Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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L´ordine dell´attività argomentativa delle parti nelle udienze camerali e de libertate tra potere normativo e dovere costituzionale (di Filippo Raffaele Dinacci, Ordinario di Diritto Processuale Penale – Università degli Studi di Bergamo)


La “prassi” giudiziaria di non consentire alla difesa nelle udienze camerali anche de libertate di prendere per ultima la parola sul significativo rilievo che in ogni caso non si verterebbe in ipotesi di nullità, si scontra con espressi dati normativi e denota l’inconsapevolezza del fatto che questi ultimi costituiscono diretta espressione di cogenti valori costituzionali che devono essere rispettati dall’operatore del diritto. Di qui l’esigenza del recupero di una corretta interpretazione che riconduca il momento applicativo del dato di legge nel perimetro della volontà legislativa.

The order of the argumentative activity of the parts in the chamber and de libertate hearings between legislative and constitutional duty

The judicial practice of forbidding to the defence, in the chamber and de libertate hearings, to be the last to have the floor, based on the fact that in any case there would not be an invalidity, appears in contrast with expressed laws and demonstrate the unawareness of the fact that these last constitute a direct expression of mandatory constitutional values which shall be respected by each legal expert. Therefore, the need of recovering a correct interpretation, capable of leading back the application of the law in the perimeter of the legislative will.

Keywords: criminal hearings – evidence hearing

SOMMARIO:

1. Prolegomena interpretativi - 2. L’azione giurisprudenziale - 3. Verso una consapevolezza esegetica - 4. Analisi dei rapporti tra forma camerale e forma ordinaria sull’ordine delle “illustrazioni” in udienza - 5. L’inequivoca realtà normativa - 6. La valenza costituzionale dell’ordine dell’intervento dialettico delle parti e il presidio delle nullità: verso una giusta decisione - NOTE


1. Prolegomena interpretativi

Spesso la dimensione operativa non coglie la corretta esegesi del dato giuridico. E quando ciò accade, si perviene a deformazioni del sistema che conducono a limitazioni dei diritti individuali. Troppe volte la regola normativa viene declinata con funzioni finalistiche tese a salvaguardare un determinato risultato processuale. Ma la “ragion pratica” [1] applicata alle regole giuridiche, che costituiscono il presidio di una funzione di garanzia dell’individuo dagli attacchi dell’autorità [2], mal si concilia con la doverosa tutela dei diritti del singolo e, ancor meno, si allinea all’obbligatorio rispetto del comando costituzionale del principio di legalità processuale. Si generano così formanti giurisprudenziali extra vagantes lontani dal precetto normativo a cui viceversa si deve osservanza. Un siffatto metodo interpretativo, non risultando ancorato all’oggettività della norma, genera inevitabilmente una sorta di “diritto pretorio” che riesce ad acquisire persino “stabilità” giurisprudenziale grazie a quella pericolosa tendenza culturale di “affidarsi” al dictum del precedente senza la doverosa verifica sulla conformità del risultato ermeneutico. Atteggiamento culturale, questo, che non è in grado di comprendere i corretti indici esegetici del sistema e spesso si affianca all’incapacità di cogliere i “valori” sottostanti al comando giuridico. Ciò purtroppo accade nella misura in cui l’interprete non si confronta col dato normativo ma con l’inter­pretazione che nel tempo, e di volta in volta, di esso ne è stata data. In tal modo, allontanandosi dalla norma giuridica che delimita i poteri e i limiti della fattispecie [3], ogni interpretazione diviene possibile, è sufficiente rispettare il rigore formale del ragionamento sillogistico; tuttavia, se lo stesso non trae spunto dalla fonte oggettiva bensì da un postulato che sostituisce la stessa, basta non alterare il rigore formale dei passaggi sillogistici per pervenire ad una soluzione che solo apparentemente risulterà corretta. Ma così ogni conclusione è possibile e il risultato cui si perviene è cosa altra rispetto al­l’in­terpretazione di quella disposizione di legge e quindi si realizza un prodotto erroneo. Del resto è noto come, anche nel campo [continua ..]


