Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Processo penale e testimonianza tributaria (di Giuseppe Biscardi, Ricercatore di Procedura penale – Università degli Studi di Roma Tor Vergata)


L’introduzione della prova testimoniale nel processo tributario potrebbe avere conseguenze rilevanti, all’interno dei processi di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, sotto almeno tre profili. In primo luogo, è sostenibile che tale novum conduca ad affermare l’efficacia del giudicato penale nel processo tributario, sinora smentita in virtù del richiamo, all’interno dell’art. 654 c.p.p., ai limiti di prova nel giudizio extrapenale quale fattore ostativo a detta efficacia.

Inoltre, potrebbe ritenersi consentita la sospensione del processo penale – con intuibili effetti in ordine alla regola costituzionale di ragionevole durata –, in precedenza inibita in ragione del riferimento, all’interno dell’art. 479 c.p.p., ai già richiamati limiti di prova.

Infine, ma non con minore rilevanza, la riforma del rito fiscale potrebbe incidere sul dibattuto tema del bis in idem processuale, come modellato dalla giurisprudenza europea; tenendo conto che la Corte costituzionale ha già affermato l’applicabilità del principio laddove il provvedimento extrapenale abbia preceduto la definizione del processo penale.

Criminal trial and taxation testimony

Taxation testimony as introduced in taxation proceedings might have relevant consequences in proceedings based on Legislative Decree number 74 of March 10th, 2000, under three profiles at least.

First of all, such a novelty might lead to effects of criminal decisions towards taxation proceedings, which is something that up to now had been escluded by the limits of proof in extracriminal proceedings based on art. 654 code of criminal proceeding.

Second, it might lead to a stay in criminal proceedings – with unwanted results as to the reasonable length constitutional principle – which was something excluded by art. 479 code of criminal proceeding concerning the limits of proof already mentioned.

Last not least, the taxation proceeding reform could interfere on the bis in idem principle as shaped by the European decisions, taking into account that the constitutional court has already stated such a principle, when the final extracriminal decision arrives before the criminal decision.

SOMMARIO:

1. L’introduzione della prova testimoniale nel processo tributario: riflessi sull’efficacia extrapenale del giudicato - 2. Oggetto del vincolo e tipologia di pronunce “idonee” - 3. Le limitazioni soggettive dell’efficacia vincolante - 4. (Segue): il doppio regime sul punto. Note critiche - 5. (Segue): eccezioni espresse e “di sistema” - 6. La delega per la revisione del sistema fiscale: cogenza del giudicato assolutorio “pieno” - 7. La possibile sospensione del processo - 8. Bis in idem, riforma del rito tributario e connessione tra procedimenti - NOTE


1. L’introduzione della prova testimoniale nel processo tributario: riflessi sull’efficacia extrapenale del giudicato

L’art. 4, comma 1, lett. c), l. 31 agosto 2022, n. 130 [1], ha introdotto la testimonianza nel processo tributario [2]. La prova sarà acquisita in forma scritta, con le modalità di cui all’art. 257-bis c.p.c. [3], anche d’ufficio e solo laddove il giudice dovesse ritenerla necessaria [4]. Tale aggettivazione non sembra condurre giocoforza a circoscrivere l’ambito operativo della norma ai soli casi in cui la decisione appaia impossibile in assenza del richiamato mezzo istruttorio; avendo piuttosto il legislatore prefigurato uno scenario di (notevole) rilevanza, nel caso concreto, di quest’ultimo [5]. La riforma ora illustrata [6] potrebbe condurre a propugnare l’attuale applicabilità, nei rapporti intergiurisdizionali in esame, dell’art. 654 c.p.p.; sinora ritenuto di regola inoperante [7] in virtù della clausola di inefficacia scattante al ricorrere di «limitazioni alla prova» rinvenibili nella «legge civile» [8]. Ai fini della sussistenza del vincolo, non rileva in senso negativo il permanere, all’interno dell’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546/1992, del divieto di giuramento; al contrario, quest’ultimo consacra il ripudio di verità “artificiali” [9], ponendosi pertanto in perfetta aderenza alla fisionomia ed agli obiettivi del processo penale. Allo stesso modo, non pare di ostacolo il rinvenimento, invero massiccio all’interno della normativa tributaria, di presunzioni [10]; nonostante l’orientamento di segno contrario della giurisprudenza [11]. Se queste ultime hanno carattere relativo, non paiono costituire un vero limite probatorio, attenendo piuttosto il fenomeno ad una peculiare ripartizione del relativo onere, il cui mancato adempimento produce “soccombenza istruttoria” [12]. Lo stesso pare potersi dire con riferimento alla previsione di cui all’art. 32, comma 4, d.p.r. n. 600/1973, che inibisce l’esame in favore del contribuente di notizie, dati e documenti non forniti [13] da quest’ultimo in risposta agli inviti dell’amministrazione finanziaria. Quest’ultima fattispecie sembra configurare una preclusione [14] alla prova “per decorso temporale”, piuttosto che un limite assoluto alla stessa [15]. D’altra parte, si è visto [16] che la prova testimoniale in sede [continua ..]


