Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La trascrizione della voce intercettata: questioni di linguistica forense (di Iacopo Benevieri, Avvocato del Foro di Roma - Responsabile Commissione sulla Linguistica Giudiziaria della Camera Penale di Roma)


Il contributo, dopo aver brevemente ripercorso la nascita e lo sviluppo della linguistica forense, prende in esame le prospettive di analisi che questa disciplina può offrire in merito alle trascrizioni di conversazioni intercettate. Si evidenzia, in particolare, come l’attività trascrittiva sia caratterizzata da un complesso passaggio tra codici semiotici diversi (quello orale e quello scritto) e come tale conversione, se effettuata senza il possesso di adeguate competenze, possa determinare un’alterazione della rappresentazione dell’originario dato orale e, conseguentemente, del fatto. Tali considerazioni vorrebbero rappresentare l’auspicio che la linguistica forense possa costituire quanto prima una materia di comune formazione per magistrati e avvocati, necessaria per consentire loro di acquisire consapevolezza circa la molteplicità e la complessità delle questioni connesse all’uso, alla trasformazione, all’ana­lisi della lingua parlata e scritta in ambito giudiziario.

Transcriptions of wiretapped voice: issues of forensic linguistics

After briefly reviewing the birth and development of forensic linguistics, the paper examines the analytical perspectives that this discipline can offer regarding the transcription of wiretapped conversations. Specifically, it is underlined how the transcription is individuated by a complex passage between different semiotic codes (the oral and the written one) and how such conversion, if performed without adequate knowledge and competence, can determine alterations in the representation of the original oral data and, consequently, of the fact. These considerations would like to represent the hope that forensic linguistics may soon become a subject of common study by magistrates and lawyers, necessary to allow them to acquire awareness of the multiplicity and complexity of issues related to the use, transformation and analysis of spoken and written language in the judicial context.

Keywords: transcription – tappings – phone hacking

SOMMARIO:

1. Brevi cenni introduttivi sulla linguistica forense - 2. Linguistica forense e trascrizione delle conversazioni intercettate - 3. La trascrizione come passaggio tra codici semiotici diversi - 4. Questioni di percezione: il ruolo attivo del trascrittore - 5. La trascrizione tra esigenze di completezza e di leggibilità - 6. Alcune considerazioni conclusive - NOTE


1. Brevi cenni introduttivi sulla linguistica forense

In uno studio pubblicato oltre cinquant’anni fa Jan Svartvik evidenziò come alcune parti incriminanti di una serie di quattro dichiarazioni rese da tale Timothy Evans, indagato e successivamente condannato in relazione all’omicidio della moglie e della figlia, verbalizzate dalla polizia londinese, fossero caratterizzate da uno stile notevolmente diverso da quello di altre parti delle medesime dichiarazioni [1]. Il lavoro di Svartvik per la prima volta faceva riferimento a una disciplina del tutto nuova: la linguistica forense [2]. Nel corso del ventennio successivo continuarono in modo sporadico a esser pubblicati alcuni contributi, nei quali venivano analizzati sotto un profilo linguistico varie tipologie di atti scritti con valenza legale: verbali di testimonianze rese alla polizia da immigrati alloglotti, la composizione di alcuni marchi industriali, le dichiarazioni confessorie controverse. Questi lavori, tuttavia, non si basavano ancora su una disciplina e su un metodo organici e uniformi, apparendo piuttosto come esercizi accademici nei quali si cimentavano alcuni studiosi di linguaggio [3]. A partire dagli anni novanta sino a oggi si è registrato un aumento nella pubblicazione di ricerche e studi di linguistica forense, parallelamente a un incremento delle vicende giudiziarie in relazione alle quali sono state richieste le competenze dei linguisti stessi. Le specifiche aree di ricerca e di studio sono attualmente numerose: l’analisi del linguaggio nei testi normativi e nei provvedimenti giudiziari, lo studio delle dinamiche comunicative nell’aula d’udienza, l’esame delle interazioni linguistiche tra indagato e autorità di polizia nel corso dell’interrogatorio, solo per citarne alcune. La linguistica forense vede peraltro crescere continuamente i propri ambiti applicativi, in sintonia con le continue trasformazioni dei sistemi di comunicazione, che vedono l’avvicendarsi di media sempre nuovi [4].


