Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La legittimazione ad impugnare del pubblico ministero: un “manuale di istruzioni” dalle Sezioni unite (di Francesca Delvecchio, Ricercatore di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Bari “A. Moro”)


L’art. 593-bis c.p.p. ha modificato in modo significativo il rapporto paritario, disegnato nella disciplina codicistica previgente, tra la legittimazione ad impugnare del pubblico ministero di primo e secondo grado, differenziando e graduando il rapporto tra i due uffici requirenti. Il laconico dato testuale, però, ha alimentato dubbi interpretativi e aporie applicative; di qui, il necessario intervento delle Sezioni unite, chiamate a chiarire la natura e l’estensione della legittimazione del procuratore generale ad appellare, onde poi risolvere la relazione esistente tra tale forma di legittimazione e quella a proporre il ricorso per cassazione per saltum o, in alternativa, ordinario.

The Public Prosecutor’s standing to appeal: a “user manual” from the Joint Sections

Article 593-bis of the Criminal Procedure Code significantly modified the equal relationship, designed in the previous codified discipline, between the legitimacy to challenge of the first and second-degree public prosecutor, differentiating and grading the relationship between the two prosecuting offices. However, the concise textual data has fueled interpretative doubts and practical uncertainties. Hence, the necessary intervention of the Joint Sections, called upon to clarify the nature and scope of the legitimacy of the Attorney General to appeal, to then resolve the existing relationship between this form of legitimacy and the one to propose the appeal to the Court of Cassation “per saltum” or, alternatively, ordinary appeal.

Appello del procuratore generale: le precisazioni della Corte MASSIMA: La legittimazione del procuratore generale della Repubblica a proporre appello avverso le sentenze di primo grado a seguito dell’acquiescenza del procuratore della Repubblica consegue alle intese o alle altre forme di coordinamento richieste dall’art. 166-bis disp. att. c.p.p. che impongono al primo di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni del secondo in ordine all’impugnazione della sentenza. L’acquiescenza del procuratore della Repubblica al provvedimento non è riferibile anche al pubblico ministero che abbia presentato le conclusioni nel giudizio di primo grado. In assenza delle condizioni per proporre appello ai sensi dell’art. 593-bis, comma 2, c.p.p., il procuratore generale non è legittimato a proporre ricorso immediato per cassazione ex art. 569 c.p.p. né ricorso ordinario ai sensi degli artt. 606, comma 2, e 608 c.p.p. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1.– Con la sentenza sopra indicata il Tribunale di Catanzaro dichiarava non doversi procedere nei confronti di A.V. in relazione ai reati di cui agli artt. 570, comma 1, c.p. (capo 1) e 12-sexies L. 1 dicembre 1970, n. 898 (capo 2), ora previsti dall’art. 570-bis c.p., commessi, dal (Omissis) con perduranza, in danno rispettivamente di M.C., dopo la loro separazione coniugale e dopo lo scioglimento del relativo vincolo matrimoniale, e dei figli A.R. e A.P., in quanto delitti ritenuti entrambi estinti per intervenuta remissione di querela. 2. Avverso tale sentenza presentava ricorso immediato ai sensi dell’art. 569 c.p.p. il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro, il quale, con un unico motivo, deduceva la violazione di legge in relazione ai citati artt. 12-sexies L. n. 898 del 1970 e 570-bis c.p., per avere il Tribunale di Catanzaro erroneamente dichiarato la estinzione del reato di omessa corresponsione del­l’assegno divorzile, contestato al capo d’imputazione 2), benché si tratti di illecito procedibile d’ufficio. In particolare, il ricorrente evidenziava come il rinvio contenuto nel predetto art. 12-sexies all’art. 570 c.p. si riferisse esclusivamente al trattamento sanzionatorio previsto per il delitto codicistico di violazione degli obblighi di assistenza familiare e non anche al relativo regime di procedibilità; e come tale valutazione fosse tuttora valida, anche dopo che l’art. 12-sexies era stato formalmente abrogato dall’art. 7 D.Lgs. n. 1 marzo 2018, n. 21, dato che la relativa disposizione incriminatrice era in sostanza confluita in quella dettata dall’art. 570-bis c.p., inserito nel codice dall’art. 2, comma 1, lett. c), D.Lgs. cit. 3. Con ordinanza del 18 ottobre 2022 la Sesta Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618 c.p.p., [continua..]

