Con la pronuncia in commento, le Sezioni Unite hanno stabilito che la pena principale comminata, in caso di annullamento parziale ex art. 624 c.p.p. (relativamente alla statuizione sul trattamento sanzionatorio), è suscettibile di esecuzione solo per quei capi della decisione in relazione ai quali siano passate in giudicato sia l’affermazione di responsabilità, sia la questione inerente le circostanze del reato, purché la pena stessa sia stata affermata in termini di “completezza” e “certezza”: ciò assumendo il significato, rispettivamente, di insuscettibilità di modifiche rispetto alle nuove decisioni di competenza del giudice del rinvio e di certa individuabilità del trattamento sanzionatorio sulla base delle sentenze rese in sede di cognizione. Nei limiti, peraltro, in cui i detti capi non si pongano in connessione essenziale con quelli investiti dal rinvio.
Quanto, infine, al profilo concernente la competenza a decidere sull’eseguibilità della pena in relazione al giudicato parziale e sulla sua specifica individuazione, essa appartiene agli organi dell’esecuzione penale.
In this decision the Joint Sections of the Court of Cassation held that, in case of partial annulment pursuant to art. 624 of code of criminal procedure, the main punishment imposed can be enforced only with regard to those charges which have acquired the force of res judicata both in relation to the proof of guilt and the matter concerning the circumstances of the crime, provided that the punishment in itself is irrevocable and certain. That means that said decisions cannot be modified by the referring court and are irrevocable as regards the certainty of the punishment to the extent, however, that all of this is not essentially connected to the charges which are the subject matter of the referral. Finally, as for the profile concerning the competence to decide on the enforcement of the punishment in relation to a decision having the force of res judicata only partially and on his specific individuation, it belongs to the authorities in charge of the criminal enforcement.
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1. L’origine della questione - 2. La giurisprudenza sul “giudicato progressivo” - 3. Il contrasto giurisprudenziale - 4. La decisione delle Sezioni Unite - 5. Considerazioni conclusive - NOTE
La pronuncia delle Sezioni Unite trae origine da una complessa vicenda processuale, scaturita dall’impugnazione di un’ordinanza emessa dalla Corte di Appello territoriale salentina che, in parziale accoglimento della richiesta difensiva, dichiarava esecutiva una sentenza nei limiti di pena di anni quattro, mesi cinque e giorni dieci di reclusione, trasmettendo gli atti alla Procura Generale ai fini dell’emissione dell’ordine di carcerazione. Nella pronuncia, la Corte territoriale rilevava che, erroneamente, la Procura Generale aveva emesso un ordine di esecuzione ritenendo che la Corte di Cassazione avesse dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato avverso la sentenza d’appello, con la quale la Corte di Appello territoriale aveva riformulato la pronuncia di primo grado, comminando all’imputato la pena di anni sette di reclusione per i reati di cui agli artt. 74 (capo 13) e 73 (capo 8), D.P.R. n. 309/90, con l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante dell’associazione armata contestata al capo 13. La Corte di Cassazione, invero, aveva annullato la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello territoriale, in relazione al reato di cui al capo 13, esclusivamente con riguardo alla sussistenza della circostanza aggravante di cui al comma 4 dell’art. 74 del D.P.R. n. 309/90 e, in relazione al capo 8, limitatamente alla qualificazione giuridica ai sensi dell’art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309/90. Con l’ordinanza impugnata la Corte di Appello precisava come il principio della formazione progressiva del giudicato (art. 624 c.p.p.) dovesse trovare applicazione soltanto con riferimento alla pena minima inderogabile prevista per i reati oggetto dei capi della sentenza non sottoposti ad annullamento. Nel caso di specie, in ordine alla contestazione di cui al capo 13, sostanzialmente, l’accertamento della responsabilità era da ritenersi passato in giudicato, rilevando, l’annullamento con rinvio, esclusivamente sulla valutazione della sussistenza della circostanza aggravante di cui al comma 4 dell’art. 74 D.P.R. n. 309/90 (con assorbimento dei motivi afferenti il bilanciamento con le circostanze di cui all’art. 62 bis c.p.) e, dunque, in ogni caso, la pena minima, da un computo astratto, non sarebbe potuta essere inferiore ad anni quattro, mesi cinque e giorni dieci di [continua ..]
