Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Le prerogative parlamentari (e non solo) nell'era della virtual communication (di Agnese Del Giudice, Assegnista di ricerca in Diritto processuale penale – Università del Salento)


La Corte costituzionale coglie l’occasione offerta da un conflitto di attribuzione per meglio definire il perimetro applicativo del diritto a comunicare riservatamente nell’età del dato. Lo fa attraverso un’argomentazione “a matrioska”: premette che l’acquisizione di posta elettronica e instant messaging contenuti in un dispositivo non è qualificabile come intercettazione, ma come sequestro; appura che lo scambio di e-mail, SMS, WhatsApp e simili rappresenta, di per sé, una forma “contemporanea” di corrispondenza agli effetti degli artt. 15 e 68, comma 3, Cost.; e chiarisce – in modo fortemente innovativo – che la tutela costituzionale del diritto a comunicare riservatamente riguarda, persino nella forma rafforzata dell’art. 68 Cost., anche il momento “statico” dello scambio comunicativo, cioè quello successivo alla ricezione e presa visione del messaggio da parte del destinatario. Una decisione, in sé ineccepibile, che schiude nuovi scenari: se la posta elettronica e la messaggistica sono una forma di comunicazione, il sequestro probatorio del device, quando si estende a tali dati comunicativi in esso contenuti, è uno strumento sufficiente a garantire la tutela costituzionale dell’art. 15 Cost.?

Parliamentary prerogatives (and not only) in the era of virtual communication

The Italian Constitutional Court takes the opportunity offered by a conflict of attribution to better define the scope of application of the “right to communicate confidentially” in the digital age, establishing how the digital acquisition of e-mail and instant messaging contained in a device does not qualify as interception, but as seizure; how the exchange of e-mails, SMS, WhatsApp and similar form of digital communications, represents a “contemporary” form of correspondence for the purposes of the articles 15 and 68, paragraph 3, of the Italian Constitution, and clarifies – in a highly innovative way – that the constitutional protection of the “right to communicate confidentially” concerns, even in the strengthened form of the art. 68 of the Constitution, also the “static” moment of the communicative exchange, i.e. the one following the reception and viewing of the message by the recipient. A ruling, which opens up new scenarios: if e-mail and messaging are a form of communication, the evidentiary seizure of the device, when it extends to such communication data contained therein, is a sufficient tool to guarantee the protection of the constitutional right of the art. 15 of the Italian Constitution?

Perquisizione e sequestro di corrispondenza telematica nei confronti dei membri del Parlamento MASSIMA: La Corte costituzionale: 1) dichiara che non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze acquisire agli atti del procedimento penale iscritto al n. 3745 del registro generale delle notizie di reato del 2019, sulla base di decreti di perquisizione e sequestro emessi il 20 novembre 2019, corrispondenza riguardante il senatore Matteo Renzi, costituita da messaggi di testo scambiati tramite l’applicazione WhatsApp tra il senatore Renzi e V.U.M. nei giorni 3 e 4 giugno 2018, e tra il senatore Renzi e M.C. nel periodo 12 agosto 2018-15 ottobre 2019, nonché da posta elettronica intercorsa fra quest’ultimo e il senatore Renzi, nel numero di quattro missive, tra il 1° e il 10 agosto 2018; 2) annulla, per l’effetto, il sequestro dei messaggi di testo scambiati tra il senatore Matteo Renzi e V.U.M. nei giorni 3 e 4 giugno 2018; 3) dichiara che spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze acquisire agli atti del procedimento penale n. 3745/2019 R.G.N.R., tramite decreto di acquisizione emesso l’11 gennaio 2021, l’estratto del conto corrente bancario personale del senatore Matteo Renzi relativo al periodo 14 giugno 2018-13 marzo 2020. PROVVEDIMENTO: [Omissis] RITENUTO IN FATTO 1.– Con ricorso depositato l’11 maggio 2022 (reg. confl. poteri n. 10 del 2022), il Senato della Repubblica ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze, per avere quest’ultima acquisito agli atti del procedimento penale iscritto al n. 3745 del registro generale delle notizie di reato del 2019, pendente nei confronti del senatore Matteo Renzi e di altri soggetti, corrispondenza scritta riguardante il medesimo senatore Renzi senza previa autorizzazione del Senato (in quanto mai richiesta), menomando con ciò le attribuzioni garantite a quest’ultimo dall’art. 68, terzo comma, della Costituzione. 1.1.– Premesso che il senatore Renzi era in carica dal 9 marzo 2018, data della proclamazione, e che da tale data dunque fruiva della prerogativa di cui al citato art. 68, terzo comma, Cost., il ricorrente deduce che, nell’ambito dell’attività investigativa relativa al procedimento penale dianzi indicato, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze ha in particolare acquisito, attraverso il sequestro di dispositivi mobili di comunicazione appartenenti a terzi, messaggi di testo scambiati tramite l’applicazione WhatsApp (d’ora in avanti, per brevità, anche: «messaggi WhatsApp») tra il senatore Renzi e V. U. M. nei giorni 3 e 4 giugno 2018, e tra il senatore Renzi e M. C. nel periodo 12 agosto 2018-15 ottobre 2019, nonché corrispondenza intercorsa tramite e-mail fra [continua..]