2. Oggetto del vincolo e tipologia di pronunce “idonee”

Prima di affrontare questioni più complesse, è forse opportuno rimarcare, in sintesi, le condizioni cui soggiace il vincolo di cui all’art. 654 c.p.p. Come noto, vengono in rilievo le sole pronunce irrevocabili di condanna [20] o assoluzione. L’uso di quest’ultimo termine impedisce equivoci: non trovano ingresso, al fine qui in esame, le sentenze di non doversi procedere per difetto di condizione di procedibilità [21], ovvero per estinzione del reato [22]. La pronuncia dovrà essere resa «in seguito a dibattimento» [23]: “fuori gioco”, quindi, provvedimenti emessi a seguito di riti differenziati [24], sentenze di non luogo a procedere a norma dell’art. 425 c.p.p. [25], ed a fortiori decreti penali di condanna ed archiviazioni [26]. La ratio della cernita appare chiara: solo la completezza di un’istruttoria svolta in contraddittorio e nel rispetto, per quanto possibile [27], del principio di immediatezza, legittima lo “straripamento” del dictum [28]. Il vincolo è altresì circoscritto ai «fatti materiali» [29] accertati: con più precisione, ai fatti oggetto di imputazione, ed a quelli che costituiscono presupposto indefettibile di quest’ultima [30]. Sebbene non sia agevole scindere le ricostruzioni fattuali operate in giudizio dai profili valutativi [31], l’ancoraggio al primo profilo esplica notevole influenza in subiecta materia, caratterizzata, come noto, da (sovr)ab­bondanza di fattispecie a connotazione valutativa. Così, la statuizione sull’effettivo sostenimento di una spesa, come quella sull’individuazione di chi abbia effettuato una cessione di beni ovvero una prestazione di servizi, sarà incontrovertibile. Viceversa, rimarranno impregiudicati i profili attinenti, ad esempio, all’inerenza, deducibilità e competenza temporale del costo, oppure il quesito se la cessione o la prestazione rientrino tra le operazioni assoggettate ad IVA, ed in caso positivo quale sia l’aliquota applicabile. Se, in tale ottica, a rilevare è l’accertamento positivo di un fatto [32], dovrebbe conseguirne l’inefficacia di assoluzioni basate su deficit probatorio [33]. Anche se la conclusione ha margini di opinabilità: se la ricostruzione penalistica prevale su quella effettuata in altra sede [continua ..]