Per un migliore inquadramento delle questioni rimesse al vaglio delle Sezioni Unite, è necessario collocare le stesse all’interno delle coordinate che una risalente e consolidata elaborazione giurisprudenziale ha individuato circa la definizione dei presupposti e della portata del giudicato progressivo [3] (o giudicato parziale). La Corte prende le mosse, innanzitutto, da un ampio excursus sull’evoluzione giurisprudenziale del giudicato progressivo e sui riflessi che ne conseguono in tema di eseguibilità della pena. La premessa concettuale da cui muovono le Sezioni Unite è la piena compatibilità del principio della formazione del giudicato progressivo con il sistema processuale, sulla scorta del dettato normativo di cui all’art. 624, comma 1, c.p.p. in base al quale: “se l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata». Esaminando la norma, il primo dubbio esegetico sul quale si concentra la Corte è quello relativo alla esatta perimetrazione che la disposizione assegna al concetto di “parti”, interrogandosi se esso vada interpretato secondo una accezione riferibile ai “capi”, ovvero anche ai “punti” della sentenza. A riguardo, è dirimente richiamare la distinzione tra capo e punto della sentenza così come è stata delineata dalla pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite “Tuzzolino” [4], che ha individuato quale “capo” della sentenza – da riferirsi soprattutto a quella plurima o cumulativa, caratterizzata dalla confluenza nell’unico processo dell’esercizio di più azioni penali e dalla costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei quali inerente a una singola imputazione – la decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all’imputato. Il concetto di “punto” della decisione, invece, ha una portata più ristretta, posto che si pone, sostanzialmente, quale sottoinsieme del “capo”, potendo ritenersi tale ogni passaggio relativo alla decisione che, involgendo un’autonoma valutazione, purché indispensabile per il giudizio sul reato, concorre a formare la statuizione completa sul “capo” della sentenza. Possono pertanto [continua ..]
Sebbene le pronunce sino a qui menzionate non abbiano esaminato compiutamente la questione rimessa alla cognizione delle Sezioni Unite, hanno comunque offerto utili spunti ricostruttivi per fornire una risposta ai dubbi ermeneutici originatisi. In relazione ai processi oggettivamente cumulativi, le già citate Sezioni Unite “Vitale” hanno evidenziato la correlazione sussistente tra autorità di cosa giudicata attribuita ad un capo ed esecutività della decisione irrevocabile relativa allo stesso, qualora il giudizio di rinvio conseguente all’annullamento per gli altri capi della decisione non possa influire sul trattamento sanzionatorio concernente quello per il quale è intervenuta la pronuncia definitiva. In secondo luogo, le Sezioni Unite “Attinà” hanno affermato che la definitività decisoria dell’accertamento della responsabilità dell’autore del fatto criminoso non è ancora contraddistinta dall’esaustività della regiudicata, qualora permanga un «residuo potere cognitivo del giudice di rinvio in ordine alla determinazione della pena a lui devoluta», così implicitamente riconoscendo all’indicata esaustività natura di elemento necessario per l’esecuzione della “parte” della sentenza divenuta irrevocabile [14]. È, pertanto, alla luce della ricostruzione sistematica del giudicato progressivo, fino a qui delineata, che occorre ripercorrere gli indirizzi giurisprudenziali in contrasto formatisi sulle questioni sottoposte all’esame delle Sezioni Unite. In base ad un primo orientamento, da considerarsi maggioritario, sussiste una netta correlazione tra il passaggio in giudicato di un capo e la sua attitudine ad integrare il titolo esecutivo e, dunque, la sua eseguibilità; esso ritiene, quindi, che i capi della sentenza non oggetto di annullamento con rinvio e, dunque, che abbiano acquisito autorità di cosa giudicata devono essere, obbligatoriamente, posti in esecuzione dalla competente Autorità Giudiziaria [15]. Tuttavia, sempre nell’ambito del primo orientamento – sulla base della considerazione per cui l’esecutività non può che riguardare un “capo” nella sua interezza – è stata esclusa la possibilità di mettere in esecuzione la pena [16], sia pure limitatamente alla parte di essa [continua ..]
