Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La Corte costituzionale e la Corte europea dei diritti dell'uomo tracciano le coordinate della riflessione sulla inutilizzabilità derivata (di Paola Felicioni, Professoressa associata di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Firenze)


La Corte costituzionale, ancora una volta chiamata a pronunciarsi su determinate questioni di legittimità costituzionale tutte riconducibili alla problematica della fattispecie della inutilizzabilità derivata, ribadisce alcune proprie precedenti affermazioni sul medesimo tema. Il rilievo della pronuncia in commento si rinviene nelle consolidate direttrici di riflessione che la Consulta fornisce quali spunti ricostruttivi di un istituto inquieto, contribuendo così a chiarirne fisionomia strutturale e portata funzionale. A ricomporre la fattispecie, inoltre, hanno cooperato i Giudici di Strasburgo enucleando taluni principi cui, peraltro, il legislatore della Riforma Cartabia, in materia di controllo giurisdizionale sulla perquisizione “negativa”, si è pure ispirato ma senza trarne tutte le necessarie conseguenze.

The Constitutional Court and the European Court of human rights determine the coordinates of the reflection on the derived unusability

The constitutional court, once again required to intervene on some constitutionality issues pertaining to the collection of evidence gathered in violation of exclusionary rules, reaffirms its previous statements on the topic. The relevance of the decision annotated hereafter relates to the well-established considerations offered by the Court in the attempt to outline such a blurred legal institute, so as to clarify its structural and functional capacity. Furthermore, the Judges of Strasbourg cooperated in delineating the institute by developing some principles which inspired the legislator of the Cartabia Reform in regulating the issue of judicial control over the “negative” search, although it did not draw all the necessary consequences.

Perquisizione illegittima e sequestro: la Corte costituzionale fa il punto in materia di inutilizzabilità derivata MASSIMA: Riuniti i giudizi, la Corte costituzionale: 1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 191 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, comma 2, 111 e 117, comma 1, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella parte in cui – secondo l’in­ter­pretazione predominante nella giurisprudenza di legittimità, assunta quale diritto vivente – non prevede l’inutiliz­zabilità degli esiti probatori delle perquisizioni e delle ispezioni, domiciliari e personali, compiute dalla polizia giudiziaria fuori dei casi previsti dalla legge, compresi, fra tali esiti, anche il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato e la possibilità di deporre sui predetti atti e sui loro risultati; 2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 352 c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 2, 13 e 14 Cost., nella parte in cui non prevede che il decreto di convalida della perquisizione debba essere motivato; 3) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 352 c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 2, 13, 14 e 111, comma 6, Cost., nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui il pubblico ministero non convalidi la perquisizione nei termini di legge, tutti i risultati probatori della stessa divengano inutilizzabili, «anche in termini di “inutilizzabilità derivata”»; 4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzione dell’art. 125, comma 3, c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 2, 13, 14 e 111, comma 6, Cost., nella parte in cui non prevede che la nullità del decreto di convalida della perquisizione sia assoluta e rientri tra quelle considerate dall’art. 179, comma 2, c.p.p. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1.– Con tre ordinanze, di tenore in larga parte analogo, emesse nell’ambito di distinti giudizi il 19 ottobre 2021 e iscritte ai numeri 16, 17 e 18 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 191 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, terzo (recte: secondo) comma, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella parte in cui – secondo l’interpretazione predominante nella giurisprudenza di legittimità, assunta quale diritto vivente – non prevede [continua..]

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SOMMARIO:

1. La discussa fattispecie dell’inutilizzabilità derivata tra modelli tradizionali e spunti ricostruttivi nuovi - 2. Principio di conservazione del risultato probatorio e legalità del procedimento probatorio - 3. Capacità espansiva dell’inutilizzabilità e principio di tassatività - 4. La perdita della idoneità probatoria dell’atto viziato come effetto intrinseco dell’inuti­lizzabilità - 5. La corte europea dei diritti dell’uomo delinea l’autonomia della perquisizione rispetto al sequestro sul piano del diritto di accesso al giudice - 6. La nuova opposizione alla perquisizione illegittima “negativa”: il legislatore si allinea al diritto vivente - NOTE


