Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Pene concorrenti e reati ostativi: nello scioglimento del cumulo la pena relativa al reato ostativo va considerata nella sua entità originaria (di Nicola Madia, Ricercatore di Diritto penale – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


L’Autore analizza la sentenza con cui la Suprema corte di cassazione, nel suo consesso allargato, ha fornita risposta al quesito relativo all’incidenza del criterio moderatore stabilito dall’art. 78 c.p. sulla durata delle pene connesse a reati ostativi all’accesso ai benefici penitenziari oggetto di provvedimenti di unificazione di sanzioni concorrenti. In particolare, ci si è chiesti se, nello sciogliere il cumulo punitivo per consentire l’ammissione alle misure premiali al condannato il quale abbia già espiato la pena relativa al reato ostativo, occorra considerare quest’ultima nella sua entità originaria, oppure operando una riduzione proporzionalmente analoga a quella applicata alla pena complessiva in forza del predetto parametro mitigatore.

Concurrent sentences and hostile offences: in the discharging of the cumulation, the sentence relating to the hostile offence must be considered in its original amount

The Supreme Court, in its enlarged session, addressed the issue of the criterion established by Article 78 of the Penal Code when hostile offences are subject to measures of unification of concurrent penalties. The concrete question was whether, in the discharging of the cumulation in order to allow admission to the bonus measures to a convicted person who has already served the sentence relating to the hostile offence, it is necessary to consider the latter in its original amount, or to operate a different assessment.

  In caso di pene concorrenti, la pena relativa al reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari deve essere considerata nella sua entità originaria, non tenendo conto del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p.   MASSIMA: In presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, che abbia richiesto l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, lo scioglimento del cumulo a detti fini va effettuato avendo riguardo alla pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria”.   PROVVEDIMENTO: (Omissis). Ritenuto in fatto Con ordinanza del 7 dicembre 2021 il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha dichiarato inammissibile la domanda, proposta nell’interesse di A.A., volta ad ottenere la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale – o, in subordine, della detenzione domiciliare – in riferimento alla pena residua relativa al provvedimento di unificazione di pene concorrenti emesso dalla Procura generale della Repubblica di Reggio Calabria in data 20 settembre 2017. Detto provvedimento di cumulo ricomprende tre diverse sentenze di condanna, elencate partitamente nell’ordinanza impugnata. Due di queste sono relative a delitti che non ostano alla concessione di benefici penitenziari o di misure alternative alla detenzione ex art. 4-bis Ord. pen. Si tratta della sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 18 gennaio 2007, distinta al numero 1 nel provvedimento di cumulo, con la quale A.A. è stato condannato per il delitto di cui all’art. 12-quinquies della L. n. 356 del 1992 a pena interamente dichiarata condonata, e della sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 19 luglio 2000, con la quale il predetto è stato condannato per reati in materia di armi e ricettazione (n. 3 del citato provvedimento di cumulo). Con la terza sentenza, pronunciata dalla Corte di Assise di appello di Reggio Calabria il 12 maggio 2004, il ricorrente è stato invece condannato alla pena di trenta anni di reclusione per i reati ostativi di partecipazione ad associazione mafiosa di cui all’art. 416-bis c.p., omicidio, tentato omicidio, nonché per i connessi delitti in materia di armi, tutti aggravati ai sensi dell’art. 7 della L. 12 luglio 1992, n. 203 (n. 2 del provvedimento di unificazione di pene concorrenti). Il cumulo aveva dunque ad oggetto la pena finale calcolata, al netto del concesso indulto, nella misura di trentacinque anni e due mesi di reclusione. Tale pena era stata ridotta, in applicazione del criterio moderatore previsto dall’art. 78 c.p., a trenta anni di reclusione. L’ordinanza impugnata motiva la decisione di inammissibilità affermando che lo [continua..]