3. Le limitazioni soggettive dell’efficacia vincolante

Pur volendo ritenere realizzata la rimozione del limite probatorio che sino al 16 settembre 2022 [37] ostava al dispiegamento delle prescrizioni di cui all’art. 654 c.p.p. all’interno del processo tributario, va tuttavia osservato che ciò non sarà sufficiente a ritenere che la sentenza penale, rectius l’accerta­mento dei fatti materiali in essa racchiuso, vincoli tout court il giudice dei tributi [38]. Infatti, è noto che tale accertamento è cogente solo nei confronti delle parti costituite [39], e non solo poste nella condizione di partecipare al processo penale, come invece accade per le ipotesi di cui agli artt. 651 e 652 c.p.p. Il dato letterale pare insormontabile [40]; pertanto, il vincolo sull’accertamento sarà soggetto a casualità, dipendendo in toto da una scelta potestativa (sic) dell’interessato. Applicando il tutto al caso qui in esame, paiono evidenti le conseguenze inique ed irragionevoli: l’imputato, parte necessaria del processo, in caso di condanna subirà il vincolo in sede extrapenale; l’assoluzione non gli darà (automatico) [41] giovamento, se non ad una condizione – appunto la costituzione di parte civile – dipendente in modo insindacabile dall’“antagonista”. Per tal via si incrina il sistema, ispirato a (tendenziale) autonomia tra le regiudicande [42]; e poco o nulla si aggiunge sotto il profilo funzionale, atteso che, si ripete, in assenza di partecipazione della parte eventuale, nel giudizio tributario potrà ridiscutersi ogni aspetto della controversia.


4. (Segue): il doppio regime sul punto. Note critiche

La ratio dell’apposizione di limiti soggettivi all’efficacia del giudicato appare chiara, e condivisibile: non può subire gli effetti di un provvedimento – rectius accertamento [43] – giurisdizionale chi non sia stato posto in grado di “concorrere” alla pronuncia esercitando, all’interno del processo “pregiudicante”, i propri diritti difensivi; in primis, attualizzando il concetto, il diritto alla prova e quello all’impu­gna­zione [44]. È evidente, quindi, che ai fini in esame non possano avere rilevanza figure “dimidiate” quali la persona offesa [45] o l’ente esponenziale di cui all’art. 91 c.p.p. Si è visto, tuttavia, che per le ipotesi di cui all’art. 654 c.p.p. ciò non è sufficiente, postulandosi l’effettiva costituzione in giudizio, e non la mera possibilità di partecipazione al processo. Pare opportuno interrogarsi sulle ragioni di tale distinguo, tanto invalicabile sul piano letterale quanto foriero, come appena ricordato, di distorsioni sistematiche e storture applicative rilevanti. Si è ritenuto [46] che una disciplina diversificata possa trovare fondamento in quanto nei giudizi non risarcitori, cui si riferisce l’art. 654 c.p.p., non è ravvisabile una totale corrispondenza dell’oggetto del giudizio, a differenza di quanto accade nei casi di cui agli artt. 651 e 652 c.p.p. In altri termini, la questione se il reato abbia prodotto un danno risarcibile è identica per chiunque debba deciderla; per questo si prevede che il giudice extrapenale debba ritenere vincolante il dictum “alieno”, riservandosi di determinare se [47] e/o in che misura [48] un danno si sia verificato. Viceversa, ad esempio, in un processo per falsità ideologica a norma dell’art. 479 c.p., laddove questo si concluda con condanna, occorrerà stabilire in sede amministrativa se tale condotta abbia prodotto un’alterazione decisiva sulla valutazione dei candidati ad una procedura concorsuale. A prescindere dall’esattezza di tale inquadramento [49], lo stesso non pare idoneo a sorreggere l’illustrata differenza di regimi processuali. Anche nelle ipotesi di coincidenza parziale dell’oggetto del giudizio, non sembra irragionevole ritenere sufficiente la possibilità, per il destinatario della decisione, di essere [continua ..]


5. (Segue): eccezioni espresse e “di sistema”