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SOMMARIO:

1. I quesiti all’attenzione delle Sezioni unite - 2. Alle origini del cortocircuito applicativo: l’acquiescenza del procuratore della Repubblica, fra riforma e prassi giudiziaria - 3. (Segue) La natura dell’acquiescenza secondo le Sezioni unite - 4. La delimitazione soggettiva dell’acquiescenza. Il secondo quesito - 5. La legittimazione del procuratore generale a proporre ricorso per cassazione. L’ultima questione affrontata dalle Sezioni unite - 6. Il cantiere sempre aperto delle impugnazioni - NOTE


1. I quesiti all’attenzione delle Sezioni unite

Con la pronuncia in commento le Sezioni unite della Corte di cassazione si cimentano in una vera e propria actio finium regundorum della legittimazione soggettiva ad impugnare del pubblico ministero di cui all’art. 593-bis c.p.p. La disposizione, infatti, sin dalla sua introduzione ad opera del d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11 [1], ha sollevato molteplici dubbi interpretativi e applicativi, che hanno animato il dibattito delle sezioni semplici sino a stimolare l’intervento del Supremo Consesso [2]. Più nel dettaglio, si chiedeva alle Sezioni unite se il ricorso per cassazione proposto dal procuratore generale presso la Corte di appello potesse essere qualificato come ricorso immediato ex art. 569 c.p.p. anche quando risultino carenti le condizioni da cui dipende la legittimazione a proporre appello da parte dello stesso procuratore generale, ai sensi dell’art. 593-bis, comma 2, c.p.p.; ovvero si dovesse qualificare come ricorso per cassazione ordinario ai sensi dell’art. 606, comma 2, c.p.p. La corretta risoluzione del quesito a valle, tuttavia, imponeva di affrontare a monte alcune questioni pregiudiziali in riferimento a: a) i presupposti che, in generale, legittimano il procuratore generale ad appellare la sentenza ai sensi dell’art. 593-bis, comma 2, c.p.p. nonché le modalità attraverso cui può essere manifestata l’acquiescenza del procuratore della Repubblica; b) l’ambito soggettivo dell’ac­quiescenza, ed in particolare se essa sia riferibile alla sola figura del procuratore della Repubblica presso il Tribunale o anche a quella del rappresentante dell’ufficio del pubblico ministero che ha formulato le sue conclusioni nel corso del giudizio di primo grado. L’ampiezza dei temi devoluti si rispecchia nel corposo provvedimento delle Sezioni unite, che tentano di chiarire la natura e l’estensione della legittimazione del procuratore generale ad appellare ai sensi dell’art. 593-bis c.p.p., onde poi risolvere la relazione esistente tra tale forma di legittimazione e quella a proporre il ricorso per cassazione per saltum o, in alternativa, ordinario.


2. Alle origini del cortocircuito applicativo: l’acquiescenza del procuratore della Repubblica, fra riforma e prassi giudiziaria

Quali presupposti legittimano il procuratore generale ad appellare la sentenza ai sensi dell’art. 593-bis, comma 2, c.p.p.? É il primo quesito con cui si confronta la sentenza in commento e la sua corretta risoluzione rappresenta l’antecedente logico e giuridico per affrontare le questioni successive. La pronuncia, innanzitutto, si dedica alla morfogenesi della disposizione. Introdotto in occasione del restyling del 2018 [3], l’art. 593-bis c.p.p. ha modificato in modo significativo il rapporto paritario, disegnato nella disciplina codicistica previgente, tra la legittimazione ad impugnare del pubblico ministero di primo e quello di secondo grado, introducendo una deroga al principio della tendenziale fungibilità fra la posizione del procuratore della Repubblica e del procuratore generale presso la Corte di appello previsto, in termini generali, dall’art. 570 c.p.p. [4]. La scelta del legislatore, del resto, muoveva proprio dalla pluralità di soggetti dell’accusa abilitati ad appellare, e risultava orientata a una evidente semplificazione rispetto a posizioni caratterizzate da interessi sostanzialmente sovrapponibili, allo scopo di arginare il fenomeno delle impugnazioni di merito concorrenti [5]. Non tanto deflazione dei gravami [6], dunque, quanto, piuttosto, una reductio ad unum del potere impugnatorio in capo alla parte pubblica, con conseguente semplificazione del lavoro dei giudici d’ap­pello, sollevati dall’esaminare, specie nei procedimenti cumulativi, una duplicità di appelli della parte pubblica, talvolta neppure ben coordinati fra loro [7]. A tale scopo risponde l’innesto dell’art. 593-bis c.p.p., che ha reso residuale il potere di impugnazione dell’organo di accusa di secondo grado: si prevede, infatti, che contro le sentenze del giudice per le indagini preliminari, della Corte d’assise e del Tribunale [8] possa appellare – in via prioritaria – il procuratore della Repubblica presso il Tribunale, mentre la stessa facoltà può essere esercitata dal procuratore generale presso la Corte di appello nelle sole ipotesi di avocazione oppure qualora il pubblico ministero di primo grado abbia prestato acquiescenza al provvedimento. Per favorire una proficua interlocuzione fra gli uffici, indispensabile per il corretto funzionamento del meccanismo de quo, il d.lgs. n. 11/2018 ha pure introdotto [continua ..]


