Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Rimaneggiamento delle regole per non procedere: archiviazione e udienza preliminare (di Rosita Del Coco, Professore associato di Diritto processale penale – Università degli Studi di Teramo)


Al fine di implementare l’efficacia e l’efficienza del filtro preliminare dell’accusa, la l. n. 134/2021 ha modificato i presupposti per richiedere l’archiviazione e per emettere la sentenza di non luogo a procedere. La nuova formula, che esige «una ragionevole previsione di condanna», suscita, però, qualche perplessità: da un lato, essa rischia di indurre un pregiudizio sul giudice del dibattimento. Dall’altro lato, la stessa appare inidonea a soddisfare l’ambi­zioso obiettivo di efficienza, dal momento che le “cause remote” del fallimento dello snodo preliminare affondano in ragioni di tipo ordinamentale, costituzionale, culturale e, solo residualmente, processuale.

Parole chiave: archiviazione, udienza preliminare.

Reworking the rules concerning the “no grounds to proceed”: request to discontinue the case and preliminary hearing

In order to improve the effectiveness and efficiency of the preliminary screening against unfounded charges, the Law no. 134/ 2021 has changed the conditions for the request to discontinue the case and to issue the judgment of no grounds to proceed.

The new formula, however, raises some concerns: on the one hand, it risks inducing a prejudice on the judge of the trial. On the other hand, it appears unsuitable for satisfying the ambitious objective of achieving efficiency, because the “remote causes” of the failure of the preliminary screening are rooted in constitutional, cultural, and only partially procedural reasons.

SOMMARIO:

1. Nuovi presupposti per l’archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere: rivoluzione sistematica o semplici variazioni sul tema? - 2. L’impromovibilità dell’azione penale - 3. Ancora ritocchi alla regula iuris dell’udienza preliminare - 4. Il nuovo regime sanzionatorio per i vizi dell’imputazione tra tassatività ed obiettivi di economia processuale - 5. Tempi e legitimatio per la costituzione di parte civile in udienza preliminare - NOTE


1. Nuovi presupposti per l’archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere: rivoluzione sistematica o semplici variazioni sul tema?

Come era prevedibile, la l. 27 settembre 2021, n. 134 non ha risparmiato neppure l’area della verifica preliminare dell’accusa, tematica ormai da tempo oggetto di ripensamento in ragione della perdurante ed irreversibile crisi che attanaglia tale snodo fondamentale e strategico del processo penale. L’obiettivo di implementare l’efficacia del vaglio preliminare, riducendo, correlativamente, il numero di dibattimenti, è stato affidato principalmente alla modifica della regula iuris che presiede sia alle scelte del pubblico ministero in ordine all’esercizio dell’azione penale, sia alle decisioni del giudice dell’udienza preliminare. Segnatamente, le direttive contenute nell’art. 1, comma 9, lett. a) ed m) della legge in esame impegnano i futuri decreti delegati a sostituire l’attuale criterio della (in)idoneità probatoria previsto, rispettivamente, dagli artt. 125 disp. att. e 425, comma 3, c.p.p., con il differente parametro della «ragionevole previsione di condanna». A ben vedere, la formulazione della nuova regola differisce da quella in precedenza approvata dalla Commissione Lattanzi, che imponeva di optare per l’archiviazione e per la sentenza di non luogo a procedere «laddove [fosse emerso] che gli elementi acquisiti non [erano] tali da determinare la condanna». Simile formulazione appariva orientata a privilegiare la prospettiva statico-dia­gnostica della valutazione, pur nella consapevolezza della ineliminabile componente prognostica che caratterizza tutte le decisioni intermedie sui merita causae [1]. Così, con particolare riferimento all’ar­chiviazione, la Relazione finale della Commissione precisava che il pubblico ministero sarebbe stato «chiamato a esercitare l’azione penale solo quando gli elementi raccolti [fossero risultati] – sulla base di una sorta di “diagnosi prognostica” – tali da poter condurre alla condanna dell’imputato secondo la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, tanto in un eventuale giudizio abbreviato, quanto nel dibattimento» [2]. Di diverso tenore risulta, invece, la versione approvata dalla legge delega, dalla quale traspare una maggiore propensione verso un approccio “dinamico” nella valutazione preliminare, incentrato su un giudizio prognostico di colpevolezza il quale esige, però, doti predittive suscettibili di [continua ..]


