenziato che proprio l’art. 127 comma 4 c.p.p. dispone che il diritto del detenuto a partecipare all’udienza viene limitato nell’ipotesi in cui egli è ristretto in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice, tanto è vero che «l’udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato o del condannato che ha chiesto di essere sentito personalmente», sempre che «non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice». In altri termini, in relazione al soggetto detenuto fuori circoscrizione, ai sensi del comma 3, egli «deve essere sentito prima del giorno dell’udienza, dal magistrato di sorveglianza del luogo». Tale disposizione, prevedendo che il detenuto sia sentito dal magistrato di sorveglianza e non dal giudice innanzi al quale si celebra l’udienza in camera di consiglio, sembra sancire la regola che l’imputato o indagato detenuto fuori circoscrizione non abbia diritto di partecipare all’udienza in camera di consiglio, neanche nell’ipotesi in cui volesse essere ascoltato. Sul punto, tuttavia, la Corte di cassazione ha chiarito che egli, in talune ipotesi, nel caso in cui lo richieda, a prescindere dal luogo di detenzione, ha diritto ad essere tradotto [14]. È il caso del giudizio di appello, conseguente ad una sentenza di primo grado in abbreviato, la cui mancata traduzione dell’imputato detenuto, che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire all’udienza [15], determina la nullità della sentenza pronunciata. La richiesta, secondo l’orientamento prevalente, va presentata almeno cinque giorni prima dell’u­dienza [16]. In linea con quanto disposto dall’art. 127 c.p.p., l’art. 666 c.p.p., avente ad oggetto il procedimento di esecuzione, al quarto comma prescrive che il «detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice, è sentito prima del giorno dell’udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo, salvo che il giudice ritenga di disporre la traduzione». L’art. 401 [continua ..]


3. L’ordinanza di rimessione

La Corte di cassazione, sezione quinta, rimetteva, ai sensi dell’art. 618 c.p.p., il ricorso alle Sezioni unite [18]. L’ordinanza dava conto del contrasto interpretativo sorto sulla modalità di esercizio del diritto di partecipazione all’udienza di riesame del soggetto sottoposto a restrizione della libertà [19]. Più precisamente, la questione riguardava il limite temporale entro cui formulare detta richiesta, posto che la disciplina di cui all’art. art. 309 c.p.p., così come modificata dall’art. 11 della legge n. 47 del 16 aprile 2015, prevede al comma 6 che, con la richiesta di riesame, «l’imputato può chiedere di comparire personalmente», mentre il comma 8-bis, dispone che «l’imputato che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6 ha diritto di comparire personalmente». Sul tema si sono registrati due opposti indirizzi giurisprudenziali. Un primo orientamento ha affermato il principio secondo cui il diritto della persona sottoposta a restrizione della libertà a partecipare all’udienza di riesame può essere esercitato senza alcuna limitazione o decadenze, purché la relativa richiesta sia stata tempestiva, in «modo da permettere, senza interruzioni, il regolare ed ordinato svolgimento del procedimento di cui all’art. 309 c.p.p [20]». Di recente tale principio ha trovato conferma nella sentenza La Scala [21] che ha affermato che «in tema di riesame avverso provvedimenti impositivi di misure cautelari personali, il diritto della persona sottoposta a restrizione della libertà di partecipare all’udienza non è sottoposto a limitazioni o decadenze, purché la relativa richiesta, qualora avanzata in epoca successiva all’atto introduttivo dell’incidente cautelare, pervenga in tempo utile per organizzare la tempestiva traduzione, dovendo altrimenti essere disattesa con adeguata motivazione». La richiamata pronuncia parte dall’attuale formulazione del comma 6 dell’art. 309 c.p.p. che stabilisce, come già detto, che l’imputato con la richiesta di riesame “può” chiedere di comparire e non che “deve” farlo, non prevedendo alcuna sanzione processuale nell’ipotesi che ciò non avvenga. In più, aggiunge la Corte, lo stesso articolo dispone [continua ..]


