Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Basta un provvedimento del giudice a rendere ragionevole il divieto di uso e di possesso di un telefono cellulare per finalità di prevenzione? (di Agata Ciavola, Professoressa associata di Diritto processuale penale – Università di Enna “Kore”)


La Corte costituzionale, con la sentenza n. 2/2023, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4, cod. antimafia, per violazione degli artt. 15 e 3 Cost., riconoscendo che non può essere il questore ad imporre il divieto di uso o di possesso del telefono cellulare, in quanto si tratta di una limitazione alla libertà di comunicazione che può essere disposta solo per effetto di un provvedimento dell’autorità giudiziaria.

Vista l’importanza che l'uso del telefono mobile ha assunto nella vita sociale degli individui, nonostante i correttivi della Corte, rimane dubbio, però, se l'imposizione di un tale divieto, peraltro per un tempo indeterminato, possa considerarsi assolutamente necessaria e proporzionata al raggiungimento delle finalità di prevenzione.

Is a court order sufficient to make the ban on the use and possession of a mobile phone for prevention purposes reasonable?

The Constitutional Court, with Sentence No. 2 of 2023, declared the constitutional illegitimacy of Article 3, paragraph 4, of the Anti-Mafia Code, for violation of Articles 15 and 3 of the Constitution, recognizing that it cannot be the “Questore” who imposes a ban on the use or possession of mobile telephones, since this is a restriction on the freedom of communication that can only be imposed as a result of a provision of the judicial authority.

In view of the importance that the use of mobile telephone has assumed in the social life of individuals, notwithstanding the Court's correctives, it remains doubtful, however, whether the imposition of such a prohibition, moreover, for an indefinite period of time, can be considered absolutely necessary and proportionate to the attainment of the purposes of prevention.

Il questore non può vietare l’uso o il possesso dei telefoni cellulari MASSIMA: È costituzionalmente illegittimo l’art. 3, comma 4, cod. antimafia, per violazione degli artt. 15 e 3 della Costituzione, nella parte in cui include i telefoni cellulari tra gli apparati di comunicazione radiotrasmittente dei quali il questore può vietare, in tutto o in parte, il possesso o l’utilizzo. Il divieto di possesso e uso di un telefono mobile – considerata l’universale diffusione di questo strumento, in ogni ambito della vita lavorativa, familiare e personale – si traduce in un limite alla libertà di comunicare, spazio vitale che circonda la persona. Tale diritto, pertanto, non può subire restrizioni se non in ragione della necessità di soddisfare un interesse pubblico costituzionalmente rilevante, sempreché l’intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell’interesse e sia rispettata la duplice garanzia che la disciplina prevista risponda ai requisiti propri della riserva assoluta di legge e la misura limitativa sia disposta con atto motivato dell’autorità giudiziaria. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1.– Con ordinanza dell’11 marzo 2021 (reg. ord. n. 164 del 2021), il Tribunale ordinario di Sassari, sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 15 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 4, e 76 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 13), nella parte in cui prevedono che, con l’avviso orale, il questore possa imporre a coloro che sono stati definitivamente condannati per delitti non colposi il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, «qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente» e, dunque, anche i telefoni cellulari. Il giudice a quo riferisce di doversi pronunciare sulla responsabilità penale di A. L, imputato del reato di cui all’art. 76, comma 2, cod. antimafia, per essere stato colto in possesso di un telefono cellulare, nonostante nei suoi confronti fosse stato emesso avviso orale con imposizione dei divieti previsti dall’art. 3, comma 4, cod. antimafia, tra i quali, appunto, quello «di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente». 1.1.– Il Tribunale di Sassari si sofferma innanzitutto sul significato della locuzione «apparato di comunicazione radiotrasmittente». Premesso che l’art. 3, comma 4, cod. antimafia, coinciderebbe «nella sostanza precettiva» con l’abrogato art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei [continua..]

