Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Due (o tre) richieste al Ministro. Riflessioni a margine del disegno di legge Cartabia (di Gustavo Pansini, Professore emerito di Procedura penale – Università degli studi di Urbino)


Il Disegno di Legge Cartabia nel suo complesso intende perseguire la finalità di rispettare il principio della ragionevole durata del processo, solo se questo non incide negativamente sulla tutela di diritti costituzionali quali il “rispetto dei canoni del giusto processo”. L’A. individua alcuni punti imprescindibili che dovrebbero essere anch’essi espressamente indicati nella delega per orientare il legislatore delegato nella costruzione di un processo efficiente ma rispettoso dei canoni accusatori.

Two (or three) requests to the Minister. Reflections on the sidelines of Cartabia’s drawing

The Cartabia Bill intends to pursue the aim of respecting the principle of the reasonable trial duration only if this does not adversely affect the protection of constitutional right such as “respect for the due process”. The A. identifies some essential points that should also be expressly indicated in the delegation to guide the delegated legislator in the construction of an efficient process but respectful of the accusing canons.

SOMMARIO:

1. Premesse - 2. L’immutabilità del giudice - 3. Le impugnazioni - 4. Limitazioni alle circolari degli uffici giudiziari - 5. Limitazioni all’incidenza del diritto sovranazionale - NOTE


1. Premesse

Nella successione del Disegno di legge presentato dal Ministro Bonafede per conto del Governo Conte e del Disegno di Legge presentato dal Ministro Cartabia per conto del Governo Draghi e già approvato da uno dei rami del Parlamento, vi è una piccola differenza, che si presenta allo studioso attento come un macigno su cui costruire una differenza fondamentale di approccio alla interpretazione dei due documenti: per il primo, il binario si muove sulla attuazione dell’obbligo del rispetto assoluto della ragionevole durata del processo [1], per il secondo tale finalità deve essere perseguita solo se non incide negativamente sulla tutela di diritti costituzionali quali il “rispetto dei canoni del giusto processo”. Questi ultimi, espressamente indicati nell’art. 16 come confine per la delega a legiferare e a controllare il funzionamento del processo penale, consentono quella interpretazione del concetto di “ragionevolezza” della durata di esso, da noi sempre indicato come confine del potere di regolare normativamente e organizzativamente lo svolgimento del processo stesso. è ovvio, infatti, che l’inserimento del divieto per il legislatore delegato conferisce ad esso un rafforzamento, costituito proprio dall’esplicito riferimento inserito nella legge delega. Il richiamo della norma costituzionale col rafforzamento di esso divieto ci consente di individuare, nel disegno di processo che si va a creare, come fruitori della garanzia del contraddittorio le parti del processo, anche se eventuali vizi nella partecipazione del giudice allo svolgimento e alla completezza del contraddittorio (in una ricostruzione concettuale della prova questa è in sostanza il veicolo di trasferimento della conoscenza del fatto da un soggetto che ne è in possesso al giudice, che tale conoscenza non ha e non deve assolutamente avere perché questa si sarebbe formata al di fuori appunto del contraddittorio) si ripercuotono sul procedimento di acquisizione della conoscenza dei fatti e sulla interpretazione che di essi il giudice deve fare, cui le parti sono interessate in vista della formazione della decisione del giudice. In altri termini, appare decisivo l’interesse delle parti al momento e al modo di apprendimento dei fatti per il giudice perché da esso discende l’auspicabile corretta risoluzione dell’og­getto del processo.


2. L’immutabilità del giudice

In questo contesto assume rilievo, allora, l’accaduto nella prassi giudiziaria in ordine al principio di immutabilità del giudice che, malamente interpretando il concetto di ragionevole durata, la giurisprudenza prima e la legislazione dopo hanno snaturato attraverso la previsione della possibilità del mutamento di esso nel corso del procedimento di formazione del convincimento. È accaduto, infatti, che la giurisprudenza prima e la legislazione poi (quest’ultima differenziando in origine la applicabilità ai soli processi di criminalità organizzata e ricostruendone, poi, una unitarietà di trattamento estesa a tutte le tipologie di reati) hanno negato la illegittimità costituzionale del diverso trattamento unificando la situazione con l’estensione della non necessità della rinnovazione a tutte le fattispecie di reato (ciò che è solo l’indicazione di una tendenza a svuotare il codice del 1989 dei propri principi accusatori), oltre che negare che il giudizio sulla prova sia un giudizio di valore sulla rilevanza [2]. Sarebbe opportuno, pertanto, che il testo definitivo della legge delega contenesse un esplicito, forte richiamo alla necessarietà della partecipazione del giudice al contraddittorio e della conseguente immutabilità dello stesso, anche se come diremo appresso un rimedio potrebbe essere reperito a salvataggio di entrambi gli interessi contrastanti. La necessità di una affermazione forte del divieto di mutazione del giudice ci deriva da un’esperienza personale: processo relativo alla contestazione di reati di criminalità organizzata in cui si era raggiunto il record di 11 cambi di collegio fino al punto di non avere nessun giudice che fosse stato portatore di una conoscenza completa dell’intera formazione della prova.


