Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Il diritto di difesa in fase esecutiva e l'obbligo di notificazione dell´ordinanza in materia di liberazione anticipata anche al difensore d'ufficio (di Caterina Martini, Cultrice di Diritto processuale penale – Università di Perugia)


Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno risolto il contrasto giurisprudenziale avente per oggetto la notificazione al difensore del detenuto dell’ordinanza di rigetto dell’istanza di concessione della libertà anticipata ex art. 69-bis L. 26 luglio 1975, n. 354, affermando la necessità della notifica non solo al difensore eventualmente nominato al momento di presentazione della suddetta istanza, ma anche al difensore di ufficio all’uopo nominato.

The right to counsel in executivis and the mandatory notification of the decision on granting “early release days” even to the public defender

The Supreme Court has ruled that the magistrate has to notify the decision on granting “early release days” to the defender of the prisoner. Moreover, in order to grant the right to counsel during the execution of sentences, judges have imposed to the magistrate who takes the decision that if the prisoner doesn’t have a lawyer, he has to assign him a public one. Both the public defender and the lawyer elected by the prisoner must receive the notification of the decision of the magistrate in order to make the complaint established by Article 69-bis, co. 3 of the Italian Penitentiary Act (Law no. 354/1975).

Le Sezioni Unite ribadiscono il minimo etico del dirittodi difesa in fase esecutiva  L’ordinanza del magistrato di sorveglianza che decide sull’istanza di concessione della liberazione anticipata (art. 69-bis, comma 1, L. 26 luglio 1975, n. 354) deve essere in ogni caso notificata al difensore del condannato, se del caso nominato d’ufficio, legittimato a proporre reclamo. Quest’ultimo è soggetto alla disciplina generale delle impugnazioni. [Omissis] RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 14/02/2020, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto personalmente da [omissis] avverso l’ordinanza in data 11/04/2019 con la quale il Magistrato di Sorveglianza di Viterbo aveva parzialmente rigettato l’istanza di liberazione anticipata in relazione ad alcuni dei semestri indicati dal detenuto. Il Tribunale di sorveglianza ha osservato che il reclamo è stato proposto personalmente dal detenuto senza indicazione dei motivi, mentre la memoria contenente varie censure, presentata da uno dei difensori di fiducia successivamente nominati, era stata depositata a molti mesi di distanza dalla proposizione del reclamo. 2. Avverso l’indicata ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma ha proposto ricorso per cassazione [omissis], per il tramite del difensore avv. [omissis], denunciando – nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. – violazione della legge processuale. Deduce il ricorso che l’ordinanza di rigetto era stata notificata solo al detenuto e non ai suoi difensori, in violazione dell’art. 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), che, richiamando l’art. 127 cod. proc. pen., prevede la notificazione del provvedimento del magistrato di sorveglianza anche al difensore per garantire al detenuto la difesa tecnica in un procedimento a contraddittorio differito. Osserva ancora il ricorso che la memoria presentata dai difensori nominati dal detenuto, con la quale erano stati indicati i motivi a sostegno del reclamo, doveva essere considerata come autonomo atto di impugnazione del difensore e non poteva essere ritenuta tardiva, perché, in assenza di notificazione del provvedimento oggetto di reclamo al difensore stesso, per quest’ultimo il termine per la presentazione del reclamo non era decorso. 3. Investita della cognizione del ricorso, la Prima Sezione penale, con ordinanza n. 35782 del 27 novembre 2020, lo ha rimesso alle Sezioni Unite, ravvisando un contrasto potenziale tra l’indirizzo fin qui seguito dalla giurisprudenza di legittimità e l’orientamento sostenuto dalla stessa ordinanza di rimessione. Secondo il primo indirizzo, nel procedimento ex art. 69-bis Ord. pen. in tema di istanza di liberazione anticipata, non è necessario l’intervento del difensore, con la conseguenza che il giudice [continua..]

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SOMMARIO:

1. La vicenda giudiziaria e la rimessione alle Sezioni Unite - 2. La natura del reclamo e le soluzioni della Cassazione - 3. La presa di posizione delle Sezioni Unite: come poteva essere altrimenti? - 4. Un cammino lungo oltre trent’anni: un altro passo verso la (in)compiuta giurisdizionalizzazione della fase esecutiva della pena - NOTE