2. L’azione giurisprudenziale

Il tema è particolarmente attuale con riferimento a quella giurisprudenza secondo cui, nel procedimento in camera di consiglio e, in particolare, nella specifica procedura camerale di cui all’art. 309 c.p.p., il difensore non ha diritto ad intervenire per ultimo nella discussione [8]. Si tratta ormai di un refrain che si è consolidato senza particolari obiezioni da oltre vent’anni. L’analisi della giurisprudenza, infatti, evidenzia sin dagli anni ‘90 del secolo scorso la presa di posizione del diritto vivente nel senso che nell’udienza camerale, ed in particolare nell’udienza de libertate di cui all’art. 309 c.p.p., non si osserva l’ordine della discussione delineato dall’art. 523 c.p.p.; dall’affermata inoperatività dell’indicata disposizione normativa si fa discendere anche la preclusione del diritto di replica e della possibilità per il difensore e per l’imputato di avere la parola per ultimi se la domandano [9]. In sostanza, si disegna l’u­dienza camerale svolgentesi innanzi al c.d. Tribunale delle libertà come una procedura svincolata dalle regole normative relative all’ordine di intervento delle parti, non cogliendosi come le medesime risultino preposte alla tutela di specifici valori espressivi di un diritto al confronto. Ma, a prescindere per il momento dalle implicazioni che la materia comporta a livello costituzionale anche sotto il profilo delle forme preposte alla tutela della libertà personale, occorre evidenziare come le cadenze argomentative a sostegno dei dicta appaiano malferme. In un primo momento, infatti, la preclusione al diritto della difesa di avere la parola per ultima era sostenuta in ragione del carattere incidentale della procedura camerale rispetto al dibattimento, individuato quale luogo privilegiato di cognizione, nonché dall’in­formalità e dall’apporto squisitamente cartolare che caratterizza l’udienza innanzi al c.d. Tribunale delle libertà [10]. Successivamente, il diritto giurisprudenziale ha sostenuto la medesima conclusione sul rilievo secondo cui l’ordine degli interventi delineato nell’art. 523 c.p.p. non troverebbe riscontro nell’art. 127 del medesimo codice; di qui il rilievo che la previsione dibattimentale non rifletterebbe un principio generale e quindi non troverebbe vigenza al di fuori del perimetro in cui [continua ..]


3. Verso una consapevolezza esegetica

La presa di posizione del diritto vivente impone di procedere ad un “riordino” della materia. In primo luogo, deve evidenziarsi come il rilievo della pretesa mancata previsione di una nullità qualora al difensore dell’imputato/indagato non sia concesso di prendere la parola per ultimo evidenzi una soluzione difforme dagli obblighi codicistici [13]. L’osservanza alle leggi è un dovere imposto, a prescindere dall’esistenza di una sanzione, a fronte della violazione di un precetto. Per convincersene, basta por mente al contenuto dell’art. 124 c.p.p. laddove pone a carico, tra gli altri, dei magistrati l’obbligo di «osservare le norme di questo codice anche quando l’inosservanza non importa nullità od altra sanzione processuale» [14]. In sostanza, anche a voler ammettere che l’art. 127 c.p.p. integri una norma minus quam perfecta non costituisce, questo, motivo per consentirne la violazione. Quanto poi al rilievo “pretorio” secondo cui l’ordine di intervento non sarebbe da rispettare in quanto si è al cospetto di una procedura informale ed incidentale, occorre chiarire come l’esistenza di procedure semplificate non autorizzi a sovvertire il comando giuridico. Tali procedure, infatti, hanno la sola finalità di velocizzare la decisione e tantomeno può ritenersi che le medesime attengano a materie che il legislatore ha ritenuto meritevoli di minor tutela. A tal fine è sufficiente rammentare la rilevante incidenza sui diritti costituzionali che determina un giudizio sulla libertà personale dell’individuo. Come se non bastasse appare inappropriato anche l’approccio giustificativo che fa leva sulla natura di procedimento incidentale per limitare il diritto della difesa a prendere la parola per ultima. Ora, sul punto, pure in mancanza di un’espressa regolamentazione codicistica del procedimento incidentale “tipo” al di fuori del tema dell’esecuzione, [15] non si può ignorare come lo stesso si caratterizzi per quel fenomeno di “rifrazione dell’azione” che coinvolge le singole situazioni processuali che abbiano ad oggetto un interesse concorrente con quello del rapporto fondamentale [16]. Se l’ordinamento assegna al tema da trattare in sede incidentale rilevanza tale da necessitare una decisione immediata, anticipata rispetto a quella [continua ..]


