Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Profili ancora controversi del nuovo giudizio in assenza (di Caterina Scaccianoce, Professoressa associata di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Palermo)


Lo scritto, nel ripercorrere brevemente i punti salienti del nuovo processo in assenza, si sofferma sui profili ancora problematici che sembrano restituire un assetto non perfetto, suscettibile di possibili nuove censure da parte dei giudici sia nazionali sia europei.

Still controversial profiles of the new trial in absence

The paper, in briefly retracing the salient points of the reform of the process in the absence, focuses on the problematic profiles that seem to return a structure that is still imperfect and susceptible to possible new complaints from both national and European judges.

SOMMARIO:

1. La ratio della riforma del processo in absentia - 2. Una fotografia del nuovo assetto - 3. L’incidenza del rinnovato sistema delle notifiche sulla dichiarazione di assenza - 4. Gli altri indici di effettività - 5. Le distoniche ragioni di una deroga: il processo nei confronti del latitante - 6. Le incongruenze della sentenza di non doversi procedere - 7. Vuoti di tutela nel nuovo sistema dei rimedi interni - NOTE


1. La ratio della riforma del processo in absentia

Il d.lgs n. 150/2022, in attuazione delle direttive contenute nella legge delega n. 134/2021, con un tratto di penna deciso, cambia l’assetto del giudizio in absentia, il cui impianto necessitava di nuove manovre che lo rendessero maggiormente coerente con i principi sovranazionali elaborati dalla giurisprudenza europea [1]. Lo statuto processuale dell’imputato assente derivante dalla disciplina riscritta dal legislatore del 2014, poi ritoccata nel 2017, infatti, non soddisfaceva le prerogative partecipative dell’imputato di matrice europea, sicché la riforma Cartabia interviene sulla materia rinnovandone a fondo la normativa in nome del principio di efficienza che, come noto, ha orientato tutta l’opera di rinnovo del processo penale in vista soprattutto dei traguardi imposti dall’Europa per potere attingere ai finanziamenti del PNRR. Uniformandosi al parametro convenzionale della conoscenza effettiva della pendenza del processo, o meglio, del luogo e della data di fissazione dell’udienza, il legislatore delegato mette a segno una disciplina in cui l’assenza dell’imputato non osta allo svolgimento del processo purché sia il frutto di una scelta consapevole e volontaria. Una nuova struttura che si professa scevra da ogni sorta di presunzione e automatismo come quelli che connotavano il sistema precedente e che sono stati oggetto di note censure da parte e della dottrina e della giurisprudenza di legittimità [2]. Scopo di queste brevi considerazioni è soffermarsi su alcune distonie ancora presenti nel rigenerato sistema, nonostante gli sforzi pure apprezzabili del legislatore [3]. Il risultato della riforma in tema di assenza, infatti, pare restituire un impianto non perfetto, dove si stagliano vecchie e nuove incertezze interpretative per la cui soluzione sembra ci si debba affidare esclusivamente al buon senso e alle doti ermeneutiche del giudice, il quale, quand’anche obbligato a motivare la scelta di proseguire nonostante l’assenza dell’imputato, potrebbe giungere a conclusioni creative, dando luogo a possibili diseguaglianze che mettono a dura prova il principio di legalità processuale [4]. Cinque le aree di interesse che, prestandosi a non univoche letture, rischiano di vanificare la voluntas legis sottesa alla riforma. Delle stesse ci occuperemo, sorvolando sulla pur fondamentale ricostruzione delle linee evolutive della [continua ..]