4. La sentenza delle Sezioni unite

La sentenza in commento affronta la questione ricostruendo la disciplina introdotta dall’art. 11 della legge n. 47 del 16 aprile 2015, che ha modificato l’art. 309 c.p.p., ripercorrendo i diversi arresti giurisprudenziali intervenuti sul diritto del detenuto a partecipare all’udienza del riesame. Le Sezioni unite del 1996 [24] affermavano la nullità assoluta e insanabile, ai sensi dell’art. 179 c.p.p., dell’udienza camerale e della successiva ordinanza emessa per omessa traduzione dell’indagato – detenuto nell’ambito o fuori della circoscrizione del Tribunale – che ne avesse fatto richiesta. Tanto sulla scia della pronuncia della Corte costituzionale n. 45 del 1991, che riteneva la presenza all’udienza camerale dell’imputato detenuto, che avesse manifestato la volontà di partecipare all’udien­za, «unico mezzo idoneo a consentirgli di esprimere le sue ragioni», nel rispetto dell’art. 24 della Costituzione. La sentenza, a Sezioni unite, Carlutti [25], già sopra richiamata, e quella D’Abramo [26] valorizzavano il chiaro orientamento del Giudice delle leggi, in ordine all’obbligo del giudice di disporre o eseguire la traduzione, all’udienza di riesame, dell’indagato, imputato o condannato che ne avesse fatto richiesta, a prescindere dal luogo di detenzione, determinando, in mancanza, la nullità assoluta ed insanabile, ai sensi dell’art. 179 c.p.p. della udienza camerale e della pronuncia del Tribunale [27]. L’orientamento contrario, volto a sostenere che la persona detenuta in un luogo esterno alla circoscrizione del Tribunale del riesame non avesse alcun diritto di essere sentito all’udienza, bensì dal magistrato di sorveglianza, era decisamente minoritario [28]. La soluzione “intermedia” adottata da alcune pronunce della Suprema corte ancorava il diritto di partecipare all’udienza alla volontà di rendere dichiarazioni, in ordine ai reati contestati, laddove l’indagato volesse evidenziare «circostanze a lui favorevoli avendo egli diritto di esplicare quelle attività che non possono essere adeguatamente ed efficacemente svolte davanti al giudice di sorveglianza delegato» [29]. La Corte di cassazione con la sentenza n. 35399 del 2010 [30] affrontava, invece, la questione della tempistica [continua ..]


5. Osservazioni conclusive

L’approdo interpretativo lascia, però, non pochi dubbi. Innanzitutto, è di tutta evidenza che la non presentazione della richiesta di partecipare nell’istanza di riesame determina, di fatto, una decadenza, anche se non specificatamente prevista da alcuna disposizione. Tale decadenza è chiaramente cristallizzata dal principio di diritto enunciato dalla sentenza in commento, laddove, testualmente afferma che «la persona detenuta o internata ovvero sottoposta a misura in concreto limitativa della possibilità di partecipare all’udienza camerale può esercitare il diritto di comparire personalmente all’udienza stessa solo se ne ha fatto richiesta, anche tramite del difensore, con l’istanza di riesame». L’assunto risulta in contrasto con la volontà del legislatore, che al comma 6 dell’art. 309, infatti, non ha previsto alcuna decadenza nell’ipotesi in cui l’imputato non dovesse chiedere, con l’istanza di riesame, di comparire personalmente. Tanto è vero che, la Suprema corte, con la sentenza in commento, nel tentativo di sostenere l’inesistenza di decadenze, afferma che, in ogni caso, la richiesta di partecipazione può essere proposta richiedendo, ai sensi del comma 9-bis art. 309 c.p.p. il differimento dell’udienza. La Corte, sul punto, sostiene che l’interessato ben potrebbe chiedere di partecipare, ai sensi di tale ultima richiamata previsione, dell’art. 309, comma 9-bis c.p.p., specificando di essere sentita su specifici temi, con conseguente differimento dell’udienza. Al contrario, invece, da quanto sostenuto dalla Suprema corte, l’istanza di differimento dell’udienza non è idonea a garantire il diritto del detenuto a parteciparvi, posto che essa sarebbe rimessa alla valutazione del Tribunale del riesame che potrebbe rigettarla non ritenendola fondata su “giustificati motivi [38]“. La Corte, sul punto, sostiene, pertanto, erroneamente, che l’interessato ben potrebbe formulare istanza di partecipare, ai sensi dell’art. 309, comma 9-bis c.p.p., chiedendo di essere sentito su specifici temi, con conseguente differimento dell’udienza, trascurando che detta valutazione, comunque, è rimessa al Tribunale, che dovrà tener conto sia delle concrete esigenze della difesa, sia quelle organizzative del collegio [continua ..]


NOTE
Fascicolo 6 - 2020