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SOMMARIO:

1. La questione - 2. Una premessa generale all’analisi della questione particolare: le rationes sottese al criterio moderatore dei cumuli punitivi e al suo scioglimento - 3. Gli orientamenti precedenti l’intervento delle Sezioni Unite - 4. Il ragionamento delle Sezioni Unite: rilievi conclusivi - NOTE


1. La questione

Le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi sulla seguente questione controversa: «Se, in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, che abbia richiesto l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, lo scioglimento del cumulo a detti fini vada effettuato avendo riguardo alla pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria, ovvero operando una riduzione proporzionale rispetto all’applicazione del predetto criterio moderatore alla pena complessiva, derivante dal cumulo materiale». La Suprema corte, nel suo consesso allargato, ha risolto la problematica affermando: «In presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, che abbia richiesto l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, lo scioglimento del cumulo a detti fini va effettuato avendo riguardo alla pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria» [1].


2. Una premessa generale all’analisi della questione particolare: le rationes sottese al criterio moderatore dei cumuli punitivi e al suo scioglimento

L’art. 78 c.p. stabilisce un criterio moderatore al regime del cumulo materiale di pene, al fine di evitare che lo stesso si traduca in eccessi sanzionatori, giungendo a trasformare, talvolta, pene temporanee in trattamenti detentivi di durata sostanzialmente infinita [1]. Infatti, il codice Rocco, in sintonia con la sua originaria impronta rigoristica, a differenza del codice Zanardelli, che, invece, aveva prescelto il modello del cumulo giuridico, ha optato per il cumulo materiale di pene quale criterio generale e ordinario di determinazione dell’ammontare della sanzione in caso di concorso di reati. Nell’adottare simile metodo di calcolo, i compilatori hanno tuttavia introdotto dei fattori calmieranti allo scopo di prevenire, per l’appunto, l’inflizione di pene detentive formalmente temporanee ma di fatto destinate a perpetuarsi per l’intera esistenza del condannato [2]. I limiti previsti sono di due specie, uno proporzionale, enucleato nel comma 1 dell’art. 78 c.p., secondo cui la pena complessiva non può oltrepassare il quintuplo di quella stabilita per il reato più grave, uno fisso, stabilito, nel comma 2, in misura diversa a seconda della tipologia sanzionatoria considerata. Per quel che interessa ai fini della nostra indagine, la pena della reclusione non può mai superare la durata totale di anni trenta. Ovviamente, gli effetti mitigatori si possono dispiegare non considerando le pene già espiate al momento della commissione del reato cui si riferisce la pena da cumulare con la precedente, poiché, diversamente, ove i limiti stabiliti dall’art. 78 c.p. operassero anche successivamente all’esecuzione della sanzione, si assicurerebbe al reo un’inaccettabile forma d’impunità per i crimini realizzati dopo avere scontato un castigo della complessiva durata di anni trenta [3]. In quest’ottica, si è giustamente notato come si possa parlare di concorso di pene, non già al semplice cospetto di una pluralità di trattamenti sanzionatori convergenti sul medesimo soggetto, bensì nell’esclusiva ipotesi in cui si tratti di pene (o porzioni di pene) non ancora espiate al momento in cui sono commessi i reati ai quali ciascuna delle rimanenti sanzioni si riferisce [4]. La giurisprudenza sembra avere accolta tale indirizzo nella misura in cui ha affermato come la previsione dell’art. 78, [continua ..]


