L'articolo affronta la questione delle relazioni sistemiche tra l’esercizio dei poteri del giudice di integrazione del materiale probatorio in dibattimento e la regola decisoria del giudizio penale, sottesa al principio in dubio pro reo. In particolare, l’Autore intende approfondire la connotazione ontologica e il profilo operativo dell’incertezza probatoria capace di giustificare, rispettivamente, i poteri istruttori del giudice del dibattimento di primo grado e la decisione di assoluzione dell’imputato.
The Probative Uncertainty between the Investigating Powers of the Trial Judge and the Decision-Making Rule of the Criminal Judgement The article addresses the issue of the systemic relationship between the exercise of the judge’s powers to integrate evidentiary materials at trial and the decision-making rule of the criminal judgement, underlying the principle in dubio pro reo. In particular, the Author intends to deepen the ontological connotation and the operational profile of the probative uncertainty capable of justifying, respectively, the investigating powers of the first-instance trial judge and the acquittal decision of the accused.
il dualismo epistemico del processo penale: incertezza vs certezza
Nell’esperienza del diritto, il processo penale sorge non solo affinché tramonti la barbarie della vendetta privata, ma, soprattutto, perché sia fatta giustizia in relazione ad un caso concreto. Dunque, se «dal punto di vista della sua processualità il diritto esprime come propria peculiare giustizia quella del riconoscimento della verità»[1], occorre immancabilmente, in una prospettiva di funzionamento fisiologico del giudizio penale, che soltanto il colpevole sia condannato, nonché punito con una pena equa e proporzionata alle varie caratteristiche della fattispecie accertata, così come è necessario che l’innocente venga pienamente protetto e prosciolto dall’accusa rivoltagli.
Posto, quindi, che la finalità primaria del processo penale è l’accertamento della verità dei fatti posti a base dell’imputazione, esso tendenzialmente non può che prendere le mosse da una situazione incerta e controversa, al fine di costituirne una determinata e stabile. Invero, «se fosse possibile una iniziale certezza sulla colpevolezza o sulla innocenza di alcuno, il processo penale sarebbe uno strumento perfettamente vano ed inutile. Non nascerebbe nemmeno, e nell’un caso e nell’altro caso. Nasce appunto da una situazione di incertezza»[2]. Pertanto, il processo sorge perché l’incertezza è il suo prologo, mentre una certezza vorrebbe essere il suo epilogo.
Nell’esercizio della giurisdizione penale, l’impegno euristico, che sottende proprio tale istanza di certezza, si confronta, però, con accadimenti passati e, quindi, non direttamente osservabili. Invero, alla stregua dello storico, che tende «a ricostruire avvenimenti passati con l’aiuto di ciò che ne è rimasto o delle tracce che essi hanno lasciato nella memoria degli uomini»[3], il giudice «ha di fronte a sé il fatto non come una realtà già esistente, ma come qualcosa da ricostruire»[4].
Ebbene, nell’ambito del processo, la difficoltà di sussumere nelle fattispecie astratte accadimenti che si sono verificati lontano nel tempo e dalla sfera di percezione sensoriale del soggetto chiamato a giudicare viene superata ricorrendo alle prove. Sono queste, infatti, gli strumenti che «per il loro valore rappresentativo consentono allo spirito di risalire il corso del tempo e così di veder chiaro nel buio del passato, rendendo noto quello che è ignoto»[5]. Grazie alle prove il giudice ricostruisce, fa rivivere, un evento ormai trascorso al fine di trovargli la corretta qualificazione giuridica, ma il suo è pur sempre «un procedere traverso segni, che significano, ma non sono, la cosa significata; quasi si direbbe un [continua..]