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SOMMARIO:

1. Le questioni sul tavolo della Consulta - 2. Tra norma e tecnologia: un nuovo concetto di “corrispondenza” - 3. (segue) Il diritto a comunicare riservatamente nell’età del dato: anche i messaggi rinvenuti nel device sono corrispondenza - 4. (segue) La precisazione relativa all’acquisizione dell’estratto-conto bancario - 5. Il diniego di autorizzazione quale divieto d’uso nei confronti dei terzi - 6. È ancora buio sotto al faro? - NOTE


1. Le questioni sul tavolo della Consulta

La sentenza n. 170/2023 [1] è pioniera di modernità. Prende in carico i problemi sottesi alla vita always connected, in cui lo svolgersi della personalità e delle relazioni sociali ed economiche trova la sua sede privilegiata nel digitale. E risponde a un imperativo: coniugare le necessità investigative e probatorie con il rispetto dei diritti individuali, travolti dall’incedere impetuoso dell’evoluzione tecnologica. Il passaggio «dall’atomo al bit» [2], invero, ha sconvolto le abitudini di interazione, rendendole notevolmente più rapide ed efficienti e ha agevolato il diffondersi di canali comunicativi che in passato apparivano difficilmente realizzabili o fruibili, anche a causa dei costi connessi al loro funzionamento: mai, prima d’ora, la tecnologia aveva investito un così ampio ventaglio di attività e messo in contatto milioni di utenti; mai, come ora, le occasioni di conflitto fra esigenze investigative e libertà e segretezza delle comunicazioni si sono presentate così numerose. Così, il giudice delle leggi, abile e lungimirante [3], ha innovato il sistema, interessando, con le sue determinazioni, lo strato geologico più profondo su cui esso si incardina. L’occasione per l’intervento della Corte è rappresentato da un conflitto di attribuzione promosso dal Senato della Repubblica nei confronti della Procura di Firenze nell’ambito di un procedimento penale a carico, tra gli altri, di un parlamentare. La questione dibattuta, di per sé, è chiara e lineare: verificare se l’autorità inquirente, sequestrando device appartenenti a comuni cittadini e acquisendo e-mail e messaggi WhatsApp scambiati con un senatore ivi memorizzati, nonché il suo estratto-conto bancario, senza la previa autorizzazione della Camera di appartenenza, abbia eluso il regime di garanzia delle prerogative parlamentari previsto dal­l’art. 68, comma 3, Cost. e dall’art. 4 l. 20 giugno 2003, n. 140 (c.d. “Legge Boato”) che della disposizione sovraordinata costituisce attuazione. Il ricorrente, invero, dubitava che il pubblico ministero fiorentino avesse agito nei confini del costituzionalmente consentito: la guarentigia accordata dall’art. 68, comma 3, Cost. riguarderebbe tutta la corrispondenza del parlamentare, sia essa cartacea, recapitata a mezzo posta, che [continua ..]


