Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Corte europea dei diritti dell´uomo (di Andrea Sivier)


Divieto di trattamenti inumani o degradanti: obblighi delle autorità statali a tutela della vittima vulnerabile

(Corte e.d.u., 8 settembre 2022, J.I. c. Croazia)

Con la sentenza in commento i giudici strasburghesi si occupano degli obblighi procedurali richiesti dall’art. 3 Cedu, con particolare riferimento ai doveri di protezione gravanti sulle Autorità statali per il caso in cui siano poste a conoscenza di gravi minacce subìte da un soggetto vulnerabile.

Preme, anzitutto, precisare come il divieto di tortura o di trattamenti inumani o degradanti sia pacificamente considerato un diritto assoluto, con la conseguenza che non è possibile alcuna eccezione o limitazione dello stesso neppure in circostanze gravi come la lotta al terrorismo o alla criminalità organizzata. Ne discende che non possono giustificare trattamenti vietati né l’interesse generale, né la condotta o la condizione di pericolosità della vittima, né il diritto altrui.

segue

Come noto, l’art. 3 della Convenzione può essere invocato in situazioni estremamente diverse tra loro in grado di ricomprendere varie ipotesi di sofferenza umana, fisica e psicologica, non soltanto collegate a condotte attive, ma pure a comportamenti omissivi delle Autorità, ragione per la quale la giurisprudenza in materia risulta essere assai vasta e articolata. Con la decisione che ci si accinge ad esporre, La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Croazia perché ha ritenuto che le autorità interne non abbiano attivato un’indagine effettiva volta ad accertare le presunte gravi minacce che avrebbe subìto una donna di origine Rom dal padre, già condannato per reati sessuali contro la figlia, durante il congedo carcerario del quale lo stesso stava beneficiando. Secondo i Giudici, dunque, le autorità croate sarebbero state inottemperanti all’obbligo di attivarsi a protezione della vittima, violando, conseguentemente, l’art. 3 della Convenzione. Si dia un rapido sguardo ai fatti di causa. L’11 agosto 2015 la ricorrente, una donna di origine Rom già vittima di abusi sessuali perpetrati dal padre, chiamava la linea di emergenza per segnalare alle autorità di essere venuta a conoscenza che il genitore, che stava scontando la condanna presso un istituto di detenzione, era presumibilmente evaso dal carcere e l’aveva minacciata di morte per il tramite di alcuni parenti. A seguito degli accertamenti del caso, le autorità provvedevano ad informare la donna che il padre non era evaso dal carcere, ma nel fine settimana beneficiava di un congedo carcerario in relazione al quale non risultavano emerse irregolarità e, quel giorno, conformemente alle imposizioni impartitegli, era rientrato presso l’istituto di detenzione nel tardo pomeriggio. Le autorità, inoltre, invitavano la donna a contattare la stazione di polizia più vicina nel caso in cui il genitore tentasse di avvicinarla personalmente. Il 3 settembre 2015 la ricorrente notava il padre nei pressi di una fermata dell’autobus ove anch’essa si trovava, ragione per la quale decideva di rifugiarsi in un negozio delle vicinanze e telefonava alla polizia per chiedere aiuto. Alle forze dell’ordine prontamente intervenute la donna riferiva di essere particolarmente spaventata per il fatto che il suo stupratore, che l’aveva recentemente minacciata per il tramite di parenti, era nei pressi e la stessa era troppo intimorita per uscire dal negozio ove aveva trovato ricovero perché credeva che la stesse seguendo. Gli agenti di polizia raggiungevano, quindi, l’uomo per chiedere spiegazioni in merito alla sua presenza in quel luogo e lo stesso riferiva di non avere visto la figlia, né di averla minacciata e affermava che probabilmente la donna si stava inventando di avere subìto minacce in modo che lo stesso non [continua..]

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Fascicolo 6 - 2022