2. L’impromovibilità dell’azione penale

Sembrava destinata a rimanere scolpita nel marmo la norma contenuta nell’art. 125 disp. Att. C.p.p. che, nell’enunciare la regola alla quale ancorare l’opzione in favore dell’(in)azione, dà forma all’estremo cui rapportare la valutazione di completezza delle indagini, consistente in un livello di esaustività tale da permettere al titolare della fase prodromica una prognosi di adeguatezza (o meno) degli elementi probatori raccolti a sostenere l’accusa in dibattimento. Chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione della disposizione in esame, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 88 del 1991 [10], aveva ancorato il giudizio in ordine alla consistenza degli elementi investigativi al parametro della «non superfluità del processo penale». Nella prospettiva privilegiata dai giudici della Consulta, invero, la scelta in favore dell’azione avrebbe dovuto essere rapportata non già ad una prospettiva di condanna, quanto, piuttosto, ad una positiva valutazione prognostica in ordine alla necessità di instaurare un giudizio dibattimentale destinato ad accertare la fondatezza dell’ipotesi di reato. Di qui, l’affermazione di quel discutibile canone “in dubio pro actione” per cui, nei casi dubbi, l’a­zione penale avrebbe dovuto essere sempre e comunque esercitata, anche se lo stato degli atti investigativi avesse indotto a preconizzare un esito sfavorevole per la prospettazione accusatoria. Com’è agevole intuire, l’adesione a tale lettura recava con sé una inevitabile diminuzione dello standard di approfondimento necessario all’instaurazione del processo, alimentando l’idea che pure un panorama accusatorio insufficiente e, correlativamente, un’attività investigativa lacunosa, avrebbero imposto al titolare dell’accusa di approdare alla successiva fase dibattimentale. A ben vedere, una tale interpretazione dell’art. 125, disp. Att., c.p.p. era, in fondo, sistematicamente coerente con la peculiare iconografia della fase preliminare, in cui la difesa risultava completamente estromessa e la completezza delle indagini era affidata esclusivamente alle scelte operate dal pubblico ministero, in attuazione delle norme contenute negli artt. 326 e 358 c.p.p. [11]. Allo stato attuale simile ricostruzione appare, tuttavia, in buona parte superata in ragione delle molteplici [continua ..]


3. Ancora ritocchi alla regula iuris dell’udienza preliminare

Le perplessità sollevate nei confronti della nuova regola di giudizio introdotta per l’archiviazione sono destinate a riproporsi per l’omologo parametro che, nelle intenzioni del delegante, deve presiedere all’opzione affidata al giudice dell’udienza preliminare tra sentenza di non luogo a procedere e decreto che dispone il giudizio. Perplessità motivate dalla semplice constatazione che le reiterate modifiche sinora apportate al criterio di scelta del provvedimento finale dell’udienza preliminare non hanno minimamente inciso sull’efficacia del filtro giurisdizionale [20]. Come noto, nella sua formulazione originaria, l’art. 425 c.p.p. ancorava l’emissione della sentenza di non luogo a procedere alla prova evidente dell’innocenza dell’imputato [21]. In altre parole, solo dinanzi ad un quadro investigativo che manifestasse in maniera certa la prova positiva dell’innocenza, il giudice dell’udienza preliminare avrebbe potuto interdire l’ingresso al dibattimento. Un tale criterio, evidentemente distonico rispetto a quello ipotizzato dall’art. 125 disp. att. c.p.p., era apparso, sin da subito, in grado di garantire solo un filtro a maglie talmente larghe da mortificare, di fatto, ogni aspirazione alla selezione. Così, allo scopo precipuo di implementare l’efficacia del controllo giurisdizionale, l’art. 1, l. 8 aprile 1993, n. 105 aveva soppresso il riferimento alla evidenza, privilegiando una impostazione orientata verso la selezione di quelle imputazioni azzardate in cui l’errore avrebbe dovuto estrinsecarsi nella prova positiva dell’innocenza dell’imputato; essendo, di contro, i rimanenti casi inevitabilmente destinati alla verifica dibattimentale [22]. Il fallimento anche della regula iuris così rimodulata ha indotto il legislatore, nel 1999, ad operare un ulteriore intervento di restyling dei presupposti legittimanti la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, in coerenza sistematica sia con la regola di giudizio sancita dall’art. 125 disp. att. c.p.p. per l’archiviazione, sia con le modifiche che hanno riguardato l’intera architettura della fase prodromica e dell’udienza preliminare [23]. In forza del novellato art. 425 c.p.p., il passaggio al dibattimento deve ora essere inibito tanto nel caso in cui dagli atti sottoposti al giudice dell’udienza [continua ..]