1. La vicenda giudiziaria e la rimessione alle Sezioni Unite

Investito della questione dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione, adita dal ricorrente che si era visto, prima, rigettare parzialmente l’istanza di concessione della liberazione anticipata e, poi, dichiarare l’inammissibilità del reclamo proposto avverso il rigetto, il Supremo Consesso ha cristallizzato il principio di diritto – prevenendo un contrasto ermeneutico sul tema – secondo cui, in ossequio al diritto di difesa – «inviolabile in ogni stato e grado del procedimento» (art. 24, comma 2 Cost.) – nello schema procedimentale delineato dai commi 1, 2, 3 e 4 dell’art. 69-bis l. 26 luglio 1975, n. 354 (d’ora in avanti anche solo ord. penit.) è necessaria la notificazione al difensore dell’ordinanza che decide sul­l’istanza di concessione della riduzione di pena ex art. 54 ord. penit., per garantire all’istante assistenza tecnica nella successiva (seppur eventuale) fase del reclamo avverso quest’ultima. Da tale assunto discende direttamente l’ulteriore principio per cui, laddove l’interessato sia privo di un difensore di fiducia, il magistrato di sorveglianza deve provvedere, al momento della notificazione, a nominarne uno d’ufficio affinché possa ricevere anch’egli il provvedimento emesso. Segnatamente, il ricorrente aveva provveduto personalmente a presentare istanza di concessione di liberazione anticipata al magistrato di sorveglianza di Viterbo ai sensi degli artt. 57 e 69 bis ord. penit. Il giudice monocratico aveva rigettato parzialmente l’istanza relativamente ad alcuni semestri e ordinato la notificazione dell’ordinanza al solo detenuto, essendo egli privo di un difensore di fiducia. Avverso il rigetto, l’istante propone reclamo dinanzi al tribunale di sorveglianza di Roma ai sensi dell’art. 69 bis, co. 3 ord. penit., senza indicazione dei motivi. Nondimeno, contestualmente al deposito del reclamo, egli aveva provveduto alla nomina di due difensori di fiducia, i quali, avendo ricevuto notificazione del decreto di fissazione di udienza, si erano attivati attraverso il deposito di una memoria con cui integravano i motivi di doglianza. Il Tribunale capitolino non è entrato nel merito, dichiarando in limine l’inammissibilità del reclamo per mancata indicazione dei motivi: nella memoria presentata personalmente dal detenuto questi mancavano addirittura sotto il profilo [continua ..]


2. La natura del reclamo e le soluzioni della Cassazione

Prodromica alla risoluzione della quaestio sottoposta al supremo organo nomofilattico è l’analisi del procedimento in materia di liberazione anticipata [3]. Prima dell’entrata in vigore del codice di rito e della compiuta giurisdizionalizzazione dell’esecuzio­ne penale e penitenziaria (artt. 666 e 678 c.p.p.) [4], la concessione delle riduzioni di pena ai sensi dell’art. 54 ord. penit. era disciplinata dall’art. 70, comma 1 ord. penit. [5], il quale, operando riferimento al successivo art. 71 [6] – individuava la competenza a decidere sull’istanza nel tribunale di sorveglianza [7]. Tale scelta era stata sicuramente animata dallo spirito che permeava i lavori preparatori della riforma penitenziaria del 1975, ovvero la necessità di costruire un procedimento giurisdizionalizzato che reggesse anche la fase di esecuzione della pena, in linea con la “rivitalizzazione” della finalità rieducativa della pena contenuta all’art. 27, comma 3, Cost., fino ad allora sopito e surclassato dalle sue altre funzioni, retributiva e general/special-preventiva [8]. Tuttavia, vuoi per la tendenziale semplicità degli accertamenti richiesti per le decisioni [9], vuoi per l’ingente carico di lavoro [10], la materia venne disciplinata ex novo attraverso la modificazione dell’art. 69 comma 8 ord. penit. e l’introduzione dell’art. 69 bis ord. penit., così riscrivendo la disciplina processuale della concessione dei semestri di pena da decurtare a quella complessiva da scontare ex art. 54 ord. penit. Alla competenza riservata al tribunale di sorveglianza si sostituisce, così, la competenza a decidere sull’istanza per la concessione della liberazione anticipata del magistrato di sorveglianza. Ma, soprattutto, alla procedura retta dalle regole del c.d. procedimento di sorveglianza “tipico” – di cui ai vigenti artt. 666 e 678 c.p.p. – il legislatore prescrive un modello procedurale bifasico: la prima fase, obbligatoria, è caratterizzata dalla decisione adottata de plano dal magistrato di sorveglianza sull’istanza presentata, cioè a dire «senza la presenza delle parti» e previa richiesta di un parere al pubblico ministero che deve pervenire entro quindici giorni, decorsi inutilmente i quali il magistrato decide in ogni caso [11]; la seconda, invece, [continua ..]