2. Linguistica forense e trascrizione delle conversazioni intercettate

Una delle aree della linguistica forense che suscita maggior interesse è quella che si occupa del­l’esame delle interazioni captate tramite l’attività d’intercettazione telefonica o ambientale. In tale ambito, com’è noto, le attività di analisi che vengono richieste al perito o al consulente possono essere varie: dalla individuazione di un elemento sonoro o rumoroso alle attività di filtraggio e miglioramento dell’intellegibilità del segnale vocale; dalla comparazione tra più voci all’identificazione del parlante. Scarsa attenzione, almeno in Italia, viene tuttavia dedicata alla fase della trascrizione del materiale fonico intercettato, ritenuta attività di agevole realizzazione, per la quale non sono richieste specifiche competenze. Tale convincimento, com’è noto, risulta confortato dal costante orientamento della Corte di legittimità secondo cui l’attività trascrittiva non ha carattere valutativo bensì meramente descrittivo, rappresentando solo «un mezzo di consultazione» [5] delle «parole registrate» [6], ciò in quanto la prova risiede unicamente nel dato fonico con la conseguenza che «l’attività di trascrizione si esaurisce in una serie di operazioni di carattere meramente materiale, non implicanti l’acquisizione di alcun contributo tecnico-scientifico. [...] La persona incaricata delle trascrizioni non deve possedere particolari competenze» [7]. L’assunto sembra basarsi su un duplice presupposto: da un lato, che il trascrittore sia un soggetto che si limita a una passiva ricezione di segnali acustici e alla loro meccanica trasformazione in segni grafici, dall’altro che la trascrizione debba limitarsi ad avere per oggetto solo la parte testuale e verbale di ciò che è stato detto, vale a dire, appunto, le «parole registrate». Il primo presupposto è stato sottoposto a critica in alcuni dei più autorevoli studi di linguistica forense d’oltreoceano. è stato evidenziato infatti come l’esame del linguaggio quale fonte di prova, al pari di altre (per esempio, le tracce biologiche), debba essere oggetto di interventi da parte di soggetti dotati di competenze e professionalità specifiche [8]. In realtà la qualificazione del trascrittore come mero soggetto [continua ..]


3. La trascrizione come passaggio tra codici semiotici diversi

Il codice orale non è riducibile solo all’aspetto fonico e testuale di ciò che viene detto. Esso, al contrario, è caratterizzato in larga parte anche dalle componenti comunemente definite extralinguistiche o soprasegmentali (il volume della voce, l’intonazione, la velocità d’esecuzione, il ritmo, il tono, le pause, il silenzio), da quelle cinesiche (movimenti del corpo, espressioni del volto) e da quelle prossemiche (la gestione dello spazio tra gli interlocutori) [12]. Si tratta di aspetti che risultano correlati alla compresenza fisica (seppur mediata, come nelle comunicazioni telefoniche o tramite collegamento video) degli interagenti [13] e alla condivisione di un medesimo contesto. La cooperazione tra gli interlocutori fa sì che l’enunciato sia caratterizzato da una minor progettazione testuale e si presenti spesso incompleto (si pensi ai fenomeni di troncamento di una frase o di una parola), ciò in quanto il locutore per comunicare fa affidamento anche su altre componenti, per esempio quelle non verbali. Il codice scritto, invece, affida a una sola dimensione, quella grafica, sia la componente verbale (o segmentale) che quella soprasegmentale, nonché i continui riferimenti al contesto, al ruolo dei partecipanti, alle loro conoscenze condivise [14]. Per far ciò ricorre agli ordinari segni di interpunzione, che tuttavia, essendo in numero limitato, consentono di restituire solo una esigua parte delle componenti non verbali del messaggio, tralasciando, per esempio, tutti quegli aspetti prosodici, come un cambiamento nel tono della voce, ai quali il parlante affida gran parte del significato da veicolare [15]. La trascrizione è dunque quell’attività che trasforma una comunicazione prodotta con il codice semiologico orale in un’altra riprodotta in quello scritto, con lo scopo di mantenere quanto più possibile tutte le componenti che caratterizzano la comunicazione originaria pur ricorrendo ai limitati strumenti rappresentativi di tipo grafico.


4. Questioni di percezione: il ruolo attivo del trascrittore

L’ulteriore profilo, cui è stato già accennato, che consente di apprezzare come l’attività di trascrizione forense, lungi dall’essere una mera riproduzione meccanica di dati fonici, sia in realtà estremamente complessa e coinvolga competenze e capacità professionali specialistiche, è quello relativo al ruolo attivo del soggetto trascrittore. Ritenere che il soggetto che ascolta un dialogo intercettato sia "terzo estraneo", impermeabile dunque al processo comunicativo che ascolta, è convincimento diffusamente respinto dagli studi di linguistica forense, che hanno evidenziato al contrario il ruolo di partecipazione attiva dell’ascoltatore, sia esso direttamente inserito o meno nell’interazione [16]. Considerazioni identiche sono state condotte rispetto al ruolo dell’interprete, il quale, pur assistendo a una conversazione che non lo coinvolge direttamente, è comunque inserito nell’interazione che viene definita triadica o multipartecipativa [17]. È stato infatti osservato come il soggetto che ascolta una conversazione intercettata venga dapprima esposto al segnale acustico e successivamente attivi la funzione percettiva che gli consente di riconoscere le unità fonologiche e di organizzarle in sillabe in modo che formino parole conosciute e frasi  [18]. La percezione di una parola o di una frase, dunque, richiede una complessa attività analitica, di elaborazione e interpretazione che coinvolge numerose componenti del linguaggio come quello fonetico, fonologico, lessicale, sintattico e semantico [19]. In questo lungo percorso qualcosa può andar perso e qualcosa può alterarsi. Questa è la ragione per la quale non può ammettersi un’assoluta coincidenza tra ciò che un soggetto sente e percepisce e la realtà acustica oggettiva: talvolta lo stimolo acustico non viene percepito, talaltra viene colta una percezione di uno stimolo in realtà inesistente, ciò in quanto gli organi recettori possono far transitare o escludere alcuni segnali provenienti dalla realtà esterna [20]. Una delle più chiare evidenze del ruolo attivo e partecipativo del soggetto che, come il trascrittore, ascolta dall’esterno una conversazione è costituita dal complesso fenomeno delle illusioni o errori percettivi, inizialmente oggetto di studio da parte della [continua ..]


