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L'immediata esecutività dell'ordinanza applicativa del sequestro preventivo. Sulla richiesta di sospensione il riesame può decidere de plano

di Roberta Barone, Cultrice di Diritto pubblico - Università di Palermo

Con la sentenza che si commenta, la Suprema Corte ha affrontato la problematica inerente all’estensibilità della previsione di cui all’art. 310, comma 3, c.p.p. anche all’appello delle misure cautelari reali; in particolare, alla possibilità di concedere la sospensione dell’ordinanza che, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero, abbia disposto il sequestro preventivo. Sotto altro profilo, la pronuncia ha affermato, attraverso un principio di diritto inedito, che sulla relativa richiesta di sospensione avanzata dal difensore, il Tribunale del riesame può provvedere de plano, non essendo prevista la ammissibilità o la proponibilità di siffatta istanza nel nostro ordinamento.

The immediate enforceability of the order applying a preventive seizure. The tribunal of review may decide de plano on the application of suspension

The Italian Supreme Court has addressed the issue regarding the potential application of the provision under Article 310, paragraph 3, of the Italian criminal procedure code, also to the appeal of “in rem” precautionary measures; specifically, the possibility that the decision which ordered the preventive seizure following an appeal of the public prosecutor, might be suspended. On the other hand, the judgment has stated, with an unprecedented principle of law, that the tribunal of review can provide de plano on the application for suspension submitted by the lawyer since in our judicial system the admissibility or the feasibility of this request is not foreseen.

È legittima la decisione de plano sull’istanza di sospensione dell’esecutività del sequestro

MASSIMA:

In tema di misure cautelari reali, sulla richiesta della parte di sospendere l’immediata esecutività dell’ordinanza che, accogliendo l’appello del pubblico ministero, abbia disposto il sequestro dei beni, il tribunale del riesame legittimamente provvede de plano, trattandosi di istanza non disciplinata dal codice, che non ne contempla l’ammis­sibilità e/o la proponibilità, sicché difetta qualsiasi richiamo normativo alla necessità di procedere con rito camerale partecipato, ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen.

PROVVEDIMENTO:

(Omissis)

RITENUTO IN FATTO

1. A.A. e G.R. ricorrono congiuntamente contro il provvedimento indicato in epigrafe che, con procedura de piano, ha dichiarato non essere estensibile in loro favore il disposto di cui all’art. 310, comma 3, c.p.p., lamentandone l’illegittimità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

1. I ricorrenti avevano chiesto al Tribunale di Napoli di sospendere l’esecutività dell’ordinanza che, accogliendo l’appello cautelare del P.M., aveva disposto il sequestro di beni dei ricorrenti.

2. Il collegio è consapevole del fatto che, secondo un recente orientamento di questa Corte (sez. 3, n. 25052 del 21/07/2020, Belmonte, Rv. 279864 - 01; sez. 6, n. 2693 del 05/10/1993, Foglia, Rv. 196916 - 01), in tema di misure cautelari reali, gli effetti dell’ordinanza emessa dal tribunale del riesame a norma dell’art. 322-bis c.p.p. che, accogliendo l’appello del pubblico ministero, abbia annullato la revoca del sequestro preventivo disposta dal giudice per le indagini preliminari, sono sospesi fino a che detta pronuncia sia divenuta definitiva, in quanto il rinvio, operato dalla medesima norma, alle disposizioni di cui all’art. 310 c.p.p. include anche l’operatività del comma 3 di tale articolo, che tale sospensione stabilisce, trattandosi di previsione compatibile con le misure cautelari reali.

2.1. A parere del collegio, merita, peraltro, condivisione l’opposto, e senz’altro dominante, orientamento a parere del quale è immediatamente esecutiva l’ordinanza emessa a norma dell’art. 322-bis c.p.p. dal tribunale del riesame che, in accoglimento dell’appello del P.M., abbia disposto il sequestro preventivo, in quanto la clausola di compatibilità che regola il rinvio alle disposizioni di cui all’art. 310 c.p.p. esclude l’operatività del comma 3 di tale articolo, ai sensi del quale l’efficacia del provvedimento è differita fino alla definitività dello stesso, trattandosi di previsione riferita esclusivamente alla libertà personale (sez. 2, n. 11204 del 09/02/2016, Convertino, Rv. 266371 - 01; sez. 3, n. 24967 del 14/05/2015, Taurino, Rv. 264097 - 01; sez. 1, n. 41004 del 20/10/2010, Fucci, Rv. 248936 - 01; sez. 3, n. 41078 del 20/09/2007, Simone, Rv. 238097 - 01; sez. 3, n. 3788 del 14/12/1995, dep. 1996, Colonnese, non mass.).