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SOMMARIO:

1. La progressiva affermazione del sistema di garanzie delle misure di prevenzione - 2. La questione di legittimità costituzionale - 3. La difesa della disciplina vigente - 4. L’ambito di applicazione del divieto di uso e possesso di apparati di comunicazione radiotrasmittenti - 5. Il divieto di uso e possesso del telefono mobile è legittimo solo se sussistono i presupposti indicati dall’art. 15 Cost. - 6. Non tutti i dubbi di legittimità costituzionale sono stati superati: la disciplina rimane indeterminata e sproporzionata - NOTE


1. La progressiva affermazione del sistema di garanzie delle misure di prevenzione

Con la sentenza n. 2/2023 la Corte costituzionale fissa un altro tassello dello Statuto delle garanzie delle misure di prevenzione personali, dichiarando l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 15 Cost., dell’art. 3, comma 4, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli artt. 1 e 2 della l. 13 agosto 2021, n. 136) nella parte in cui prevede che il questore, nel disporre l’avviso orale, possa vietare anche, in tutto o in parte, il possesso o l’utilizzo dei telefoni cellulari. Oltre ad essere ormai certo che bisogna rispettare i criteri di legalità ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione [1], deve altresì essere chiaro che, ove s’impongano delle restrizioni alle libertà fondamentali del prevenuto, occorre che il provvedimento sia adottato dall’autorità giudiziaria nel rispetto della riserva di giurisdizione [2]. Ma non basta. La Corte indica alcuni principi di metodo nell’interpretare la garanzia della riserva di giurisdizione, precisando che, ove essa sia prevista, quel che conta non è il mero intervento del giudice ma «la titolarità del potere di decidere, direttamente e definitivamente, la misura stessa» [3].


2. La questione di legittimità costituzionale

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Tribunale ordinario di Sassari, con ordinanza dell’11 marzo 2021, e dalla V sezione della Corte di cassazione, con ordinanza del 16 dicembre 2021. Con il primo provvedimento il giudice a quo ha ritenuto non manifestamente infondata, per contrasto con gli artt. 3 e 15 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 4, e 76, del Codice delle leggi antimafia, nella parte in cui prevedono che, con l’avviso orale, il questore possa imporre, a coloro che sono stati definitivamente condannati per delitti non colposi, il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, «qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente», dunque, anche i telefoni cellulari. Ciò, in quanto l’art. 15 Cost. consente limitazioni alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni «soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria». Né la facoltà di impugnare il provvedimento del questore davanti all’autorità giurisdizionale può considerarsi un rimedio adeguato, perché l’art. 15 Cost. impone «l’intervento giurisdizionale nel “momento genetico” della limitazione della libertà di comunicazione e non in un momento successivo, mentre l’avviso orale è “immediatamente efficace, anche in pendenza dei termini di impugnazione”» [4]. Com’è stato rilevato, peraltro, oggi, la libertà di comunicazione tra persone che si trovano a distanza non potrebbe prescindere dal ricorso ad apparecchi ricetrasmittenti, tra cui rientrano non solo i telefoni cellulari, ma anche i tablet, gli smartwatch e gli apparati pc, nonché la comunicazione domotica che funzione via radio. Il sacrificio al diritto di comunicazione che deriva dall’inibizione dell’uso del telefono cellulare assume, dunque, una portata che di certo, in passato, il legislatore non poteva immaginare e che si è acuita dopo l’emergenza sanitaria da Covid-19 che, limitando i contatti sociali, ha reso spesso possibili le comunicazioni solo a distanza, proprio a mezzo di tali dispositivi elettronici. Senza, altresì considerare il riflesso che tale divieto ha rispetto ad altri diritti, dal momento che anche la fruibilità di servizi sanitari, bancari, assicurativi, previdenziali, [continua ..]