2. Una fotografia del nuovo assetto

La verifica della regolare costituzione delle parti, collocata nella fase dell’udienza preliminare, e, in mancanza di questa, nell’udienza di comparizione predibattimentale, rappresenta il momento processuale nel quale prendono corpo le misure introdotte dal legislatore con lo scopo di rafforzare il diritto dell’imputato a partecipare personalmente al proprio processo [6]. È previsto, infatti, un triplice controllo affidato al giudice per decidere se proseguire nonostante l’assenza dell’imputato o se interrompere l’iter processuale. A tal fine il giudice dovrà procedere secondo un ordine prestabilito, in ragione del quale egli non potrà passare al secondo step se non ha avuto esito positivo il primo, e allo stesso modo non potrà procedere al terzo se il secondo passaggio non è andato a buon fine. A norma dell’art. 420, comma 2-bis, c.p.p., il primo controllo impone al giudice di verificare la regolarità delle notifiche e, a seguire, se l’imputato non sia legittimamente impedito ai sensi dell’art. 420-ter, c.p.p. [7]; escluse le ipotesi elencate all’art. 420, comma 2-ter, c.p.p., in cui l’imputato, pur assente, è da considerarsi presente [8], il giudice dovrà valutare, secondo i parametri stabiliti dal riscritto art. 420-bis c.p.p., se procedere in assenza, verificando anzitutto che vi sia effettiva conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato e poi che la relativa scelta di non presentarsi sia consapevole e volontaria. In definitiva, egli potrà celebrare il giudizio in assenza solo se sussistono elementi certi circa la conoscenza effettiva della vocatio in ius e, ciò verificato, se vi è la prova che l’assenza dell’imputato sia dettata da una sua scelta volontaria e consapevole. Lo schema rappresenta un punto di svolta rispetto al sistema precedente, non essendo più possibile accostare ed equiparare la conoscenza del contenuto dell’accusa da parte dell’indagato in una fase antecedente alla formulazione dell’imputazione e alla fissazione dell’udienza preliminare alla conoscenza della pendenza del processo. Solo dopo avere accertato l’effettiva conoscenza della data e del luogo in cui si svolgerà il processo, il giudice potrà controllare che la scelta di non presentarsi sia consapevole e volontaria. Detta sequenza [continua ..]


3. L’incidenza del rinnovato sistema delle notifiche sulla dichiarazione di assenza

La precondizione perché il giudice, ricorrendo i presupposti previsti dall’art. 420-bis, commi 1, 2 e 3, c.p.p., proceda senza la partecipazione dell’imputato è la regolarità delle notificazioni, la cui disciplina, come detto, è stata anch’essa riordinata dal legislatore delegato dando maggior peso alla conoscenza effettiva da far prevalere sulla conoscenza legale, almeno con riferimento agli atti introduttivi del giudizio [10]. Il nuovo sistema delle notifiche ha mantenuto l’impianto originario, noto per la presenza di regole generali seguite da plurime eccezioni in considerazione del tipo di atto da notificare, del destinatario, della nomina di un difensore di fiducia, della fase o del grado processuale, della presenza o meno di un domicilio dichiarato o eletto e della idoneità dello stesso. Ebbene, sono proprio le diverse modalità di notificazioni a venire in rilievo, incidendo sulla eventuale dichiarazione di assenza. Infatti, a norma del comma 2 dell’art. 420-bis c.p.p., quando la notifica non è effettuata personalmente nelle mani dell’imputato o a persona da questi delegata al ritiro (art. 420-bis, comma 1, c.p.p.), esse costituiranno oggetto di apprezzamento da parte del giudice per la verifica della conoscenza effettiva dell’atto introduttivo del giudizio e la dimostrazione che la scelta dell’imputato di non presentarsi all’udienza corrisponda ai parametri stabiliti dalla giurisprudenza europea, ovvero che sia consapevole e volontaria. Diversamente, se la notifica della vocatio in ius – e, si badi, non dell’avviso di fissazione dell’udienza – è eseguita in mani proprie dell’imputato o a persona dal medesimo delegata a riceverla, il legislatore, ricollegandovi la conoscenza certa e provata, esonera il giudice «da ogni ulteriore verifica intesa ad assicurare che l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza all’udienza sia il frutto di una rinuncia volontaria e consapevole, sebbene tacita» [11]. Ne consegue che, in tali situazioni il processo in assenza è comunque autorizzato, e, come si vedrà in seguito, l’imputato, correttamente dichiarato assente in conformità ai parametri di legge e poi comparso prima della decisione, non sarà ammesso a provare di non aver avuto effettiva conoscenza della [continua ..]