1. La discussa fattispecie dell’inutilizzabilità derivata tra modelli tradizionali e spunti ricostruttivi nuovi

Il tema dell’inutilizzabilità derivata, declinato con riferimento al controverso rapporto tra perquisizione e sequestro ed emerso recentemente in precedenti sentenze richiamate nelle argomentazioni odierne della Corte, viene in evidenza con la sentenza in commento: i giudici costituzionali hanno emanato due declaratorie di inammissibilità e due di infondatezza delle questioni formulate dal Tribunale ordinario di Lecce in composizione monocratica in relazione a tre disposizioni codicistiche (artt. 191, 352, 125 comma 3, c.p.p.) ed in riferimento a determinati parametri costituzionali (individuati negli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, comma 3, 11 e 117 Cost.) [1]. In prima battuta il giudice a quo ha censurato l’art. 191 c.p.p., nella parte in cui – secondo l’orien­tamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, assunto quale diritto vivente – non prevede l’inutilizzabilità degli esiti probatori delle perquisizioni e delle ispezioni, domiciliari e personali, compiute dalla polizia giudiziaria fuori dei casi previsti dalla legge, compresi, fra tali esiti, il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato e la possibilità di deporre sui predetti atti e sui loro risultati. Inoltre il rimettente ha lamentato che l’inutilizzabilità non colpisca anche gli esiti probatori delle perquisizioni e delle ispezioni operate dalla polizia giudiziaria, fuori del caso di flagranza di reato, in forza di segnalazioni anonime o confidenziali e su tali basi autorizzate o convalidate dal pubblico ministero, oppure convalidate dal pubblico ministero senza indicare gli elementi utilizzabili che le legittimavano o, ancora, non convalidate dal pubblico ministero per qualsiasi ragione [2]. Proprio con riguardo alle censure aventi ad oggetto l’art. 191 c.p.p. la Corte, rilevato che lo stesso Tribunale salentino con nove ordinanze di rimessione aveva in precedenza sollevato questioni di legittimità della disposizione che erano state dichiarate inammissibili (con la sentenza n. 219/2019) e manifestamente inammissibili (con la sentenza n. 252 del 2022 e l’ordinanza n. 116/2022), in via preliminare ha distinto le questioni reputate del tutto identiche a quelle precedentemente sollevate dal remittente negli stessi giudizi dalle questioni che, pur già proposte dal medesimo giudice, possono connotarsi come nuove con riguardo alla norma censurata, [continua ..]


2. Principio di conservazione del risultato probatorio e legalità del procedimento probatorio

Il regime dell’invalidità derivata [12] pertiene all’ampia discrezionalità del legislatore nella conformazione degli istituti del rito penale [13]: si può notare come tale affermazione della Corte costituzionale costituisca manifestazione di una più ampia interpretazione giurisprudenziale volta a riconoscere la necessità di conservare gli elementi di prova [14] che potrebbero essere determinanti [15]; purtuttavia dalla giurisprudenza costituzionale si traggono anche indici esegetici che, nel cogliere l’essenza dell’inutiliz­zabilità come vizio funzionale, si pongono in contrasto con la tendenza a conservare un risultato probatorio acquisito in modo illegittimo [16]. D’altro canto, del conflitto tra l’esigenza conservativa e l’istanza di tutela dei diritti fondamentali si trova traccia nella sentenza Sala delle sezioni unite del 27 marzo 1996, stigmatizzata in dottrina per la contraddittorietà strutturale tra premessa e conseguenze [17]. Viene in considerazione il contrasto tra il principio di conservazione degli atti imperfetti [18] e la categoria dell’inutilizzabilità la cui funzione è quella di interdire la valutazione delle risultanze probatorie affette dal vizio [19]: si è sottolineato che con tale causa di invalidità l’ordinamento realizza un «circuito garantistico fondato sulla violazione dei criteri legislativi mediante i quali è consentita la conoscenza del giudice» [20]. Dunque, al centro della riflessione rimane il tema della conservazione del risultato probatorio comunque ottenuto [21], secondo un’esegesi dottrinale e giurisprudenziale sviluppatasi da tempo entro la logica del teorema male captum bene retentum [22]; viceversa, la prospettiva opposta valorizza, in luogo di una «etica del risultato» che poco si interessa del metodo cognitivo, l’«etica della legalità» riconducibile all’istituto dell’inutilizzabilità quale “indice di sistema” [23], a tutela, appunto, della legalità dell’accer­tamento [24]. Insomma, il sapere giudiziale non è illimitato e i metodi conoscitivi [25] assolvono ad una funzione euristica [26]. In altri termini, e più in generale, deve riconoscersi che le forme del procedimento penale danno [continua ..]