3. La difesa della disciplina vigente

L’avvocatura dello Stato ha chiesto che le questioni venissero dichiarate infondate. Per la difesa erariale, in primo luogo, da tale divieto non scaturiscono né compressioni alla libertà di comunicazione, né controlli sul contenuto delle comunicazioni del prevenuto, in quanto si è in presenza di limitazioni riguardanti soltanto una particolare forma di comunicazione a distanza, seppure rilevante (quella dei telefoni mobili), nella ricorrenza di specifici presupposti previsti dalla legge; con conseguente esclusione della violazione dell’art. 15 Cost. In ogni caso, si è sostenuto che la disciplina assicura un duplice controllo giurisdizionale: il primo attivabile su iniziativa dell’interessato, in fase di opposizione, davanti al tribunale in composizione monocratica successivamente alla denegata richiesta di revoca; il secondo necessariamente condotto dal giudice penale, quando questi sia chiamato ad accertare la responsabilità penale del prevenuto per inosservanza del provvedimento del questore. «Si tratterebbe, dunque, di un controllo a formazione progressiva: il giudice, su istanza dell’interessato, realizzerebbe dapprima un intervento assimilabile ad una “convalida (anche con mitigazioni)”; successivamente, sarebbe garantito un ulteriore controllo dell’autorità giudiziaria, mediante la disapplicazione del divieto ad opera del giudice penale, in caso di sua illegittimità» [9]. Anche il contrasto con l’art. 3 Cost. si ritiene infondato in quanto si sarebbe individuato un tertium comparationis disomogeneo, atteso che la sorveglianza speciale rispetto all’avviso orale si baserebbe su requisiti di pericolosità più gravi, avendo essa come destinatari soggetti condannati o indiziati per i reati di particolare allarme sociale indicati dall’art. 4 cod. antimafia e avrebbe effetti ben più pesanti per le libertà del prevenuto. Sotto il profilo convenzionale, l’art. 8 Cedu, inoltre, non richiederebbe necessariamente l’intervento dell’autorità giudiziaria, potendo limitare la libertà di corrispondenza «qualsiasi pubblica autorità». Senza, poi, trascurare che, oltre alla revoca del provvedimento o all’opposizione al tribunale, a tutela del prevenuto, in via “generale”, può sempre operare l’art. 5 l. 20 marzo 1865, n. 2248, [continua ..]


4. L’ambito di applicazione del divieto di uso e possesso di apparati di comunicazione radiotrasmittenti

La Corte costituzionale, nella sentenza in esame, anzitutto, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso relativamente ai profili concernenti la legittimità dell’art. 76 cod. antimafia perché priva di argomentazioni, escludendo, però, che ciò potesse incidere sulla questione di legittimità sollevata con riferimento all’art. 3, comma 4, cod. antimafia. A proposito, poi, dell’avviso orale c.d. rafforzato e al divieto di uso e di possesso dei telefoni cellulari, i giudici hanno rilevato che, sebbene la giurisprudenza sia concorde, da tempo, nel ritenere che anche i telefoni cellulari o mobili siano da considerarsi apparati di comunicazione radiotrasmittente, non si tratta di una conclusione irrefutabile. Così come sottolineato dal giudice a quo, la Corte ha ricordato che il divieto di possesso o uso di tali dispositivi è stato introdotto dalla l. n. 128/2001. L’elenco originario, trasfuso in seguito nel d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (dopo essere stato ulteriormente integrato ad opera dell’art. 3 l. 15 luglio 2009, n. 94), poneva tali apparati accanto a «radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, nonché programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni o messaggi». Se si guarda, pertanto, alla ratio della disciplina, il divieto di possesso o uso di apparati di comunicazione radiotrasmittente sembra evidenziare l’intenzione di vietare un catalogo di strumenti il cui impiego potrebbe essere indicativo della volontà di compiere specifiche attività delittuose offensive o difensive (per sottrarsi alle forze dell’ordine), anche mediante l’uso o l’esibizione della forza. Ne consegue che un’interpretazione più coerente con tale contesto normativo e con la ratio legis avrebbe potuto portare a circoscrivere l’og­getto del divieto ai soli apparati di comunicazione radiotrasmittente «di uso non comune, univocamente e abitualmente destinati ad un determinato scopo criminoso, e tali da evidenziare una specifica volontà di usare la tecnologia per danneggiare le indagini di polizia o sfuggire ai relativi controlli» [10]. Dai [continua ..]


5. Il divieto di uso e possesso del telefono mobile è legittimo solo se sussistono i presupposti indicati dall’art. 15 Cost.