Le Sezioni Unite hanno inteso aderire al primo maggioritario orientamento, sebbene con le puntualizzazioni che seguono, ma nel solco di sostanziale continuità con il “diritto vivente” formatosi in tema di giudicato progressivo. Il primo arresto della pronuncia in esame concerne la cristallizzazione della suddivisione concettuale (i.e. “dicotomia”) tra autorità di cosa giudicata di una parte della sentenza non oggetto di annullamento parziale (rilevando – come ampiamente esaminato – anche singoli punti e non solo interi capi) ed eseguibilità della stessa – e, dunque, della pena – che, invece, presuppone la formazione di un vero e proprio titolo esecutivo. Si è acclarato che al giudicato progressivo (o parziale) è associata una definitività decisoria relativa all’accertamento della responsabilità dell’autore del fatto e alla conclusione dell’iter processuale su tale parte, benché non sia precluso il potere del giudice di rinvio in ordine alla rideterminazione della pena a lui devoluta. Secondo quando illustrato dalla Corte, infatti, da una lettura coordinata degli artt. 624, 648 e 650 c.p.p., emerge che il titolo esecutivo debba ritenersi costituito solo quando si forma il giudicato (i.e. l’irrevocabilità) sulle parti della sentenza relative all’accertamento della sussistenza del fatto-reato, della responsabilità personale dell’incolpato e circa la quantificazione della pena: quest’ultimo principio assume significativo rilievo ai fini della soluzione della questione posta dall’ordinanza di rimessione. In ogni caso, si è rimarcato che se il giudicato progressivo ha colmato i punti della decisione afferenti al giudizio di colpevolezza, quali l’accertamento della sussistenza del reato e della sua attribuzione all’imputato, con superamento della presunzione di innocenza di cui all’art. 27, comma 2, Cost. – potendo rilevarsi la sussistenza di una condanna definitiva –, in capo al giudice del rinvio residua un limitato ambito cognitivo e decisorio, di talché non potranno rilevare le cause sopravvente di estinzione del reato, tra le quali, innanzitutto, la prescrizione. Questi effetti non contrastano con la presunzione di innocenza, poiché strettamente dipendenti dall’accertamento che, con la sentenza di annullamento parziale, ha visto il [continua ..]
Al culmine del proprio percorso argomentativo e sulla base delle molteplici considerazioni giuridiche ripercorse, le Sezioni Unite hanno statuito che «in caso di annullamento parziale da parte della Corte di cassazione (art. 624 cod. proc. pen.), la pena principale – irrogata in relazione a un capo per il quale sia passata in giudicato l’affermazione di responsabilità, anche in relazione alle circostanze del reato – sia suscettibile di esecuzione, qualora abbia acquisito autorità di cosa giudicata, essendo stata determinata in termini di “completezza” e di “certezza”. La “completezza” della pena comporta la “insensibilità” rispetto alle statuizioni rimesse al giudice del rinvio, mentre il connotato delle “certezza” rinvia alla precisa definizione – senza necessità di ricorrere a computi ipotetici – del trattamento sanzionatorio, tenuto conto delle statuizioni del giudice della cognizione quali risultanti dalle sentenze emesse e dall’ambito del giudizio di rinvio perimetrato dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione». Ed ancora, entrando nel dettaglio, che «deve, pertanto, qualificarsi esecutiva la pena principale irrogata in relazione a un capo (o a più capi) – non in connessione essenziale con quelli attinti dall’annullamento parziale – per il quale siano passati in giudicato (oltre che, naturalmente, l’inapplicabilità di cause estintive del reato, quali la sospensione condizionale) tutti i punti, a eccezione di quelli attinenti alle pene accessorie, alle misure di sicurezza ordinate con sentenza e alle confische non aventi natura di misura di sicurezza; restano, inoltre, estranee al tema dell’esecutività della pena principale le questioni attinenti alle statuizioni civili, in quanto afferenti a un capo autonomo». Conclusivamente, può quindi riportarsi – expressis verbis – il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte: “in caso di annullamento parziale (art. 624 cod. proc. pen.), è eseguibile la pena principale irrogata in relazione a un capo (o a più capi) non in connessione essenziale con quelli attinti dall’annullamento parziale per il quale abbiano acquisito autorità di cosa giudicata l’affermazione di responsabilità, anche in relazione alle circostanze del reato, e [continua ..]