2. Tra norma e tecnologia: un nuovo concetto di “corrispondenza”

Tutto sembrava presagire una risoluzione rapida della questione sulla scorta di precedenti consolidati nella giurisprudenza di legittimità la quale, dinanzi a un legislatore «dal passo troppo lento» rispetto al «galoppante procedere della innovazione tecnologica» [7], si era già espressa – con orientamento costante – sulle modalità acquisitive di messaggi telematici rinvenuti in un device: non potendo trovare applicazione né la disciplina delle intercettazioni, riservata ai flussi comunicativi in fieri, né quella relativa al sequestro di corrispondenza di cui all’art. 254 c.p.p., la quale implica un’attività di inoltro o spedizione in corso [8], e-mail, SMS e messaggistica istantanea andrebbero considerati meri documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p. [9], acquisibili, dunque, previo sequestro del dispositivo, mediante riproduzione fotografica a cura degli inquirenti, ovvero – secondo una più recente e audace linea esegetica – a mezzo screenshot effettuato, anche clandestinamente, da uno dei colloquianti o da chi sia stato ammesso ad assistere (attivamente o passivamente) alla conversazione [10]. In quest’ordine di idee, le guarentigie di cui agli artt. 15 e 68, comma 3, Cost. si arresterebbero dinanzi alla trasmissione e ricezione del messaggio, non estendendosi alla dimensione “statica” della comunicazione. L’approdo ermeneutico del giudice di legittimità, tuttavia, non persuade la Corte, la quale ha preferito sviluppare una ratio decidendi in grado di schiudere promettenti prospettive. Le conclusioni cui essa è pervenuta sono sorrette da un chiaro percorso motivazionale, saldamente ancorato a tre cardini. Il primo ruota attorno alla distinzione tra intercettazione e sequestro di corrispondenza, fondamentale ai fini della risoluzione del conflitto di attribuzione, trattandosi di istituti sì ricompresi nel novero degli atti per i quali l’art. 68, comma 3, Cost. prescrive l’autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza, ma sottoposti, a livello di legge ordinaria, ad una disciplina affatto differente nell’ipotesi in cui lo strumento investigativo agganci il dispositivo di soggetti terzi che gravitano attorno al parlamentare (art. 6 l. n. 140/2003) [11]. La premessa (implicita) dell’argomentare della Corte è piuttosto ovvia: il modo [continua ..]


3. (segue) Il diritto a comunicare riservatamente nell’età del dato: anche i messaggi rinvenuti nel device sono corrispondenza

Il terzo e decisivo cardine della pronuncia riguarda una questione storicamente controversa, ampiamente divisiva (ancorché precedente al boom tecnologico), riassumibile in un quesito: sin quando una comunicazione può considerarsi attuale? Fintantoché – direbbero alcuni – il destinatario non abbia preso conoscenza del messaggio recapitatogli [38]; oppure, secondo altri, fin quando non sia trascorso un tempo tale – variamente determinabile secondo i casi – da far perdere alla comunicazione il carattere riservato e facendogliene acquisire uno puramente storico [39]. La scelta tra l’una e l’altra soluzione definisce la linea di confine oltre la quale viene meno la copertura costituzionale del diritto a comunicare riservatamente. Attraverso un argomentare che ricalca, in larga misura, i contenuti delle pronunce che l’hanno preceduta e con puntuali rinvii alla giurisprudenza di legittimità e della Corte e.d.u., il giudice delle leggi – sposando, in tal modo, la tesi sostenuta dal ricorrente – aderisce all’orientamento secondo cui la tutela costituzionale di cui all’art. 15 Cost., accordata a partire dal momento in cui viene scelto e utilizzato il mezzo di trasmissione del pensiero (animus), non si esaurirebbe con l’avvenuto recapito del messaggio e la presa di cognizione del suo contenuto da parte del destinatario, ma permarrebbe finché la comunicazione conservi carattere di attualità e interesse per i corrispondenti. Ha manifestato, pertanto, tutte le sue perplessità in ordine al pur consolidato indirizzo interpretativo del giudice di legittimità (richiamato dalla resistente), secondo cui i messaggi di posta elettronica, SMS e WhatsApp, già ricevuti e memorizzati nel dispositivo del mittente o del destinatario, devono essere considerati semplici documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p. [40], essendo venuta meno l’attualità della comunicazione al momento della ricezione. Non solo. Ha riconosciuto apertamente che avallare tale orientamento significherebbe agevolare il rischio di un’elusione del dettato costituzionale da parte degli inquirenti, i quali, anziché captare le comunicazioni nel momento in cui si svolgono, ne attenderebbero la conclusione (che nel caso dei messaggi elettronici è pressoché coeva), per poi acquisire il device in cui vi è traccia dello [continua ..]