Le considerazioni precedenti potrebbero perdere perentorietà in base agli argomenti che seguono. In due occasioni la Corte costituzionale [53] ha affermato la sussistenza del vincolo pro iudicato nei confronti dell’amministrazione finanziaria, a prescindere dalla partecipazione di quest’ultima al processo penale; ed a prescindere altresì dall’(allora) asserita abrogazione, ad opera dell’art. 207 norme coord. c.p.p., dell’art. 12, comma 2, d.l. 10 luglio 1982, n. 429, conv. in l. 7 agosto 1982, n. 516 [54], in quanto tale vincolo promanerebbe dalla regola generale scolpita nell’art. 4, comma 2, l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E [55]. È interessante notare che i dicta della Consulta sono posteriori alle decisioni [56] in cui l’elisione della forza vincolante in discorso era stata ritenuta indispensabile al fine di non pregiudicare i diritti di chi non aveva potuto partecipare al processo penale. Potrebbe allora ipotizzarsi che il principio – pur inderogabile nella quasi totalità dei casi per rispetto del diritto costituzionale di difesa – possa conoscere mitigazioni e compressioni laddove la pronuncia penale impatti sull’agere della pubblica amministrazione [57]. Quest’ultima, per gli aspetti qui dirimenti, non è equiparabile al privato [58]; proprio con riferimento all’amministrazione finanziaria, si rinvengono poteri assai incisivi, tra i quali possono ricordarsi le potestà autoritative in tema di riscossione degli importi dovuti all’erario. Tale “supremazia” nei confronti del destinatario della pretesa fiscale sembra poter legittimare un’asimmetria, anche in punto di garanzie partecipative quali quella qui in rilievo, rispetto a quanto prescritto per quest’ultimo [59]. Del resto, un vincolo positivo specifico, apposto a prescindere dalla partecipazione dell’amministrazione finanziaria al processo penale, è rinvenibile nell’art. 21, comma 2, d.lgs. n. 74/2000, a norma del quale le sanzioni tributarie non sono eseguibili nei confronti di chi sia stato sottoposto a processo per i delitti di cui a tale d.lgs. [60], «salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto» [61]. In base a tale lettera, se [continua ..]


6. La delega per la revisione del sistema fiscale: cogenza del giudicato assolutorio “pieno”

L’art. 20, comma 1, lett. a), n. 3, l. 9 agosto 2023, n. 111, di delega al Governo per la riforma fiscale [66], prescrive di «rivedere i rapporti tra il processo penale e il processo tributario prevedendo, in coerenza con i principi generali dell’ordinamento, che, nei casi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso [67], i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario quanto all’accertamento dei fatti medesimi…». Tale disposizione, di apparente linearità, potrebbe invece aggiungere problemi in un ambito normativo già, come visto, disorganico. La “futuribile” circoscrizione alla formula totalmente liberatoria pone problemi di raccordo con la disciplina vigente, ammettendo che quest’ultima preveda l’applicabilità dell’art. 654 c.p.p. nel settore in esame [68]. Anzitutto, disporre che in futuro sarà operante l’efficacia della pronuncia assolutoria “piena” autorizza a ritenere che la stessa non sia, allo stato, riscontrabile. Inoltre, la legge delega tace sulle sentenze di condanna: potrebbe ritenersi, al di fuori del caso disciplinato dall’art. 20, comma 1, lett. a), n. 3, l. n. 111/2023, applicabile l’art. 654 c.p.p., con conseguente rilevanza di tutte le pronunce richiamate in quest’ultimo [69]; tuttavia la conclusione pare incongrua, atteso che la disposizione codicistica già sancisce tale rilevanza anche per le assoluzioni, quale che sia la formula di chiusura [70]. A tal proposito, prescrivere, come fa la legge delega, che il vincolo dovrà sorgere (solo) in caso di assoluzione totalmente “liberatoria” potrà indurre a ritenere, sebbene in modo paradossale, l’insussistenza dell’effetto in questione nelle altre ipotesi di cui all’art. 530 c.p.p. Ovvero, dovrà concludersi nel senso dell’intenzione del legislatore delegante di imporre il vincolo, nei (soli) casi espressamente richiamati, a prescindere dalla costituzione di parte civile dell’am­ministrazione finanziaria: condizione viceversa, come visto, oggi irrinunciabile, stante l’inequi­voco testo dell’art. 654 c.p.p. Tale approdo sarebbe in linea con quanto esposto in precedenza, circa l’opera­tività incondizionata dell’accertamento nei [continua ..]