3. (Segue) La natura dell’acquiescenza secondo le Sezioni unite

Ricostruiti gli orientamenti emersi nella giurisprudenza di legittimità, le Sezioni unite si dedicano quindi alla risoluzione del primo quesito, aderendo – sebbene non integralmente – al primo filone ermeneutico. Innanzitutto, la pronuncia si concentra su un’interpretazione letterale del dato normativo, proponendo un sillogismo argomentativo logicamente impeccabile. La premessa maggiore del ragionamento è che, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. a), c.p.p., la legittimazione ad impugnare deve essere valutata al momento della presentazione dell’atto [22]. Quanto alla premessa minore, l’art. 593-bis c.p.p. indica chiaramente, come presupposto della legittimazione ad appellare del procuratore generale, l’acquiescenza del procuratore della Repubblica. La conclusione, a rigore, è che l’acquiescenza costituisca un fatto processuale che deve sussistere al momento dell’impugnazione, legittimandola. Se, però, essa è un presupposto della legittimazione del procuratore generale, ma discende logicamente e giuridicamente dallo spirare del termine per impugnare, allora tale condizione rischia di maturare quando il termine è già scaduto, sterilizzando di fatto il potere sussidiario dell’organo d’accusa di secondo grado. Proprio per «far fronte alle esigenze pratiche collegate alla necessità di assicurare al procuratore generale un congruo termine per valutare se impugnare e, in caso positivo, per redigere l’atto di appello» [23], il legislatore ha opportunamente introdotto l’art. 166-bis disp. att. c.p.p., ove si stabilisce il necessario coordinamento tra gli uffici della procura, rimettendolo alle intese promosse dal procuratore generale [24]. Senonché, il richiamo alla norma d’attuazione, pur risolvendo in astratto il problema delle tempistiche, in concreto apre nuovi scenari problematici. L’art. 166-bis disp. att. c.p.p., infatti, non chiarisce la rilevanza esterna di detti protocolli organizzativi, né le conseguenze di una loro eventuale mancata adozione, come anche gli effetti in caso di inosservanza sul piano della disciplina generale dei mezzi di impugnazione. Un’indeterminatezza, questa, cui cerca di supplire la pronuncia, giungendo però a conclusioni non del tutto convincenti. Innanzitutto, le Sezioni unite precisano come il meccanismo di cui agli artt. [continua ..]


4. La delimitazione soggettiva dell’acquiescenza. Il secondo quesito

Fornita la risposta al primo interrogativo, la pronuncia si dedica ad un ulteriore profilo di incertezza con riferimento all’ambito soggettivo dell’acquiescenza che, seppure non rilevante nel caso in esame, costituisce un aspetto anch’esso foriero di dubbi interpretativi di grande rilevanza processuale. Più nel dettaglio, l’acquiescenza del procuratore della Repubblica al provvedimento è riferibile anche al pubblico ministero che abbia presentato le conclusioni nel giudizio di primo grado? Ancora una volta i dubbi sono dovuti ad una imprecisa formulazione della disposizione: da un lato, l’art. 593-bis, comma 2, c.p.p. fa riferimento all’acquiescenza del solo procuratore della Repubblica presso il Tribunale; dall’altro, i criteri direttivi di cui alla l. n. 103 del 2017 [art. 1, comma 84, lett. g)] utilizzano una formula più ampia («acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice di primo grado»), comprensiva anche della figura del sostituto procuratore, rappresentante dell’ufficio del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni nel giudizio e titolare di una distinta legittimazione ad impugnare ex art. 570, comma 2, c.p.p. La divergenza fra i desiderata del delegante e la risposta del delegato viene superata dalle Sezioni unite valorizzando l’inequivoco dato letterale: il sintagma utilizzato nell’art. 593-bis, comma 2, c.p.p. ha un valore univoco che non consente estensione alcuna, pena la violazione del principio di tassatività e tipicità che governa la materia delle impugnazioni, sicché l’acquiescenza dovrà riguardare l’atto del procuratore della Repubblica presso il Tribunale, non anche quello del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni in udienza e che potrà appellare autonomamente. Un epilogo altresì suggerito dalla logica sottesa al sistema delle impugnazioni, ove si riconosce al magistrato requirente che partecipa al giudizio e formula le sue conclusioni piena autonomia decisionale e indipendenza dal contesto ordinamentale a cui appartiene [31]; di qui, un’ulteriore conferma rispetto alla possibilità di impugnazioni concorrenti [32]. La soluzione raggiunta, invero, è appagante solo in parte poiché la rigorosa interpretazione letterale proposta conduce a tradire l’intenzione del legislatore, che pure costituisce criterio guida per [continua ..]