4. (segue) La precisazione relativa all’acquisizione dell’estratto-conto bancario

Dopo la fitta argomentazione imbastita sulla corrispondenza telematica, la Corte ha avuto gioco facile nel verificare se anche l’estratto-conto bancario del parlamentare, oggetto di acquisizione da parte degli inquirenti, dovesse essere ricompreso nel concetto di «corrispondenza» costituzionalmente rilevante. Le è bastato osservare che se si fosse trattato del documento spedito periodicamente dalla banca al correntista [50] avrebbero certamente operato le guarentigie di cui agli artt. 15 e 68, comma 3, Cost., trattandosi di “corrispondenza bancaria” [51]. Tuttavia, l’estratto conto del senatore figurava tra gli atti d’indagine in quanto allegato a segnalazioni di operazioni bancarie sospette acquisite aliunde sulla base della normativa antiriciclaggio di cui al d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231. Mancava, cioè, un’attività di comunicazione o spedizione: la circostanza che il documento bancario debba essere trasmesso periodicamente al cliente (art. 119 d.lgs. n. 231/2007) non lo qualifica, sic et simpliciter, come corrispondenza, quantomeno finché a tale invio non si provveda. Né varrebbe obiettare che l’estratto-conto sia da considerarsi tale perché contiene dati riservati del correntista; ricorda, infatti, la Corte che l’art. 68, comma 3, Cost. non mira a salvaguardare la riservatezza delle comunicazioni del parlamentare in quanto tale, il quale, da questo punto di vista, gode delle medesime garanzie previste dall’ordinamento per la generalità dei cittadini. Pertanto, il ricorso del Senato, limitatamente a tale atto investigativo, non può essere accolto. Un breve passaggio motivazionale che, al di là di ciò che a prima vista appare, rappresenta per il giudice delle leggi l’occasione – immediatamente colta – di ribadire le proprie convinzioni circa la ratio e la portata applicativa delle due disposizioni costituzionali. La prima. Affinché vi sia una comunicazione tutelata dall’art. 15 Cost. si renderà necessario verificare, preliminarmente, la sussistenza dell’avvenuta “trasmissione” del pensiero da un soggetto ad un altro, a nulla rilevando il contenuto comunicato [52] ... in claris ..., verrebbe da dire! Si tratta, tuttavia, di una precisazione forse opportuna alla luce dei recenti rivoli giurisprudenziali sull’attività di screenshot [continua ..]