3. Le impugnazioni

Un ulteriore riferimento esplicito ai binari sui quali dovrebbe muoversi la delega, specificamente indicando, però, gli spazi entro i quali può muoversi un processo “nuovo” e tendenzialmente più rapido, va fatta al regime delle impugnazioni. La necessità di un controllo sulla decisione di merito e sulle motivazioni logiche che l’hanno determinata non può mancare di una specifica indicazione nella delega degli spazi di agibilità della riforma stessa. Come disse icasticamente Spangher in un suo lavoro (“un processo senza appello è un giuramento vincolante sulla infallibilità del giudice”) il controllo di merito affidato a un giudice di merito, possibilmente dotato di maggiore esperienza di quello precedente, deve essere mantenuto in qualsiasi riforma delle impugnazioni [3], che non fa parte dell’attuale oggetto della riforma (giudizio di primo grado) ma sul quale è opportuno anticipare il collegamento con le finalità e i limiti di possibilità di riforma che non snaturi la scelta del legislatore del 1989. La particolare attenzione che si auspica con il presente scritto è legata alla esperienza fatta nei 32 anni di vita del nuovo codice: si è registrata una costante diffidenza per la funzione e la ispirazione del nuovo codice, che ha spesso rasentato il boicottaggio: dalla vicenda della natura di prova della chiamata in correità (interpretata come prova diretta con un intervento a distanza di circa 90 giorni dalla entrata in vigore del codice da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 9 febbraio 1990, senza che ci fosse stato il tempo di formarsi un contrasto interpretativo), modificata completamente 20 anni dopo, ribadendo però la natura indiziaria del mezzo di prova, alla interpretazione della prova non disciplinata dalla legge (divenuta strumento di utilizzo delle prove illegittimamente acquisite), si è registrato nella giurisprudenza una vera e propria ostilità ideologica alla scelta accusatoria del codice vigente. La riforma dovrebbe prevedere la possibilità per l’appello di un esame sulla logicità della motivazione, oggi affidato alla scelta della Corte suprema. Questo risolverebbe ad un tempo una serie di problemi attuali, quali la possibilità di convivenza di una sentenza assolutoria di primo grado modificata in una sentenza di condanna in secondo [continua ..]


4. Limitazioni alle circolari degli uffici giudiziari

Una ulteriore precisazione la legge delega dovrebbe contenere in ordine a tutto quello che dovesse mancare prevedendo che non sia rinviato a circolari della Presidenza della Corte. Abbiamo assistito in questi ultimi anni ad uno sconfinamento di tali poteri: con la scusa di correggere le storture funzionali della Corte si dettano novità (come la soppressione della richiesta della Procura Generale per la inammissibilità con rimessione alla settima sezione) incidenti sull’iter del procedimento e determinanti una alterazione della attività delle parti nel contraddittorio cui consegue l’assegnazione alla sezione specializzata per la valutazione dell’ammissibilità e la declaratoria delle conseguenze di merito del ricorso. Tale procedura, che incide non solo sulla forma ma sulla definizione del ricorso, è pregna di attività che dovrebbero riguardare il campo amministrativo e che invece incidono sul merito del ricorso, legate a regole dettate dalla prima presidenza; così come l’obbligo per le parti di allegare a pena di inammissibilità copia degli atti processuali richiamati nel corpo del ricorso. Piccole correzioni innovative, ed a volte strettamente legate allo spirito di velocizzazione del procedimento che ispira la riforma, ma rilievo sostanziale di tali innovazioni che lasciano traccia di preoccupazione in chi si avvicina ai problemi derivanti dalle novità strutturali dell’iter processuale del futuro di un processo che deve essere velocizzato ma non può essere ispirato all’anarchia della legge.


5. Limitazioni all’incidenza del diritto sovranazionale

Un ultimo suggerimento – se possiamo azzardarci a formulare questa ipotesi come funzione del nostro scritto – viene da un problema tutt’affatto diverso che concerne la incidenza delle decisioni delle Corti internazionali sul nostro processo penale. A coloro che hanno plaudito alla decisione della Corte europea nella vicenda “Contrada” (e ci annoveriamo tra questi) va però posto un interrogativo: come un dettato uniforme della giurisprudenza può rappresentare il contenuto della sentenza passata in giudicato la cui esistenza è il presupposto per la responsabilità penale. Le Corti internazionali scontano una prevedibile difficoltà: dare disposizioni uniche per legislazioni appartenenti a due mondi diversi, ai sistemi di common law e civil law. Dobbiamo, anche per l’intervento della Corte Costituzionale, rispetto vincolante ai dettati di Strasburgo; ma non possiamo elevare le interpretazioni della giurisprudenza a livello di norma giuridica. Il legislatore evidentemente avrà nella mente la soluzione del problema; ma ha l’obbligo di dircelo indicandoci la strada senza infingimenti o aggiramenti del problema. Se questi quattro rilievi troveranno ricezione ed applicazione concreta forse veramente avremo segnato il solco per creare una cultura giuridica del processo, che non può che essere fortemente accusatorio, con i correttivi e gli ammorbidimenti che in presenza di situazioni processuali eccezionali è necessario disciplinare, altrimenti subentrerà non l’illusione accusatoria né la rassegnazione inquisitoria ma le torri gemelle del processo penale, non più nuovo, ma vecchio perché fatto di compromessi e apparenti superficialità.


NOTE