4. Analisi dei rapporti tra forma camerale e forma ordinaria sull’ordine delle “illustrazioni” in udienza

Prendendo le mosse dall’analisi dell’enunciato normativo, occorre rilevare come il medesimo non sembri porre problematicità interpretative. L’art. 127, comma 3, c.p.p. prescrive che «il pubblico ministero, gli altri destinatari, nonché i difensori sono sentiti se compaiono». Può non piacere ma la norma descrive un ordine di interventi che non a caso corrisponde a quello delineato dall’art. 523 c.p.p. Ciò sta a significare che quell’ordine di interventi, che assegna alla difesa l’ultima parola, ha evidentemente una matrice comune. Né sul punto varrebbe obiettare che l’art. 127, comma 3, c.p.p. a differenza dell’art. 523 del medesimo codice, non richiama la “discussione” e di qui la conclusione che se anche il difensore intervenisse prima dell’accusa non si concreterebbe alcuna violazione di legge [21]. Quel che sembra sfuggire, sia pure nell’ambito di una diversa terminologia, è la comune volontà legislativa di riservare alla difesa l’ultima parola. In tale direzione si pone esemplificativamente anche l’art. 391, comma 3, c.p.p. che, in tema di convalida dell’arresto, dopo aver contemplato le forme di intervento del pubblico ministero e l’interrogatorio dell’arrestato, solo alla fine, e quindi in coda, prevede che il giudice «senta in ogni caso il suo difensore». Peraltro, con riferimento alla procedura de libertate, viene meno anche l’appiglio che fa leva sul mancato espresso richiamo alla discussione nell’art. 127 c.p.p. Deve infatti evidenziarsi come il procedimento incidentale che si svolge davanti al c.d. Tribunale della libertà prevede espressamente all’art. 309, comma 6, c.p.p. che innanzi al collegio debba aver luogo la “discussione”; sintagma ribadito, anche a proposito del giudizio de libertate, in Cassazione, dall’art. 311, comma 4, c.p.p. Di qui l’evidenza che il richiamo alle forme dell’art. 127 c.p.p. non autorizza letture interpretative dirette a derogare all’ordine di intervento delle parti ma, al contrario, significa che il riesame debba seguire l’archetipo camerale in quanto alternativa meno dispendiosa della figura tipica [22]. Ne deriva che la specialità di disciplina del­l’udienza camerale rispetto al rito ordinario è rinvenibile solo nella semplificazione delle [continua ..]