3. Capacità espansiva dell’inutilizzabilità e principio di tassatività

A fronte della richiesta «fortemente manipolativa» del giudice a quo, ieri ed oggi, di introdurre un nuovo caso di inutilizzabilità della prova acquisita mediante perquisizione illegittima, la Corte ha ribadito con fermezza che il compito di delineare divieti probatori, costituenti eccezioni alla regola rappresentata dal diritto alla prova, è riconducibile a opzioni di politica processuale che l’ordinamento giuridico riserva esclusivamente al legislatore [46]. Tuttavia, un eventuale intervento del legislatore, pure ripetutamente auspicato dalla Consulta, appare ostacolato dalla struttura della sanzione [47]. Vizio definito eclettico [48] oppure unitario [49], ma comunque costruito in termini “funzionali” «comprendenti non solo la mera staticità dell’atto ma l’intero divenire del procedimento probatorio» [50] in quanto teso a garantire il momento dinamico dell’accerta­mento mediante la previsione di preclusioni, l’inutilizzabilità non presenta i caratteri delle altre cause di invalidità, ma possiede una vasta capacità di incidenza [51] sul procedimento penale. In materia sembra utile considerare, questa volta sul piano degli effetti, che il principio di tassatività assume un ruolo diverso nelle distinte ipotesi della inutilizzabilità e della nullità: anche in ragione di ciò, vedremo, in dottrina si propone di abbandonare lo schema concettuale della propagazione degli effetti invalidanti. Più precisamente, non si può riferire all’inutilizzabilità il regime di vizio derivato che l’art. 185 c.p.p. esplicita solo con riguardo alla nullità, proprio in considerazione della diversa fisionomia delle due tipologie di invalidità come già sostenuto dalla Consulta [52]. Volendo riepilogare, può affermarsi che sul piano strutturale il principio di tassatività, se riferito alle nullità fonda la previsione di casi determinati esplicitamente previsti dal codice di rito penale (artt. 178-180 c.p.p.), se riferito all’inutilizzabilità porta ad emersione la peculiarità dell’art. 191 c.p.p. quale previsione generale che evoca divieti probatori indeterminati alla fonte, da individuare in concreto e, peraltro, in base a criteri interpretativi variabili [53]. Conseguentemente, sul piano degli [continua ..]


4. La perdita della idoneità probatoria dell’atto viziato come effetto intrinseco dell’inuti­lizzabilità

Proprio a partire dalla valorizzazione di quella specificità strutturale dell’inutilizzabilità che rende arduo il compito affidato dalla Consulta al legislatore in ordine all’ampliamento dei profili effettuali della causa di invalidità, si è sviluppata una lettura evolutiva che passa per l’abbandono del modello, ormai invecchiato [64], dell’inutilizzabilità derivata [65]. Mutano le direttrici del ragionamento: la Corte costituzionale conduce verso nuove prospettive ricostruttive mediante alcune precise indicazioni. La riflessione si riferisce alle conseguenze della violazione delle regole di esclusione le quali giustificano, secondo la Corte [66], un regime che non incide sull’atto processuale viziato in sé, ma sulla sua idoneità giuridica a svolgere funzione di prova: in altri termini, la preclusione in cui si sostanzia il vizio dell’inutilizzabilità dissolve la idoneità probatoria degli atti vietati dalla legge [67]. Si è sottolineato in proposito che l’eliminazione dall’orizzonte conoscitivo dell’atto invalido [68] è garantita dal cosiddetto «effetto intrinseco dell’inutilizzabilità» che, coniugato al principio d’autosuf­fi­cienza che caratterizza la sanzione, trova espressione nel concetto di relazione sottostante alla fattispecie [69]. In definitiva, si determina il superamento della tesi dell’inutilizzabilità derivata poiché non serve ricorrere allo schema dell’estensione degli effetti dell’inutilizzabilità [70]: la soluzione al problema della propagazione dell’invalidità si rinviene piuttosto nella fisionomia dell’inutilizzabilità come vizio funzionale, considerato nella sua dimensione di divieto conoscitivo [71]. La questione relativa alla presenza di un atto illegittimo non può essere risolta negativamente adducendo la mancanza di una disposizione che preveda espressamente la propagazione degli effetti invalidanti agli atti susseguenti o l’inapplicabilità dell’art. 185 c.p.p. [72]. In sostanza, a fronte di una violazione di un divieto probatorio, occorre considerare il mezzo colpito dal vizio e focalizzare l’attenzione sull’ef­fettività (o addirittura l’ultrattività [73]) dell’offesa arrecata [continua ..]