2.2. Detto orientamento evidenzia, in primo luogo, la diversità esistente tra le misure cautelari personali e quelle reali ammessa pacificamente, e da epoca risalente, dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (che, con la sentenza n. 48 del 1994, pur rinvenendo nel codice di rito marcati parallelismi tra le misure di cautela reale e quelle personali - ha affermato che il legislatore non “si è peraltro spinto al punto di avere assimilato in toto i presupposti" che devono assistere dette differenti misure e, in materia di sequestro”, la funzione preventiva non si proietta necessariamente sull’autore del fatto criminoso ma su cose che, postulando un vincolo di pertinenzialità col reato, vengono riguardate dall’ordi­namento come strumenti la cui libera disponibilità può costituire situazione di pericolo") e delle sezioni unite (apparendo significative al riguardo, nel senso del riconoscimento di una netta prevalenza al favor libertatis che giustifica difformità di disciplina, la sentenza n. 4 del 26/04/1990, Serio, in motivazione; la sentenza n. 6 del 27/03/1992, Midolini, in motivazione, sui limiti del controllo di legittimità in tema di sequestro preventivo; la sentenza n. 4 del 25/03/1993, Gifuni, in motivazione, sull’esclusione della valutabilità della concreta fondatezza dell’accusa nel giudizio di riesame per la cautela reale, con preclusione di ogni valutatone sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi; la sentenza n. 11 del 08/07/1994, Buffa, in motivazione, sulla differente rilevanza dell’interesse ad impugnare in seguito a revoca di misura cautelare personale o reale disposta nelle more del giudizio di riesame; la sentenza n. 5 del 20/04/1994, Iorizzo, in motivazione, con riferimento all’applicabilità della sospensione nel periodo feriale alle impugnazioni di misure cautelari reali ed al termine per proporre ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse dal tribunale all’esito di appello o riesame, rinvenuto per le misure reali in quello generale ex art. 585 c.p.p. e non in quello specifico stabilito dall’art. 311 c.p.p. per le cautele personali) (per questi riferimenti, cfr. sez. 3, n. 41078 del 20/09/2007, Simone, in motivazione).

2.2.1. Ciò premesso, si è condivisibilmente affermato che "la ratio sottesa alla speciale disciplina posta dall’art. 310, comma 3, c.p.p. - rinvenibile nel criterio di prevalenza, in situazioni di dubbio, dell’interesse dell’indagato alla libertà personale - non trova alcuna giustificazione in materia di sequestro" (sez. 3, n. 41078 del 20/09/2007, Simone, in motivazione); e si è aggiunto che, "mentre l’omessa esecutività della misura cautelare personale, emanata in seguito all’accoglimento dell’appello ex art. 322-bis c.p.p. avverso la revoca della stessa, consente, sia pure con un notevole dispendio di energie, di mezzi e di denaro pubblico, di controllare i movimenti dell’indagato, appare realmente impossibile evitare che un reato venga portato ad ulteriori conseguenze o che una certa condotta agevoli la commissione di ulteriori reati, qualora non si proceda al sequestro della res costituente corpo del reato o cosa pertinente al reato" (sez. 3, n. 3788 del 14/12/1995, dep. 1996, Colonnese, non mass.).

2.2.2. In coerenza con tali premesse logico-sistematiche, e tenuto conto del dato testuale e della sostanziale diversità tra i provvedimenti cautelari in materia di libertà personale e le misure cautelari reali, può ribadirsi che il rinvio dell’art. 322-bis c.p.p., all’art. 310 stesso codice non è riferibile anche al comma 3 di tale ultima disposizione, “in quanto la clausola di compatibilità esclude l’applicazione di un precetto non adattabile al regime delle misure cautelari reali, perché riferito esclusivamente alla libertà personale, con la conseguenza che, quanto disposto dall’art. 325, ultimo comma, si estende anche alle ordinanze applicative del sequestro preventivo emanate dal Tribunale in accoglimento del ricorso del pubblico ministero avverso la revoca della predetta misura”.