4. Gli altri indici di effettività

Oltre alle modalità di notificazione, tra le situazioni liberamente apprezzabili dal giudice per decidere se procedere o no in assenza il legislatore menziona gli atti compiuti dall’imputato prima dell’udienza e la nomina di un difensore di fiducia. Anche con riguardo a tali indici valgono le considerazioni già espresse circa l’opportunità, se non si vuole tornare ai vecchi schemi basati su mere presunzioni, incompatibili con i dicta europei, di ancorare ogni possibile apprezzamento soltanto a quegli elementi che, soprattutto sul piano cronologico, forniscano la prova chiara e inequivocabile che l’imputato è al corrente della pendenza del processo. Come detto, dovrà essere apprezzato il rapporto professionale instauratosi dopo la formulazione dell’imputazione, ovvero quel rapporto nato in precedenza ma del quale vi sia la prova che sia attuale ed effettivo [20]. Nondimeno, la norma sembra concedere al giudice ampi margini di manovra, potendo egli apprezzare ogni altra circostanza utile alle proprie valutazioni. Ciò invita decisamente alla prudenza, ma anche a un modus procedendi da parte del giudice aderente ai parametri convenzionali sui quali è modellato il nuovo assetto, sicché dovrà essere sua cura celebrare il processo senza la presenza dell’imputato solo quando egli abbia la prova certa della sussistenza di entrambi i presupposti previsti dalla legge, evitando, ad esempio, di ricavarla da fatti o atti non riconducibili all’imputato bensì al difensore di ufficio, come la presentazione della lista di testimoni da parte di quest’ultimo, oppure di dedurla dal compimento di atti, come l’arresto e il fermo, da cui può evincersi la conoscenza dell’avvio di un procedimento penale e non certo la pendenza del processo. Il rischio paventato dalla dottrina, tuttavia, è che si possano sviluppare prassi difformi «che inevitabilmente si tradurranno in un vulnus alle garanzie proprie dell’imputato», con ciò alimentando la «tendenza a far divenire il processo una disciplina di matrice giurisprudenziale» [21].


5. Le distoniche ragioni di una deroga: il processo nei confronti del latitante

Dove la riforma sembra contraddirsi, mostrando di marciare nel senso opposto rispetto alle direttrici sottostanti al generale riassetto del processo in assenza, è rintracciabile nella scelta di adottare un diverso modello per l’imputato latitante. È di immediata intuizione che il latitante, per suo statuto, è persona che fugge non dal processo ma da un provvedimento limitativo della sua libertà personale, impedendone l’esecuzione. Il legislatore prevede la possibilità di procedere in assenza nei suoi confronti sulla base di una finzione che lo vuole consapevole della pendenza del processo a suo carico e della volontà di non parteciparvi [22]. La deroga costituisce attuazione del criterio dettato dall’art. 1, comma 7, lett. f) della legge delega, ove si chiedeva non solo di prevedere una disciplina derogatoria per il processo nei confronti dell’imputato latitante, consentendo di procedere in sua assenza anche quando non si avesse certezza dell’effettiva conoscenza della citazione a giudizio e della rinuncia dell’imputato al suo diritto a comparire al dibattimento, stante la possibilità di un rimedio successivo; ma anche di rivedere la disciplina della latitanza, di cui agli artt. 295 e 296 c.p.p., al fine di assicurare che la dichiarazione di latitanza sia sorretta da specifica motivazione circa l’effettiva conoscenza della misura cautelare e la volontà del destinatario di sottrarvisi. Sullo sfondo l’intenzione del legislatore di adeguarsi alla direttiva 2016/343/UE, che, all’art. 8, par. 3, consente agli Stati membri di svolgere il processo in assenza quando l’imputato non può essere rintracciato «nonostante gli sforzi profusi» [23]. Da qui le modifiche che, da un lato, prescrivono di rinforzare le ricerche, rimodulando altresì le modalità di notificazioni all’imputato latitante [24], e, dall’altro, prevedono che il giudice possa dichiarare lo stato di latitanza dell’imputato solo ove ritenga le ricerche esaurienti, disponendone invece la prosecuzione se insoddisfacenti. Tuttavia, è da rilevare come, sebbene la dichiarazione di latitanza debba sottostare a regole più stringenti, ciò non sposti i termini del problema: persistono vecchie presunzioni e automatismi che non lasciano alcuno spazio di valutazione in concreto al giudice, se non quello di procedere [continua ..]