3. Gli orientamenti precedenti l’intervento delle Sezioni Unite

Tornando alla specifica questione risolta dalla sentenza in commento, conviene illustrare i due orientamenti che si confrontavano prima dell’intervento nomofilattico. Secondo un primo indirizzo, nel caso di scioglimento del cumulo di pene concorrenti comprendente anche reati ostativi ai benefici penitenziari, l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78, comma 1, n. 1, c.p., in ragione del superamento del limite massimo trentennale di durata della reclusione, comportava, da un lato, la riduzione proporzionale della pena determinata per il reato preclusivo, in percentuale analoga alla rimodulazione operata su quella complessiva; dall’altro, l’imputazione della frazione già espiata all’esecuzione della sanzione inflitta per il reato ostativo [1]. Ad avviso di quest’orientamento, sarebbe stato irragionevole che il condannato per reati ostativi e non ostativi si trovasse a subire un trattamento equivalente al condannato esclusivamente per reati ostativi, ovvero, addirittura, un trattamento peggiore rispetto a chi, colpito dalle medesime sentenze per reati ostativi e non, avesse scontato separatamente le singole pene inflitte con sentenze irrevocabili e poste in esecuzione tempestivamente, senza, quindi, la necessità di operare alcuna unificazione. In questa prospettiva, la riduzione della complessiva pena a seguito dell’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. doveva percentualmente riverberarsi sulla quota di reclusione collegata al reato ostativo, mediante un’operazione algebrica in esito alla quale decurtare lo specifico segmento quantitativo correlato al delitto impeditivo all’accesso ai benefici penitenziari della stessa componente matematica con cui era stata mitigata la sanzione totale. Peraltro, si soggiungeva sempre in un’ottica di favor rei, doveva intendersi scontata per prima la pena che comportava le conseguenze più afflittive, ovvero quella correlata a reati ostativi. Secondo un diverso filone esegetico, l’unificazione di pene concorrenti, ove avesse compreso anche condanne per reati ostativi, avrebbe determinato l’intangibilità della durata originaria della reclusione inflitta per tali ultimi illeciti, i quali sarebbero quindi risultati impermeabili all’intervento mitigatore connesso all’art. 78 c.p. [2]. A tale conclusione si giungeva sulla scorta di due argomenti. In primo [continua ..]


4. Il ragionamento delle Sezioni Unite: rilievi conclusivi

La Suprema corte, nel suo consesso allargato, ha ritenuto di dare continuità all’ultimo, più rigoroso, indirizzo, affermando che le pene per reati ostativi oggetto di cumulo vanno considerate nella loro entità originale, anche in esito all’operazione di decurtazione svolta in ossequio all’art. 78 c.p. I Giudici premettono come entrambi gli indirizzi convergano nel rilevare che, ai fini dei benefici penitenziari, occorra procedere preliminarmente allo scioglimento del cumulo tra reati ostativi e non, considerando come espiata prima la pena per i primi rispetto alle altre oggetto di sommatoria. E questo, in nome dell’idea dominante per cui l’unificazione delle pene non può mai risolversi in un trattamento deteriore per il condannato. Tale consolidato indirizzo giurisprudenziale recepisce le indicazioni fornite dalla Consulta, già con la sentenza n. 361/1994 [1], poi recentemente ribadite con la sentenza n. 33/2022 [2], dove si è escluso che la disciplina dell’art. 4-bis o.p. abbia creato uno status di detenuto pericoloso destinato a permeare di sé l’intero rapporto esecutivo, a prescindere dallo specifico titolo di condanna concretamente in esecuzione. Con riferimento al secondo corno della questione, il Supremo collegio osserva, sul piano testuale e sistematico, come l’art. 78, comma 1, c.p. contempli un primo criterio moderatore, variabile e proporzionale, pari al quintuplo della pena più grave fra quelle unificate; il secondo, assoluto e fisso, in ragione del quale la pena da espiare non può comunque superare gli anni trenta. Da tale ultimo punto di vista, non vi sarebbe pertanto dubbio, ad avviso dei giudicanti, che il temperamento debba operare soltanto sulla pena complessiva, senza alcuna incidenza proporzionale sulle singole pene concorrenti. I compilatori, insomma, non avrebbero in alcun modo escogitato un meccanismo moderatore ispirato alla logica del temperamento percentuale delle pene collegate alle condanne cumulate, con l’effetto che quelle connesse ai reati ostativi, ai fini dell’operatività dei benefici penitenziari, si dovrebbero considerare nella loro consistenza originale anche dopo l’applicazione dell’abbattimento imposto dall’art. 78 c.p. Le Sezioni Unite hanno poi condiviso l’argomento di carattere logico, secondo cui la riduzione proporzionale delle singole sanzioni [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2024