3. La presa di posizione delle Sezioni Unite: come poteva essere altrimenti?

Accogliendo la ricostruzione logica prospettata dall’ordinanza di rimessione della Prima Sezione Penale della Corte di cassazione, il Supremo Consesso si è pronunciato nel senso da essa prospettato, sicché in linea con la natura pacificamente riconosciuta di mezzo di impugnazione del reclamo di cui all’art. 69 bis, comma 4 ord. penit., nonché con tutte le garanzie in tema di diritto di difesa e di giusto processo che sorreggono la fase esecutiva, arrestando definitivamente la diversa (e, volendo, meno garantista) tesi interpretativa prospettata dai giudici di legittimità fino a quel momento. Gli ermellini hanno scomposto il sillogismo già correttamente costruito dal Collegio della Prima Sezione Penale estensore dell’ordinanza di rimessione che ha stimolato l’odierna pronuncia, ricavandone due proposizioni che, inserite nello schema logico, non potevano che produrre quale risultato il principio di diritto in epigrafe. La prima delle proposizioni logiche messe a sistema dalla Suprema Corte si ancora al mero dato letterale dell’art. 69 bis ord. penit. e, nello specifico, al precetto contenuto al comma 1, che indica, quali destinatari della notificazione dell’ordinanza che decide sull’istanza di liberazione anticipata, i soggetti indicati all’art. 127 c.p.p. Consequenzialmente, osservano i giudici riuniti a Sezioni Unite, troverà applicazione la norma contenuta al comma 1 della disposizione codicistica, tale per cui l’avviso dell’udienza in camera di consiglio deve essere notificata alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori, considerati, pertanto, destinatari ineliminabili della notificazione. L’assunto è altresì confermato dall’ulti­ma parte della norma in commento, in cui viene precisato che l’avviso di fissazione dell’udienza è dato al difensore d’ufficio all’uopo nominato, nel caso in cui manchi il difensore di fiducia. Tale iter delineato dall’art. 127 c.p.p., traslato nella specifica materia del procedimento per la concessione (o anche il diniego) della riduzione di pena di cui all’art. 54 ord. penit., può essere rappresentato in questi termini: il provvedimento emesso de plano dal giudice monocratico in camera di consiglio deve essere notificato al p.m., all’interessato e al suo difensore, da considerarsi tutti parti necessarie dello schema [continua ..]


4. Un cammino lungo oltre trent’anni: un altro passo verso la (in)compiuta giurisdizionalizzazione della fase esecutiva della pena

Al tirar delle somme, v’è da dire che, seppur con fatica e a “tozzi e bocconi”, i giudici di legittimità hanno nuovamente contribuito a dare forma alla richiesta espressa del Parlamento al Governo nel­l’emanazione del nuovo Codice di procedura penale, che doveva delineare concrete «garanzie di giurisdizionalità nella fase della esecuzione, con riferimento ai provvedimenti concernenti le pene e le misure di sicurezza; obbligo di notificare o comunicare al difensore, a pena di nullità, i provvedimenti suddetti» [41]. In ciò, prestandosi all’opera di giurisdizionalizzazione dell’esecuzione penale, di espansione dell’area dello ius dicere in materia penitenziaria, di cui fa parte la disciplina dei reclami eterogeneamente previsti all’interno della legge di ordinamento penitenziario. In questo caso specifico, il Supremo Consesso ha contribuito operando concretamente sul diritto alla difesa tecnica [42], cercando di scalfire una tendenza che palesa un grave deficit di tutela in materia [43]. E pensare che il diritto di cui agli artt. 24, comma 2 Cost. e 6 CEDU dovrebbe essere la punta di diamante di un sistema improntato alla piena attuazione dei principi del giusto processo, o, comunque, dovrebbe rappresentare una garanzia basilare. È vero che gli approdi giurisprudenziali nazionali – ma, forse, ancor più, le condanne pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia [44] –, soprattutto del giudice delle leggi [45], in materia sono intimamente connessi all’esigenza ormai improrogabile di bloccare ed arginare il fenomeno, sospinto dall’antica concezione legata alla funzione meramente retributiva della pena, che voleva (e vuole ancora) una capitis deminutio in tema di garanzie del giusto processo in fase di esecuzione penale. Ma non sembra abbastanza, se si pensa al fatto che non già solo la giurisprudenza nazionale, ma altresì la giurisprudenza sovranazionale è chiamata ad intervenire in un campo così delicato com’è quello della esecuzione penitenziaria, che ha ad oggetto regiudicande connesse al diritto fondamentale di cui all’art. 13, comma 1 Cost. La privazione della libertà non deve in alcun modo precludere al soggetto la possibilità di far valere e di tutelare le proprie situazioni giuridiche [continua ..]


NOTE