6. Le incongruenze della sentenza di non doversi procedere

In luogo dell’ordinanza di sospensione del processo a carico degli irreperibili il legislatore delegato introduce la sentenza inappellabile di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo [33]. Da molti considerato un ibrido, non essendo riferibile ad alcun modello astratto, il provvedimento di nuovo conio sembra difettare, sul piano delle garanzie difensive, a causa della sua non immediata efficacia preclusiva: esso, infatti, lascia pendenti alcune situazioni che, per un verso, comportano a carico delle autorità giudiziarie oneri di ricerca, di cautela e istruttori, e, per altro, si traducono in una serie di incongruenze conseguenti alla sua atipica irrevocabilità, sganciata dal concetto di ordinaria inoppugnabilità [34]. Nondimeno, rientrando tra i provvedimenti che definiscono il processo, ad esso sono ricollegabili effetti positivi in punto di raggiungimento degli obiettivi imposti dall’Eu­ropa [35]. Da qui il largo uso che del medesimo si preannuncia, in particolare con riguardo ai processi già “sospesi” [36]. La sua peculiarità consiste nel fatto che pur essendo una sentenza che conclude una fase [37], basandosi sul presupposto del mancato perfezionamento della regolare notifica all’imputato, allo stesso tempo ne innesca una nuova, quella della ricerca dell’assente inconsapevole prosciolto, finalizzata a trovarlo e a notificargli personalmente la vocatio in ius che di essa costituisce elemento essenziale [38]. I limiti temporali di tale fase, nella quale la sentenza è sempre suscettibile di revoca, sono fissati al comma 3 dell’art. 420-quater c.p.p. che richiama espressamente l’art. 159, ult. comma, c.p.p., stando al quale, quando è pronunciata la sentenza di cui all’art. 420-quater c.p.p., il corso della prescrizione rimane sospeso sino al momento in cui è rintracciata la persona nei cui confronti è stata pronunciata, ma in ogni caso non può essere superato il doppio dei termini di prescrizione di cui all’art. 157 c.p. Decorsi tali termini la sentenza non può più essere revocata [39]. Tempi lunghi, quindi, durante i quali si tenterà di rintracciare l’im­putato prosciolto avvalendosi per lo più di controlli occasionali, essendo previsto, senza ulteriori indicazioni, che, ai sensi dell’art. 143-bis disp. att. [continua ..]


7. Vuoti di tutela nel nuovo sistema dei rimedi interni

Intervenendo sul sistema dei rimedi, la riforma Cartabia lo ridisegna con lo scopo di offrire all’imputato giudicato in assenza massima tutela, ma, al contempo, di ridurre il più possibile il rischio di svolgere inutilmente lavoro giudiziario [48]. Il risultato anche qui non pare del tutto soddisfacente, assecondando scelte che incidono sensibilmente sulle facoltà processuali e sul diritto dell’imputato a partecipare al proprio processo. Il legislatore, infatti, introduce una sequenza di strumenti che partono dall’udienza preliminare e arrivano alla cassazione, volendo garantire all’imputato la possibilità di azionare un rimedio in ogni tempo, ma gli impone di intervenire non appena prenda consapevolezza del processo, quindi, nel primo momento utile per farlo, così da evitare una futura rescissione del giudicato che andrebbe a vanificare tutta l’attività giudiziaria svolta. Il nuovo congegno prevede conseguenze diverse a seconda che il giudice abbia erroneamente proceduto in assenza, pur quando mancavano i presupposti normativi per farlo, ovvero che, sulla base degli elementi a sua disposizione, abbia dichiarato l’assenza rispettando i parametri di legge, ma l’impu­tato successivamente dia prova che in realtà egli non aveva una conoscenza effettiva del processo o che non è potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore e, in tale caso, che non ha potuto comunicare l’impedimento tempestivamente senza sua colpa. Dalla declaratoria di assenza “patologica” [49], quella mal dichiarata per intenderci, discende una tutela piena per l’imputato, con regressione del procedimento e reintegrazione di ogni diritto e facoltà, seppur con talune mitigazioni; se, invece, l’assenza è dichiarata correttamente, la tutela, pure dovuta, è diversamente declinata. L’imputato comparso tardivamente, infatti, potrà beneficiare della restituzione in termini per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto solo se riesce a dimostrare di non avere avuto conoscenza effettiva della pendenza del processo e di non essere potuto comparire tempestivamente all’udienza senza colpa. La mancata partecipazione può derivare, quindi, o da un impedimento o dalla mancata conoscenza. In caso di impedimento, l’imputato deve documentarlo e comunicarlo tempestivamente, dando prova che non è [continua ..]


NOTE
Fascicolo 5 - 2023