5. La trascrizione tra esigenze di completezza e di leggibilità

Negli studi relativi alle trascrizioni forensi è stato rilevato come una trascrizione affidabile, sia essa eseguita dalla polizia giudiziaria piuttosto che da consulenti e periti, tendenzialmente dovrebbe riportare tutto ciò che è stato detto, senza manipolazioni, decurtazioni, interpretazioni, omissioni da parte del trascrittore [29]. La comune esperienza ci consegna, al contrario, una realtà diversa: assai frequentemente le trascrizioni delle conversazioni intercettate, soprattutto quelle eseguite nella fase delle indagini preliminari, contengono l’inclusione di omissis nonché proposte interpretative dello stesso trascrittore, spesso afferenti a personali traduzioni di modi di dire e di espressioni gergali, dialettali o specialistiche (la cd. “standardizzazione”). Quasi mai, inoltre, vengono trascritte le componenti prosodiche del parlato, e anche le pause e i silenzi, nonché le sovrapposizioni di parole tra gli interlocutori, solitamente vengono riportate in modo poco preciso, spesso ricorrendo ai comuni punti di sospensione. Tali prassi, tuttavia, impediscono all’organo inquirente prima e alle parti processuali e al giudice poi di trarre dalla conversazione captata quanti più elementi utili per una completa valutazione dell’ele­mento di prova, che certamente non può prescindere da alcuni aspetti della conversazione solo apparentemente di secondaria importanza (quali pause, silenzi, durata degli stessi, sovrapposizione e interruzione dei turni di parola, abbassamento del tono della voce, false partenze, fenomeni di riparazione [30], per citarne solo alcuni). Dello studio di tali aspetti si occupa l’analisi conversazionale, una particolare area della sociolinguistica che ha per oggetto la conversazione non già come momento di trasferimento reciproco di informazioni, bensì come la modalità principale con la quale nel corso di un’interazione vengono prodotte azioni sociali (salutare, interrogare, chiedere scusa, negoziare o concordare) [31]. L’analisi della conversazione studia l’interazione in sé, la sua organizzazione continuamente accordata, negoziata, gestita dagli interlocutori tramite non solo la comunicazione verbale, ma anche prosodica, prossemica e cinesica. Ciò ha reso necessario, fin dall’inizio, lo studio da parte dei linguisti proprio delle conversazioni registrate, che [continua ..]


6. Alcune considerazioni conclusive

Il trascrittore è un soggetto esterno rispetto all’evento linguistico intercettato senza esserne estraneo. Egli non riceve completamente l’atto comunicativo nella sua interezza, bensì il solo canale acustico. Da tale posizione di svantaggio egli si trova a dover convertire in caratteri grafici ciò che percepisce di una comunicazione composta non solo dalle parole pronunciate, ma anche da silenzi, pause, abbassamenti della voce, cambiamenti nella velocità d’esecuzione, nell’intonazione, interruzione e sovrapposizione dei turni di parola, tutte componenti che spesso dipendono dalla presenza o meno di conoscenze condivise tra gli interlocutori diretti. è pertanto evidente come ogni trascrizione sia inevitabilmente l’esito di una scelta finale, conseguente a pregresse selezioni effettuate dal trascrittore in modo più o meno consapevole [36]. Sotto questo profilo, pertanto, possiamo ritenere come la sua attività non sia solo descrittiva ma anche e soprattutto, saremmo tentati di dire, ontologicamente valutativa. Ecco venir meno dunque quel fallace e diffuso convincimento secondo il quale la comunicazione captata coinvolga solo gli interlocutori della stessa e che l’ascoltatore-trascrittore abbia un ruolo passivo e non ricorra mai al proprio bagaglio conoscitivo, alle proprie aspettative, ai propri schemi mentali, alle proprie previsioni. è noto, al contrario, come «a volte i trascrittori tendono a interpretare la parola non intellegibile, correndo così il rischio di proiettare la propria visione professionale sull’interazione, di leggere cioè gli eventi attraverso le proprie lenti» [37]. Questa è una delle ragioni per le quali in alcune raccomandazioni operative si prevede come nella fase iniziale della trasposizione il trascrittore, soprattutto qualora intervenga nella fase delle indagini preliminari e ricopra il ruolo di ufficiale di polizia giudiziaria, non debba essere a conoscenza del contesto (cioè della situazione reale nella quale sono immersi gli interlocutori) e sia capace di mantenersi il più possibile indifferente al co-testo (cioè al testo che precede e segue la parola o la frase da trascrivere). La ragione è intuibile: più il trascrittore è coinvolto ed è a conoscenza dei fatti oggetto d’indagine, nei quali si inserisce la conversazione, maggiore [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2021