7. La possibile sospensione del processo

L’avvento della prova testimoniale nel rito tributario sembra altresì aprire le porte all’eventuale sospensione del processo penale, sinora impedita in virtù della sussistenza di limiti alla prova in sede extrapenale, preclusivi della stasi in base all’univoca prescrizione di cui all’art. 479, comma 1, c.p.p. [80]. La sospensione, tuttavia, sarà consentita solo se la controversia pregiudiziale extrapenale [81], rectius la soluzione di quest’ultima, sia necessaria a decidere «sull’esistenza del reato» [82]: problemi circa la sussistenza di elementi accidentali quali le circostanze [83], quindi, non permetteranno il blocco del processo [84]. Ad esempio, sarà idonea allo scopo la sussistenza di controversia [85] in ordine alla qualificazione soggettiva di sostituto d’imposta [86]; purché tale lite presenti caratteristiche di «particolare complessità» [87]. Anche la possibilità di sospendere il processo, “indotta” dalla caduta del divieto di testimonianza in sede tributaria, genera perplessità. Amplificandosi il possibile attentato alla regola di ragionevole durata di cui all’art. 111, comma 1, secondo periodo, Cost.; la quale, pur non potendo intendersi quale grimaldello per scardinare le garanzie insite nel giusto processo costituzionale [88], non di meno racchiude un nucleo principale ed essenziale volto a favorire la celerità dei tempi di trattazione delle controversie, anche a tutela dell’efficacia della risposta giudiziaria [89]. Ulteriori profili critici possono essere ravvisati nella circostanza che il vulnus segnalato fonda su ragioni la cui valenza sistematica appare (più che) dubbia. Anzitutto, si è di fronte a sospensione, per così dire, “monca”, in quanto finalizzata a recepire un dictum inidoneo a vincolare il giudice penale ed utile, al più, a fornire supporto probatorio [90]. La conclusione pare incontrovertibile, osservando che, in un ambito sistematico connotato da (tendenziali) autonomia valutativa e separatezza tra le giurisdizioni, l’art. 479 c.p.p. è silente sul punto, a differenza di quanto disposto dall’art. 3, comma 4, c.p.p. Inoltre, l’assetto che emerge da quanto sopra è paradossale: da un lato è consentito sospendere [91], con vistosa deroga al [continua ..]


8. Bis in idem, riforma del rito tributario e connessione tra procedimenti

È noto che le fonti sovranazionali [95] dispongono, nei rispettivi ambiti di competenza e con differenze lessicali che non paiono qui decisive, oltre al ne bis in idem sostanziale [96], il divieto di altro processo per lo stesso fatto [97], quando nel primo si è formato il giudicato [98]. Ne consegue che il principio non trova applicazione nei casi di litispendenza [99]; la conclusione è corretta sul piano tecnico, ma “politicamente” iniqua. A prescindere dai rimedi procedurali escogitabili, se la ratio del ne bis in idem processuale è, insieme alla salvaguardia della certezza dei rapporti giuridici, quella di evitare il turbamento emotivo e gli aggravi gestionali causati dalla sottoposizione a più giudizi in eadem re [100], non può negarsi che tali inconvenienti si verifichino, in forma persino accentuata [101], anche in caso di contestuale pendenza di più processi per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona. In proposito, è noto che un temperamento a tale iniquità è stato posto, facendo leva “elastica” sull’art. 649 c.p.p. [102], dai giudici di legittimità [103], che nell’ipotesi di litispendenza presso lo stesso ufficio giudiziario afferma l’obbligo di “chiudere” il secondo processo, con sentenza di non doversi procedere, proprio in ragione dell’impedimento costituito dall’esistenza del primo [104]. È altrettanto noto che, secondo la giurisprudenza europea [105], il divieto in questione opera anche a fronte di procedimenti [106] extrapenali, che d’altro canto siano idonei a condurre all’irrogazione di sanzioni sostanzialmente penali; così definite in base a criteri da tempo [107] individuati, e consistenti in estrema sintesi dalla natura afflittiva della risposta sanzionatoria, prevalente su finalità riparativo/risarcitorie. Non pare dubbio che tale connotazione sia propria delle sanzioni tributarie [108]. A fronte di tale quadro, è noto che la Corte costituzionale, dopo alcuni pronunciamenti negativi [109] in ordine alla rinvenibilità del bis in idem nel caso sopra ricordato, è giunta a dichiarare [110] l’illegittimità dell’art. 649 c.p.p. [111], nella parte in cui non prevede l’obbligo, per il giudice penale, di dichiarare di non [continua ..]


NOTE