5. La legittimazione del procuratore generale a proporre ricorso per cassazione. L’ultima questione affrontata dalle Sezioni unite

Il percorso argomentativo della pronuncia conduce, in via logicamente consequenziale, all’ultima questione da risolvere, attinente ai rapporti tra la legittimazione sussidiaria del procuratore generale a proporre appello e la sua legittimazione a presentare ricorso per cassazione – ordinario o per saltum – avverso la medesima sentenza. Più nel dettaglio, si tratta di capire se le preclusioni soggettive contenute nell’art. 593-bis, comma 2, c.p.p., valgano solo per l’appello o anche per il ricorso in cassazione. Ancora una volta, il dubbio viene innescato dall’approssimativo testo dell’art. 593-bis c.p.p., che sembrerebbe autorizzare il pubblico ministero di secondo grado a proporre ricorso, pur quando il procuratore della Repubblica, non acquiescente, abbia già impugnato [40]. Con una opportuna strategia argomentativa, la pronuncia seziona in due il quesito, dedicandosi separatamente al ricorso immediato (prima) e a quello ordinario (poi). Quanto al ricorso per saltum, le Sezioni unite danno conto di una tesi emersa nella giurisprudenza di legittimità secondo cui il ricorso presentato dal procuratore generale, che non risulti legittimato ai sensi dell’art. 593-bis c.p.p. a proporre appello, possa essere qualificato come ricorso immediato ai sensi del­l’art. 569, comma 1, c.p.p. [41]. L’assenza della manifestata acquiescenza da parte del procuratore della Repubblica – secondo questo orientamento – non inciderebbe sull’ontologica sussistenza del diritto ad impugnare in capo al magistrato requirente di secondo grado, ma esclusivamente sulla possibilità di un suo concreto esercizio. L’astratta appellabilità della sentenza di primo grado comporta, quindi, che il ricorso per cassazione presentato dal procuratore generale vada qualificato come ricorso per saltum, con conseguente operatività del meccanismo di rinvio al giudice competente di appello previsto dall’art. 569, comma 4, c.p.p. Una simile ricostruzione, tuttavia, non tiene conto del dato testuale e sistematico. Come puntualizza – in modo condivisibile – la pronuncia, l’art. 569, comma 1, c.p.p., stabilendo che «[l]a parte che ha diritto ad appellare la sentenza di primo grado può proporre direttamente ricorso per cassazione», si riferisce ad un concetto di appellabilità in senso soggettivo perché quel [continua ..]


6. Il cantiere sempre aperto delle impugnazioni

La pronuncia, al netto dalle conclusioni – non sempre condivisibili – raggiunte, ha il sicuro merito di aver fornito agli operatori il “manuale di istruzioni” dell’art. 593-bis c.p.p., (ri)perimetrando la legittimazione soggettiva della parte pubblica ad impugnare e fugando (quasi) ogni dubbio emerso sul terreno della prassi in questo primo quinquennio di applicazione. Un contributo chiarificatore necessario, dunque, ma non solo. Le numerose questioni rimesse al Supremo Consesso, infatti, sono il sintomo di una malattia più grave, che trova la sua origine nella trascuratezza della penna del legislatore e in una sfocata visione di sistema. La pronuncia agisce così anche da cartina di tornasole, che fedelmente restituisce all’interprete l’im­magine di un sistema delle impugnazioni sfigurato da innesti di microchirurgia normativa, che si stratificano sino a generare intollerabili incertezze applicative. La «compulsione riformatrice» [48] è una tendenza più generale, certo, ma che proprio sul terreno delle impugnazioni si radicalizza. E questo fenomeno è tanto più evidente oggi, al cospetto della svolta efficientista della giustizia penale voluta dal P.N.R.R. che guarda ai giudizi di impugnazione come ad una zavorra del sistema. Drenare le impugnazioni attraverso nuove limitazioni sul piano oggettivo e soggettivo [49]; semplificare e fluidificare le forme [50]; ridurre gli irragionevoli tempi attraverso il timer dell’improcedibilità [51]: sono solo alcune delle strategie messe in campo dal legislatore negli ultimi anni. Non si sottrae a questa logica riduzionistica la nuova riforma annunciata dall’esecutivo [52]. Il provvedimento – allo stato ancora magmatico – con riferimento al tema che ci occupa propone un’ulteriore stretta all’estensione del potere di impugnazione della parte pubblica, intervenendo sul­l’art. 593, comma 2, c.p.p. e prevedendo che il pubblico ministero non possa appellare le sentenze di proscioglimento per i reati di cui all’art. 550, commi 1 e 2, c.p.p. [53]. La modifica, anche tenuto conto della recente estensione delle ipotesi di giudizio a citazione diretta voluta dalla riforma Cartabia, rischia però di entrare in frizione con i principi scolpiti nella sentenza della Consulta n. 26/2007, che già si pronunciò dichiarando [continua ..]


NOTE