5. La corte europea dei diritti dell’uomo delinea l’autonomia della perquisizione rispetto al sequestro sul piano del diritto di accesso al giudice

Dalla giurisprudenza sovranazionale proviene una forte sollecitazione nel senso dell’illegittimità della perquisizione irrituale (ossia compiuta in assenza di adeguate garanzie per la sua esecuzione) a prescindere dagli atti conseguenti: insomma si accentua l’irritualità in sé della ricerca perquirente [82]. Il riferimento va alla sentenza Brazzi v. Italia del 27 settembre 2018 [83] con cui la Corte e.d.u. ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione europea, in un caso di perquisizione domiciliare disposta dal pubblico ministero non seguita da sequestro, proprio in considerazione della mancanza nel nostro ordinamento di uno strumento di controllo di legalità ex ante e di un sindacato ex post della legittimità dello strumento di ricerca della prova [84]. I Giudici di Strasburgo, si è sottolineato, hanno colto la prospettiva dell’inidoneità giuridica dell’atto inutilizzabile a svolgere la propria funzione probatoria [85]. Merita sottolineare che la questione affrontata nella sentenza Brazzi c. Italia si inserisce nella più ampia riflessione sulla nozione di diritto di accesso al giudice, quale emanazione del processo equo [86]: infatti, pur non esplicitamente richiamato dalla Convenzione europea [87], tale diritto si fonda sull’art. 6 Cedu [88] e si salda con il diritto ad un ricorso effettivo espressamente sancito dall’art. 13 Cedu [89] oltre che dall’art. 47 della Carta di Nizza [90]. Secondo la giurisprudenza europea l’art. 6 § 1 Cedu, prima ancora di prevedere una serie di diritti “nel” processo, sancisce il diritto alla giurisdizione (o diritto al processo) di cui, appunto, è una fondamentale espressione il diritto di accesso al giudice [91]. Quest’ultimo è configurato nella riflessione dottrinale interna come una garanzia irrinunciabile insita in ogni sistema che dispensi diritti [92] e ricompresa nel più ampio diritto alla giurisdizione ossia il diritto dell’individuo a che la giurisdizione venga attuata concretamente nei suoi confronti secondo le regole del giusto processo (art. 111 Cost.) [93]. Peraltro, il diritto di accesso al giudice è una nozione che costituisce lo sviluppo di precedenti elaborazioni dottrinali che da tempo la impiegano come sinonimo di diritto di azione (ex art. 24 comma 1 [continua ..]


6. La nuova opposizione alla perquisizione illegittima “negativa”: il legislatore si allinea al diritto vivente

La sentenza Brazzi del 2018 costituisce, come palesato dalla legge delega 27 settembre 2021, n. 134, il punto di riferimento del legislatore delegato per adeguare la normativa interna in materia di perquisizione ai princìpi stabiliti dai Giudici di Strasburgo. Tale adeguamento costituisce, oltre che l’adem­pimento ad una «‘imposizione’ convenzionale» [103], un’ambizione dichiarata del legislatore [104], anche sulla scorta delle indicazioni fornite dalla Commissione Lattanzi [105], così da colmare una carenza sistematica [106] e prevenire il rischio di abusi [107]. Il d.lgs. del 10 ottobre 2022, n. 150 in attuazione del criterio direttivo contenuto nell’art. 1 comma 24 della legge-delega [108] in materia di controllo giurisdizionale della legittimità della perquisizione [109], ha introdotto nell’ordinamento giuridico un rimedio ad hoc esperibile, davanti al giudice per le indagini preliminari, contro la perquisizione “negativa” illegittima [110]. In altri termini, il legislatore delegato ha riconosciuto il diritto della persona sottoposta alle indagini preliminari, o di altro soggetto interessato, a proporre opposizione contro il provvedimento di perquisizione, emanato dal pubblico ministero, non seguito da sequestro probatorio [111]. Viene in evidenza un rimedio di natura impugnatoria, avente la veste formale dell’opposizione [112]: si tratta di uno specifico mezzo di controllo a posteriori [113] che concretizza un meccanismo di tutela rispetto all’emissione e al contenuto del decreto di perquisizione [114], azionabile esclusivamente in relazione alle perquisizioni negative [115]. In sede di attuazione il legislatore, attraverso gli artt. 12 e 17 del d.lgs. n. 150/2022, ha operato su due fronti: sia prevedendo una nuova disciplina, delineata dall’art. 252-bis c.p.p., che regolamenta uno strumento di controllo nella disponibilità dell’interessato avverso la perquisizione non seguita da sequestro, sia estendendo tale meccanismo garantista alla perquisizione “negativa”, effettuata in via autonoma dalla polizia giudiziaria, convalidata dal magistrato inquirente [116] mediante l’innesto di un comma 4-bis nell’art. 352 c.p.p. [117]. In definitiva, si è introdotta una forma di controllo su determinate scelte dell’organo [continua ..]


NOTE
Fascicolo 5 - 2023