4. Il nuovo regime sanzionatorio per i vizi dell’imputazione tra tassatività ed obiettivi di economia processuale

L’obiettivo strategico di ridurre i tempi del processo si coniuga con l’esigenza di apprestare una regolamentazione normativa dei vizi dell’imputazione nella direttiva contenuta nell’art. 1, comma 9, lett. n), della legge n. 138/2021. Due, per l’esattezza, i piani in cui il legislatore delegante ha inteso scomporre l’opera di controllo dell’organo giurisdizionale sull’imputazione riferiti, segnatamente, al rispetto degli standards descrittivi dell’addebito ed alla corrispondenza tra gli elementi costitutivi di quest’ultimo e «quanto emerge dagli atti». Sotto il primo profilo, i decreti delegati sono tenuti a «prevedere che, in caso di violazione della disposizione dell’art. 417, comma 1, lett. b), c.p.p., il giudice, sentite le parti, quando il pubblico ministero non provvede alla riformulazione dell’imputazione, dichiari, anche d’ufficio, la nullità e restituisca gli atti». Come balza evidente, l’aspirazione del legislatore a ridurre il ricorso al rimedio processuale della nullità ha sollecitato un’operazione normativa di bilanciamento tra le due opposte esigenze di tutela dei valori compromessi dalla genericità dell’addebito, da un lato, e di conservazione degli atti, dal­l’altro lato. Sotto questo profilo, va subito rilevato che la complessa procedura delineata per porre rimedio al vizio di indeterminatezza dell’imputazione rappresenta “una terza via” sia rispetto al percorso “ordinario” che scandisce l’applicazione della sanzione della nullità nei confronti dell’omologo vizio che inficia il decreto che dispone il giudizio; sia rispetto al “percorso virtuoso” già abilmente tratteggiato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite per il caso in esame [39]. Nella nota soluzione offerta dall’organo di legittimità, infatti, il giudice e il pubblico ministero erano eletti a centro di imputazione esclusivo dei poteri di gestione dell’imperfezione. Nella nuova procedura, per converso, è previsto un preliminare momento di confronto con tutti i soggetti coinvolti nella vicenda processuale, come dimostra l’espressione «sentite le parti». La promozione del ruolo di queste ultime, destinata a rappresentare un «elemento necessario della procedura di rilevazione del vizio» [40], [continua ..]


5. Tempi e legitimatio per la costituzione di parte civile in udienza preliminare

Con l’obiettivo di colmare un vuoto normativo che aveva dato luogo a numerosi contrasti interpretativi, la legge delega contiene specifiche direttive volte a disciplinare tempi e legittimazione per la costituzione di parte civile in udienza preliminare. Sotto il primo profilo, l’art. 1, comma 9, lett. o), della l. n. 134/2021 delega il Governo a «prevedere che, nei processi con udienza preliminare, l’eventuale costituzione di parte civile avvenga, a pena di decadenza, per le imputazioni contestate, entro il compimento degli accertamenti relativi alla regolare costituzione delle parti a norma dell’art. 420 c.p.p.». Per tale via, il legislatore ha inteso porre fine a dubbi attualmente destinati a non trovare soluzione definitiva a fronte di un silenzio normativo insuscettibile di essere colmato mediante univoche esegesi creative. Secondo l’opinione prevalente in dottrina, infatti, deve ritenersi inammissibile la costituzione successiva al controllo in ordine alla regolare costituzione delle parti esperito ai sensi dell’art. 420, comma 2, c.p.p. Nello specifico, il carattere inderogabile di tale termine viene desunto dalla perentorietà dal termine previsto per la proposizione della richiesta di esclusione, dal momento che una diversa soluzione priverebbe le parti di qualsiasi rimedio postumo per contrastare la tardività della dichiarazione costitutiva della parte eventuale [51]. Di diverso avviso si è, invece, mostrata la giurisprudenza prevalente, orientata ad individuare il termine perentorio per la costituzione di parte civile in udienza preliminare nella dichiarazione di apertura della discussione. Con la conseguenza che, se il giudice dell’udienza preliminare, senza darvi inizio, ha rinviato ad altra udienza «per consentire alla parte civile di regolarizzare la sua posizione», [dovrebbe] reputarsi tempestiva la costituzione effettuata nella nuova udienza, fino al momento in cui il pubblico ministero non abbia preso la parola per le conclusioni» [52]. Per effetto della riforma, dunque, il termine per la costituzione viene allineato a quello per la richiesta di esclusione, sempre che, ovviamente, l’esercizio dell’azione penale avvenga in relazione alle imputazioni contestate nella richiesta di rinvio a giudizio. Anche sotto il secondo profilo evidenziato, relativo alla legittimazione del sostituto processuale del difensore a costituirsi [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2022