5. L’inequivoca realtà normativa

Emerge quindi come la disciplina della forma camerale ed in particolare della forma camerale de libertate non autorizzi deroghe e/o inversioni dell’ordine di intervento dei partecipanti all’udienza [24]. Ma, anche a prescindere dal risultato interpretativo raggiunto, lavorando sulle disposizioni disciplinanti il procedimento in camera di consiglio deve evidenziarsi come le stesse, nella sostanza, si adeguino all’or­dine di intervento contemplato dall’art. 523, commi 1 e 4, c.p.p. Se così è, non è possibile nemmeno ravvisare nella disciplina camerale una norma derogatoria posto che, sia pure con linguaggio diverso, prescrive un ordine argomentativo delle parti sovrapponibile a quello contemplato per la fase dibattimentale. E sul punto non deve sfuggire come lo stesso ordine di intervento sia imposto anche dall’art. 493, comma 1, c.p.p. laddove prevede che «il pubblico ministero, il difensore della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell’imputato nell’ordine indicano i fatti che intendono provare e chiedono l’ammissione delle prove». Medesimo ordine di inter­vento viene previsto con l’art. 421, comma 2, c.p.p. in sede di udienza preliminare e deve rimarcarsi come la prescrizione operi anche nel giudizio abbreviato in forza del richiamo contenuto nell’art. 441, comma 1, c.p.p. secondo cui in quella sede «si osservano in quanto applicabili, le disposizioni previste per l’udienza preliminare …» e nell’art. 442, comma 1, c.p.p. che fa espresso riferimento alla discussione. Ma non basta, perché anche ad una semplice analisi dei giudizi di impugnazione è agevole scoprire che l’art. 602, comma 4, c.p.p. prevede espressamente che per la discussione in sede di appello «si osservano le disposizioni dell’art. 523». Ed ancora l’art. 614, comma 4, c.p.p. nel giudizio di cassazione descrive l’ordine di intervento argomentativo delle parti in tutto coincidente con quello contemplato dall’art. 523 c.p.p. fatta eccezione per la limitata previsione secondo cui «non sono ammesse repliche». Il sintetico quadro di disciplina delineato fa emergere come l’ordine degli interventi delle parti contemplato dal­l’art. 523 c.p.p. abbia una valenza generale. Qui, sia ben chiaro, non si tratta di trovare una [continua ..]


6. La valenza costituzionale dell’ordine dell’intervento dialettico delle parti e il presidio delle nullità: verso una giusta decisione

La realtà è che i diversi orientamenti operativi risultano figli di una scarsa osservanza al comando di legge e, nel contempo, di una inconsapevolezza di valori costituzioni che lo stesso veicola. Già da tempo si è ammonito sul fatto che «la difesa non deve trovare alcun limite che le impedisca di farsi sentire fino all’estremo momento antecedente la decisione attesa che nessun elemento di accusa deve essere lasciato senza possibilità di confutazione» [29]. Ed è proprio la consapevolezza del diritto alla confutazione dell’altrui tesi che evidenzia come l’ordine degli interventi delle parti si annoveri in quel diritto soggettivo di contra dicere gli argomenti dell’altra parte [30]. La conclusione involge garanzie costituzionali quali il contraddittorio e il diritto di difesa. Non è infatti controvertibile che l’ascolto degli interventi ai quali non si consente «una vera e propria contrapposizione dialettica delle rispettive tesi, con la possibilità di repliche, comprime la valenza maieutica del contraddittorio» [31]. La situazione incide non solo sui diritti della difesa tramite un’amputazione della dialettica d’u­dien­za ma può falsare la stessa prospettiva di valutazione del giudice a cui si sottraggono gli argomenti di confutazione del difensore. E ciò è particolarmente apprezzabile perché quel che si viene ad eliminare è quel contraddittorio argomentativo che ha trovato espresso riconoscimento giurisprudenziale in forza di specifiche spinte europee [32]. In base alle stesse, infatti, a fronte di una possibile diversa qualificazione giuridica dei fatti, si impone «l’instaurazione del contraddittorio tra le parti sulla relativa questione in diritto» [33]. Si tratta della sostanziazione del diritto a confrontarsi “esportato” anche sull’attività argomentativa delle parti. Del resto, il potere ad intervenire per ultimo trova giustificazione nella doverosa tutela della posizione della difesa posto che «l’ultima parola resta di solito meglio impressa nell’animo del giudice degli argomenti svolti in precedenza dalle altre parti» [34]. E qui viene in gioco l’esercizio ad un concreto diritto di difesa. Il contributo illustrativo spettante alle parti, infatti, «non è questione di pura [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2021