3. Ancora correttamente il Tribunale ha ritenuto di procedere de plano, ovvero senza formalità.

Invero, considerato che l’istanza dei ricorrenti non era disciplinata dal vigente codice di rito, che non ne contempla l’ammissibilità e/o la proponibilità, difettava un richiamo alla necessità di procedere con rito camerale partecipato, ai sensi dell’art. 127 c.p.p.

D’altro canto, anche in un caso nel quale una espressa disposizione (l’art. 600 c.p.p.) stabilisce che, se il giudice di primo grado abbia omesso di provvedere sulla richiesta di provvisoria esecuzione o l’abbia respinta, la parte civile può impugnare la sentenza al giudice di appello, che provvede a richiesta della parte con ordinanza in camera di consiglio, e che, nelle medesime "forme", ossia con il medesimo rito, può essere chiesta dall’imputato o dal responsabile civile, sia la revoca o la sospensione della provvisoria esecuzione, se accordata, sia la sospensione dell’esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale, questa Corte, premesso che il testo delle disposizioni richiamate non contiene richiamo esplicito e nemmeno nessun riferimento che per via logico-sistematica consenta di ritenere che il procedimento camerale in questione sia soggetto alla disciplina dettata dall’art. 127 cod. proc. pen., e quindi che contempli la partecipazione delle parti all’udienza di trattazione con obbligo di dare loro preventivo avviso della data fissata per la celebrazione, ha ritenuto legittimo procedere senza formalità di rito (sez. 1, n. 39585 del 06/06/2019, Romano, Rv. 276873).

4. La conclusiva declaratoria d’inammissibilità dei ricorsi comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali; l’esistenza di un contrasto di orientamenti giurisprudenziali in ordine alla questione giuridica dedotta consente di non condannare i predetti anche al pagamento di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende. giacché in tal caso esula ogni profilo di colpa in capo al ricorrente e non ricorrono, pertanto, le condizioni stabilite dall’art. 616 c.p.p. nel testo modificato dalla sentenza della Corte costituzionale 13 giugno 2000, n. 186 (sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219532 - 01).

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

(Omissis)

Corte di Cassazione, sez. II, 14 giugno 2022, n. 23244; Pres. Rago - Rel. Beltrani

Sommario:

1. Premessa - 2. L’immediata esecutività dell’ordinanza ex art. 322-bis c.p.p. - 3. (Segue) Sulla necessità di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 322-bis c.p.p. - 4. L’inedito principio di diritto affermato: una singolare decisione de plano - 5. (Segue) Alcuni rilievi critici - 6. L’udienza camerale ex art. 127 c.p.p. e l’“impianto normativo di genere” - 7. Riflessioni conclusive - NOTE


1. Premessa

Lo scorso febbraio la seconda sezione della Corte di cassazione è stata chiamata a esprimersi in merito alla questione dell’ammissibilità dell’istanza del difensore diretta a ottenere, ai sensi dell’art. 322 c.p.p., la sospensione dell’ordinanza cautelare reale che - in accoglimento del gravame del pubblico ministero - aveva disposto il sequestro di alcuni beni. Su tale questione se ne è innestata una ancora più significativa concernente, a fronte del silenzio normativo sul punto, la tipologia di procedimento applicabile dal tribunale. In particolare, si è posto l’interrogativo se, in mancanza di un’espressa previsione sul piano codicistico, si dovesse procedere con provvedimento adottato de plano ovvero con le ”forme” proprie del rito camerale ex art. 127 c.p.p. Per meglio comprendere, sembra utile richiamare la specifica vicenda processuale [1]. Il Tribunale del riesame di Napoli accoglieva l’”appello reale” proposto dal pubblico ministero distrettuale di Napoli avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di sequestro preventivo finalizzato alla confisca c.d. allargata o per sproporzione di beni nella disponibilità dell’imputato - intestati a quest’ultimo, alla moglie e al figlio - in relazione a un reato per il quale era intervenuta condanna. In conseguenza, il Tribunale predetto disponeva il sequestro dei beni, immediatamente esecutivo, [continua ..]