Alla luce di questa lettura della disciplina, posto che i telefoni cellulari per il diritto vivente rientrano nell’ambito dei divieti che possono essere imposti dal questore unitamente all’avviso orale, è entro la cornice dell’art. 15 Cost. che si devono individuare i presupposti per la limitazione di tale libertà fondamentale. Ed invero, il concetto di comunicazione deve essere inteso in senso lato, ossia come comprensivo di tutte le relazioni psichiche finalizzate, in maniera diretta o mediata, alla trasmissione di idee o notizie da parte di una persona a una o più altre persone, individuate indipendentemente dalla materia o dall’oggetto del messaggio, nonché dalla forma espressiva o dal mezzo adoperati, e connotate dai caratteri dell’intersubiettività e dell’attualità [15]. Come osservano, dunque, i Giudici della Legge, l’art. 15 Cost. include ogni forma di comunicazione, aprendo così il testo alla possibile emersione di nuovi mezzi e forme di comunicazione riservata. E sebbene si debba riconoscere che le regole attinenti al mezzo per comunicare siano cosa diversa dalla disciplina relativa al diritto fondamentale: tant’è che le limitazioni relative all’uso di un determinato mezzo o strumento non necessariamente si convertono in restrizioni al diritto fondamentale che l’impiego di quel mezzo o strumento consente per avventura di soddisfare. Non vi è dubbio che esiste «un limite, superato il quale la disciplina che incide sul mezzo – in ragione del particolare rilievo che questo riveste a livello relazionale e sociale – finisce per penetrare all’interno del nucleo essenziale del diritto, determinando evidenti ricadute restrittive sulla libertà tutelata dalla Costituzione» [16]. Si supera, così, l’orientamento di quella parte della giurisprudenza che, invece, aveva privilegiato la teoria secondo cui, in questo caso, non sussiste alcuna compressione alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni, atteso che l’imposizione del divieto de quo da parte del questore non implica alcun controllo sulle comunicazioni [17]. Deve ritenersi, infatti, che l’emissione di un provvedimento di carattere permanente che imponga il divieto di possesso o di uso di un telefono mobile – considerata l’universale diffusione di questo strumento, in ogni [continua ..]


6. Non tutti i dubbi di legittimità costituzionale sono stati superati: la disciplina rimane indeterminata e sproporzionata

La decisione della Corte merita condivisione. Non pare possa revocarsi in dubbio, infatti, che l’ambito di tutela dell’art. 15 Cost. riguardi non solo il diritto alla segretezza delle comunicazioni, ma si estenda al diritto a poter comunicare e corrispondere con altri soggetti senza che sia portata alcuna interruzione o sospensione “al corso normale” di una corrispondenza o di una comunicazione [29]. Tuttavia, altrettanto meritevoli di accoglimento sarebbero stati altri profili che, però, sono stati assorbiti dalla declaratoria di illegittimità della norma. Nel provvedimento di rimessione alla Corte, in particolare, i giudici di legittimità avevano espressamente censurato la mancata determinazione, nel minimo e nel massimo, della durata del divieto. Un rilievo, peraltro, che assume una portata generale, potendo estendersi a tutti i divieti che il questore può imporre al prevenuto, atteso che per ciascuno di essi non sono previsti limiti temporali massimi, sicché in assenza di una revoca della misura sollecitata dall’avvisato, essi potrebbero potenzialmente gravare sul prevenuto anche tutta la vita [30]. La mancanza di una chiara indicazione della durata della misura, da una parte, fa apparire irragionevole la limitazione, dall’altra, la pone in contrasto con il principio di legalità costituzionale e convenzionale, in quanto mancherebbe un’adeguata base legale per punire il prevenuto nel caso di violazione di uno di questi divieti, ai sensi dell’art. 76 cod. antimafia, non sussistendo i requisiti di prevedibilità ed accessibilità [31]. Sul punto, oltre a quanto più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale [32], secondo cui nella formulazione della norma penale deve osservarsi il principio di determinatezza, che obbliga il legislatore a formulare le fattispecie chiaramente: onde evitare eccessi di discrezionalità in sede interpretativa e punti oscuri nella descrizione degli elementi costitutivi della fattispecie; in via convenzionale rappresenta un significativo punto di riferimento l’art. 7 Cedu, il quale si presenta come «un faro che proietta una luce trasversale su paesi diversi e con tradizioni giuridiche radicate su regole e istituzioni differenti» [33]. La nozione di legalità risulta legata alla condizione che la fattispecie penale incriminatrice sia sufficientemente [continua ..]


NOTE
Fascicolo 5 - 2023