Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Decisioni in contrasto (di Giada Bocellari)


Concordato in appello: la sindacabilità in cassazione del mancato accoglimento dell’ac­cordo

(Cass., sez. VI, 23 agosto 2022, n. 31556)

La sentenza in commento ritiene ammissibile il ricorso per cassazione volto a sindacare il mancato accoglimento da parte del giudice d’appello dell’accordo formulato dalle parti ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p.

La questione è tutt’altro che pacifica.

Secondo un primo orientamento (Cass., sez. VII, 2 febbraio 2021, n. 20085), infatti, un siffatto motivo di ricorso per cassazione è inammissibile in quanto, anzitutto, non è dato rinvenire nel codice di procedura penale una norma che, analogamente a quanto previsto dall’art. 448 c.p.p. per il patteggiamento, consenta di proporre ricorso per cassazione in caso di mancato accoglimento dell’accordo formulato dalle parti. Inoltre, a sostegno dell’inammissibilità di tale censura in sede di legittimità, viene anche evidenziato come, al di là delle finalità deflattive del concordato, quest’ultimo non risulta del tutto assimilabile al patteggiamento quanto alla sua natura, atteso che il concordato – a differenza del patteggiamento – interviene dopo che vi è già stata una piena valutazione nel merito, con la conseguenza che “il diniego del consenso da parte del pubblico ministero o il rigetto della proposta di concordato da parte della Corte di appello sono passaggi procedurali non sottoposti ad alcuna forma di controllo processuale che, ove fosse previsto, complicherebbe la procedura, invece che semplificarla”. Ritiene la Corte, in sintesi, che il mancato accoglimento del concordato da parte del giudice d’appello sia una scelta, di fatto, non sindacabile. Ad ulteriore sostegno di tale primo orientamento, la Suprema Corte, ritenendo sussistente una sorta di analogia tra i due casi, richiama alcune pronunce (tra cui Cass., sez. II, 5 novembre 2020, n. 8605) che hanno disatteso la ricorribilità in cassazione in caso di immotivato rifiuto da parte del procuratore generale al concordato, anche in questo caso evidenziando la mancanza di una specifica disposizione di legge.

segue

Su quest’ultimo passaggio fa leva argomentativa un secondo e contrapposto orientamento (Cass., sez. VI, 18 maggio 2022, n. 23614), cui aderisce pienamente la sentenza in commento, che non manca di rilevare come le due ipotesi – mancato consenso del procuratore generale al concordato, da un lato, e mancato accoglimento da parte del giudice all’accordo delle parti, dall’altro – costituiscono fattispecie assolutamente non sovrapponibili: il mancato consenso del procuratore generale – esattamente come accade nel caso del mancato consenso del pubblico ministero al patteggiamento – non può essere fatto oggetto direttamente di ricorso per cassazione, poiché la censura non attiene alla sentenza, bensì ad un atto – il consenso, appunto – che è espressione di un negozio processuale demandato alle parti. Diverso, invece, a parere della Suprema Corte, il caso in cui l’accordo sul concordato sia intervenuto e il giudice d’appello non lo accolga. A favore dell’ammissibilità del ricorso per cassazione sul punto, depone l’applicabilità dei principi generali delle impugnazioni, senza che con ciò possa ritenersi violato il principio di tassatività: “il concordato in appello, sia in caso di rigetto che di accoglimento, determina l’adozione di un’ordinaria sentenza di secondo grado, in quanto tale impugnabile in cassazione secondo la disciplina ordinaria. Il fatto che non sia prevista una disciplina derogatoria per l’impugnazione del concordato in appello, non consente affatto di ritenere che il ricorso per cassazione sia in tal caso precluso, bensì determina l’applicabilità dei principi generali e, quindi, depone nel senso dell’ammissibilità del ricorso". Tale conclusione pare suffragata dal fatto che l’impugnabilità è stata già espressamente riconosciuta anche nel caso in cui il concordato sia stato recepito dal giudice d’appello (Cass., sez. II, 1 giugno 2018, n. 30990, per motivi relativi alla formazione della volontà della parte). Evidenzia, inoltre, la Suprema Corte che l’idea per cui il mancato accoglimento del concordato sarebbe frutto di una scelta non sindacabile compiuta dal giudice di appello, porta ad una soluzione inaccettabile perché foriera di un "grave vulnus al diritto di difesa, nonché una palese violazione dell’in­teresse dell’imputato ad accedere ad un trattamento sanzionatorio di favore”. I giudici di legittimità ricordano come la scelta del giudice di appello di non ammettere il concordato determina effetti di estremo rilievo e, pertanto, ove non si consentisse il controllo sulla legittimità della stessa con il ricorso per cassazione, si porrebbero fondati dubbi di legittimità costituzionale, di fatto impedendo all’im­putato di ottenere il [continua..]

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Fascicolo 6 - 2022