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2. L’immediata esecutività dell’ordinanza ex art. 322-bis c.p.p.

Il primo profilo sul quale la pronuncia in commento ha posto l’attenzione riguarda l’esecutività dell’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 322-bis c.p.p.: tema sul quale si è sviluppato negli ultimi anni un contrasto giurisprudenziale. Com’è noto, l’art. 322-bis c.p.p. disciplina l’appello avverso le ordinanze in materie di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero [4]. Impugnazione che è esperibile dal pubblico ministero, dall’imputato e dal suo difensore, dalla persona alla quale le cose sono state sequestrate e da quella che avrebbe diritto alla loro restituzione [5]. Si tratta di un istituto che, al pari dell’omologo appello previsto dall’art. 310 c.p.p. per le misure cautelari personali, presenta carattere residuale, come testimonia l’incipit “fuori dai casi previsti dall’art. 322” [6]. Per quel che rileva in questa sede, l’art. 322, comma 2-bis, c.p.p. stabilisce che “l’appello non sospende l’esecuzione del provvedimento”, salvo l’applicazione, “in quanto compatibili”, delle disposizioni contenute nell’articolo 310 c.p.p. Il nodo problematico sul quale si sono sviluppati i contrasti giurisprudenziali riguarda, dunque, l’estensibilità alle misure cautelari reali del disposto di cui all’art. 310, comma 3, c.p.p.: [continua ..]

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3. (Segue) Sulla necessità di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 322-bis c.p.p.

Riguardo al profilo sopra evidenziato, l’impostazione condivisa dalla sentenza in commento non presta adeguato rilievo al fatto che la misura cautelare del sequestro preventivo - nelle sue diverse declinazioni e, a fortiori, in quella diretta [12] - è suscettibile, comunque, di incidere su diritti costituzionalmente tutelati, quali il diritto di proprietà e la libertà di iniziativa economica [13]. A tal riguardo, non può non osservarsi come complesso e non sempre lineare sia stato, invero, il percorso di matrice giurisprudenziale che ha consentito di estendere alle misure cautelari reali alcune garanzie proprie di quelle personali. Vero è che l’orientamento da tempo maggiormente accreditato sostiene che il giudice delle impugnazioni, in tema di sequestro preventivo, non può spingersi sino ad analizzare in concreto la fondatezza dell’accusa per tradursi in un’anticipata decisione di merito, ma deve «limitarsi all’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato» [14]. La giurisprudenza più recente, tuttavia, ha innalzato lo standard indiziario ai fini della sussistenza del fumus boni iuris. In tal senso, la “serietà degli indizi” (e l’esistenza di un concreto quadro indiziario) costituisce presupposto del sequestro preventivo [15]. Ancora, meritevoli di richiamo sono quelle [continua ..]

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4. L’inedito principio di diritto affermato: una singolare decisione de plano

Nel risolvere la questione della mancata sospensione dell’esecuzione del provvedimento, la Suprema Corte ha ritenuto legittima la procedura de plano seguita dal tribunale del riesame, osservando come l’istanza sospensiva proposta dal difensore non fosse «disciplinata dal codice di rito, che non ne contempla l’ammissibilità e/o proponibilità». La soluzione prescelta troverebbe, secondo i giudici di legittimità, un supporto nella disciplina di cui all’art. 600 c.p.p. che fa riferimento all’ipotesi in cui il giudice di primo grado abbia omesso di provvedere sulla richiesta di provvisoria esecuzione o l’abbia respinta, consentendo alla parte civile di impugnare la sentenza davanti al giudice di appello che provvede, a richiesta della parte, con ordinanza in camera di consiglio. Nelle medesime forme, l’imputato o il responsabile civile possono chiedere la revoca o la sospensione della provvisoria esecuzione. Muovendo dalla considerazione che il disposto di cui all’art. 600 c.p.p. «non contiene richiamo esplicito e nemmeno nessun riferimento che per via logico-sistematica consenta di ritenere che il procedimento camerale in questione sia soggetto alla disciplina dettata dall’art. 127 cod. proc. pen.», la Corte di cassazione estende questo modulo senza formalità di rito o, de plano [27], alla materia cautelare reale. Ci troviamo di fronte a un ragionamento di tipo [continua ..]