5. Il diniego di autorizzazione quale divieto d’uso nei confronti dei terzi

La decisione in commento si distingue anche per l’indiscutibile approccio “pratico”. La Corte costituzionale, infatti, non solo ridefinisce la nozione di corrispondenza (includendovi i messaggi telematici, anche se già ricevuti e letti dal destinatario), ma detta un vero e proprio vademecum per il pubblico ministero che voglia acquisire la corrispondenza del parlamentare rinvenuta nel dispositivo elettronico di un comune cittadino. Ammette, quindi, il sequestro del device appartenente al terzo (“contenitore”), anche quando gli inquirenti abbiano previsto che nello stesso siano memorizzati messaggi del parlamentare. Vieta, invece, in assenza dell’autorizzazione preventiva ex art. 4 l. n. 140/2003, l’estrazione dei messaggi telematici inviati o ricevuti dal membro del Parlamento (“contenuto”), anche se processualmente spendibili nei confronti dell’indagato “non politico”. Più nel dettaglio, il giudice costituzionale consente all’inquirente di acquisire dal device sottoposto a sequestro (o dalla copia-clone) tutto ciò che nulla abbia a che vedere con il soggetto beneficiario dell’immunità e impone di sospendere le attività di estrazione eventualmente già avviate per richiedere l’autorizzazione a norma dell’art. 4 l. n. 140/2003 qualora dovesse riscontrare la presenza di messaggistica scambiata con il parlamentare; a nulla rileverebbe, infatti, che l’acquisizione del fingered speech sia “mirata”, piuttosto che “fortuita”, posto che il sequestro di corrispondenza non è menzionato tra gli atti investigativi per i quali l’art. 6 l. n. 140/2003 richiede l’autorizzazione (ex post) all’utilizzo processuale delle risultanze già acquisite, né potrebbe intendersi come ricompreso in via interpretativa dal momento che in materia di deroghe al principio di uguaglianza dinanzi alla giurisdizione sono ammesse soltanto le interpretazioni strettamente aderenti al dato letterale della norma. Trattasi di un modulo procedurale che – nelle convinzioni della Consulta – garantirebbe un punto di equilibrio tra gli interessi in gioco, «evitando inopportune dilatazioni degli effetti propri della prerogativa parlamentare, che rischierebbero di penalizzare in modo ingiustificato le stesse iniziative dell’au­torità giudiziaria volte [continua ..]


6. È ancora buio sotto al faro?

L’attualità del dibattito sulle coordinate tracciate dalla pronuncia n. 170/2023 origina, in buona parte, dall’impossibilità per i giuristi di offrire risposte certe a una domanda fondamentale: la lungimiranza dei giudici costituzionali verrà (ac)colta dal diritto vivente e dal legislatore? Ci sono, invero, due importanti questioni su cui riflettere. La prima riguarda il futuro interpretativo della nozione di corrispondenza. La seconda, invece, l’opportunità di innalzare il livello delle garanzie in materia di sequestro di comunicazioni memorizzate in un device. Riguardo alla prima questione, il giudice di legittimità pare abbia già risposto a quanti si erano interrogati sulle sorti del diritto vivente in tema di sequestro di e-mail, SMS e messaggistica istantanea, ossia sulla possibilità che la Suprema corte si rifiutasse di considerare il messaggio informatico già ricevuto e letto dal destinatario come “corrispondenza” costituzionalmente rilevante [67]. La giurisprudenza di legittimità si è fatta guidare dalle argomentazioni della Corte: un vero e proprio turnaround siglato in occasione della decisione sull’acquisizione all’estero della messaggistica criptata sulla piattaforma SKY-ECC [68] a cui, peraltro, si è accompagnata una rimessione alle sezioni unite per valutare se l’acquisizione mediante O.E.I. di messaggi su chat di gruppo presso autorità straniere che ne hanno eseguito la decrittazione costituisca un’acquisizione di «documenti e di dati informatici ai sensi dell’art. 234-bis cod. proc. pen. o di documenti ex art. 234 cod. proc. pen. o sia riconducibile in altra disciplina relativa all’acquisizione di prove» [69]. La seconda questione è strettamente connessa ad una delle affermazioni più innovative della pronuncia in commento: il cellulare è solo il “contenitore” dello scambio comunicativo tutelato dall’art. 15 Cost. La Corte, cioè, switcha ad un livello successivo, posto che il problema non è più esclusivamente legato all’acquisizione del solo dato esterno alla comunicazione del quale l’apparato mantiene traccia, ma all’acquisizione del dato comunicativo in sé. Detto diversamente, la natura comunicativa di e-mail, SMS e messaggistica istantanea non può essere obliterata [continua ..]


NOTE