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5. (Segue) Alcuni rilievi critici

Non vi è dubbio che così ragionando i giudici di legittimità abbiano finito per porre a raffronto - pur con l’evidente finalità di colmare in via interpretativa una lacuna esistente nel nostro ordinamento [28] - situazioni profondamente diverse tra di loro. Anzitutto, è da rilevare come l’appello cautelare, nelle cui maglie si inserisce la possibilità (eventuale) di proporre istanza sospensiva del sequestro preventivo, non possa essere assimilato in toto all’ordinario mezzo di impugnazione [29]. In secondo luogo, la procedura sospensiva prevista dall’art. 600 c.p.p. - protesa ad ottenere la provvisoria esecuzione delle statuizioni civili o, specularmente, la sospensione delle stesse - come da tempo si è sostenuto, involge principi e interessi che risultano estranei al processo penale e alla sua funzione cognitiva [30]. Dalla prospettiva degli interessi coinvolti, lo spettro applicativo del sequestro preventivo è nel concreto più ampio, potendo coinvolgere beni sia materiali che immateriali, e potendo spingersi - a differenza dei provvedimenti del giudice aventi ad oggetto le statuizioni civili, che hanno carattere economico - sino al punto di inibire l’esercizio di attività e diritti meritevoli di tutela costituzionale. E ancora, mentre le condanne civili pronunciate nel processo penale presuppongono e dunque sono, per così dire, [continua ..]

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6. L’udienza camerale ex art. 127 c.p.p. e l’“impianto normativo di genere”

Premessa la non condivisibilità della soluzione alla quale approda la Corte, si tratta adesso di comprendere quale procedura avrebbe altrimenti potuto applicare l’organo decidente in assenza di un’espressa indicazione da parte del legislatore. In linea generale, i riti camerali conosciuti dal nostro ordinamento, improntati a finalità di economia processuale, derogano al principio del contraddittorio. Alle udienze auditis partibus [33] e a quelle a contraddittorio cartolare [34] si affiancano i procedimenti de plano [35], nonché, quale archetipo camerale, il rito ex art. 127 c.p.p. Quest’ultimo regolamenta il procedimento in «camera di consiglio», espressione che è utilizzata per indicare non il luogo dove il giudice si ritira per formare il proprio convincimento, ma una peculiare modalità di svolgimento dell’attività giurisdizionale [36]. Si tratta di una procedura “semplificata” che, rispondendo al modello liberistico secondo il quale «ognuno agisce come meglio ritiene, correndo i relativi rischi» [37], il codice impone tutte le volte in cui occorra adottare una decisione in tempi rapidi e si debba attivare un contraddittorio di tipo meramente eventuale (le parti sono avvisate del­l’udienza e interloquiscono solo se compaiono). La ratio di tale norma è ispirata, come accennato, a un’esigenza di economia: il legislatore ha [continua ..]

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7. Riflessioni conclusive

La sentenza, nel pervenire alle conclusioni anzidette, si espone a critiche di non poco momento. Essa, infatti, manca di esplicitare le motivazioni che, in assenza di appositi riferimenti normativi ed in presenza di irrisolti contrasti ermeneutici, hanno indotto la Suprema Corte a ritenere preferibile la soluzione maggiormente derogatoria della garanzia del contraddittorio. Al contrario, ha finito per affidare a un ragionamento analogico il delicato compito di determinare contenuto e latitudine applicativa di una “presa di posizione” gravida di implicazioni. Non può non rilevarsi, al riguardo, come sullo sfondo costituito da interpretazioni creative o in malam partem di fattispecie non espressamente disciplinate dal legislatore, si annidino di frequente le maglie subdole di un fenomeno che tende a sfociare in un decremento delle garanzie individuali. Non appare immune da simili devianze neanche il ragionamento esibito nella sentenza in esame: la decisione cui sono pervenuti i giudici di legittimità sembra collocarsi su binari distanti da quelli in cui si pongono i principi costituzionali in materia di contraddittorio e “giusto processo”, nonché di “processo equo”. In tale contesto complessivo, rimane la consapevolezza che l’intenzione originaria del legislatore del 1989 - di potenziare il ricorso ai procedimenti camerali nell’ambito del processo penale al fine di innalzare lo standard di tutela delle [continua ..]

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NOTE

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