La pronuncia in commento ha ribadito che i tempi per decidere sulle richieste di revoca o sostituzione della misura cautelare devono essere ristretti, in quanto incidono sulla libertà della persona, ciò vale specialmente quando i motivi alla base della richiesta siano le condizioni di salute del soggetto in vinculis. Ne consegue che le esigenze di sicurezza della persona offesa nella vicenda cautelare (diritti informativi e partecipativi ex art. 299 c.p.p.) trovano un limite rispetto al diritto alla salute del detenuto, irrinunciabile e protetto tanto dalla Costituzione quanto dalla normativa sovranazionale, che vietano la tortura e i trattamenti inumani o degradanti.
The analyzed sentence reaffirmed that the time allotted to decide on requests for revocation or amendments of the precautionary measure must be accelerated, since they affect the freedom of the personer, especially when the reasons underlying the request have to do with the health of the subject in vinculis. Therefore, the needs of safety of the offended person in the precautionary case (the rights for information and participatory pursuant to art. 299 Italian Criminal Code) find their limit when they cross the detainee’s right to health – a right that is considered indisputable – protected by the Constitution and by Supranational law, which forbids torture and cruel or humiliating treatment of the prisoner.
Keywords: right to health and detention – prisoners – preventive proceeding
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1. La pronuncia - 2. L’evoluzione del quadro normativo - 3. L’assetto di tutela del diritto alla salute in ambito cautelare - 4. I diritti della persona offesa nell’incidente cautelare ex art. 299 c.p.p. - 5. Il bilanciamento tra diritto alla salute del detenuto ed esigenze della persona offesa - 6. Contrasto giurisprudenziale e considerazioni conclusive - NOTE
In questo particolare periodo storico di emergenza sanitaria, il bilanciamento tra il diritto alla salute del detenuto e le esigenze di sicurezza pubblica è un tema ricorrente nelle pronunce della Suprema Corte [1]. Lo conferma la sentenza in analisi, che si sofferma sul rapporto fra l’inapplicabilità del regime custodiale in carcere per motivi salute e la previsione dell’art. 299, commi 2 bis e 3, c.p.p. [2], secondo cui va comunicata alla persona offesa dal reato la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare personale. Nel caso specifico oggetto di analisi, l’indagato proponeva appello avverso il provvedimento con il quale il g.i.p. rigettava l’istanza di sostituzione della misura de libertate, ritenendo non sussistenti le prospettate ragioni di incompatibilità con il regime carcerario. Infatti, nonostante l’indagato fosse ultrasettantenne e soggetto a rischio Covid-19, già in sede applicativa della cautela custodiale, erano state individuate le eccezionali esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 4, c.p.p. [3], ostative all’applicazione di un trattamento cautelare meno afflittivo. Il Tribunale del Riesame di Palermo, tuttavia, dichiarava inammissibile il gravame, rilevando l’omessa notifica dell’istanza di sostituzione della misura alla persona offesa in violazione dell’art. 299 c.p.p., adempimento che nel caso di specie era dovuto poiché il reato per il quale si procedeva – estorsione aggravata dal metodo mafioso – era connotato da violenza alla persona. L’accusato proponeva, quindi, ricorso per cassazione contestando la decisione, in quanto, in primo luogo, in assenza di riferimenti specifici del g.i.p. sull’omessa comunicazione alla persona offesa, il Tribunale non avrebbe potuto rilevare l’inammissibilità dell’istanza, dovendo limitarsi a pronunciarsi sul merito dell’impugnazione; in secondo luogo, il provvedimento censurato avrebbe erroneamente esteso l’obbligo di notifica alla persona offesa di cui ai primi commi dell’art. 299 c.p.p. anche alle richieste formulate ex art. 275, comma 4, c.p.p. Nel ricorso si sosteneva, infatti, che le istanze volte a far rilevare l’incompatibilità con il regime intramurario per ragioni di età e condizioni di salute del detenuto non potevano essere oggetto di doglianza da parte della vittima del [continua ..]
L’art. 32 Cost. tutela la salute come diritto fondamentale della persona e quale interesse della collettività – tanto da garantire espressamente cure gratuite agli indigenti – rendendo la stessa, quindi, un valore supremo inviolabile [8]. È evidente che il diritto in questione, essendo una condizione determinante perché ogni individuo possa «esprimere compiutamente e liberamente la propria personalità» [9], rappresenti un bene primario dell’essere umano da salvaguardare. Nella specie, trattasi di un diritto di natura complessa [10], la cui impostazione originaria di indole programmatica è stata superata con l’attribuzione alla norma che lo consacra di capacità precettiva ed efficacia erga omnes, raffigurando, dunque, un interesse legittimo sia nei rapporti tra privati, sia nei rapporti con l’autorità [11]. Come specificato nella pronuncia in analisi, giurisprudenza costante ritiene applicabile l’art. 32 Cost. a qualsiasi cittadino, anche sottoposto a misure restrittive della libertà personale [12]. Alla luce del dettato costituzionale e dei principi sovranazionali, quindi, lo status detentivo non può ritenersi incompatibile con la tutela dei diritti fondamentali e, segnatamente, con quello alla salute [13]. Sul punto, risulta probabilmente ridondante sottolineare che – ai sensi dell’art. 27 Cost. – l’ordinamento giuridico è incentrato sulla funzione rieducativa della pena nonché sul divieto di trattamenti contrari al senso di umanità e che, pertanto, trattandosi di una condizione necessaria per il reinserimento sociale del detenuto, la salute dello stesso merita particolare attenzione [14]. La legislazione vigente, infatti, mira a potenziare il principio di “effettività” delle cure e la “consapevolezza” del detenuto [15] circa l’assistenza sanitaria disponibile e il proprio stato di salute, perseguendo una tendenziale equiparazione delle prestazioni mediche penitenziarie con quelle esterne [16]. Tuttavia, la effettiva tutela sanitaria dei detenuti ha suscitato, e continua a suscitare, notevoli problemi di compatibilità con le condizioni carcerarie, impegnando non solo i giudici nazionali, ma anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale ha condannato l’Italia in diverse [continua ..]
Al fine di analizzare la tutela della salute in ambito cautelare, e per una più approfondita analisi della sentenza in oggetto, è dunque necessario esaminare l’attuale disciplina di cui all’art. 275 c.p.p. con particolare riguardo ai commi 4 e 4-bis. Nello specifico, tali previsioni riguardano la tutela del soggetto sottoposto a custodia cautelare in carcere quando questi presenti delle caratteristiche soggettive incompatibili con il regime intramurario. Nel caso in questione, infatti, l’indagato aveva proposto istanza di sostituzione della misura de libertate ai sensi dell’art. 275, comma 4, c.p.p. perché soggetto ultrasettantenne ed esposto a rischio Covid-19 a causa delle condizioni di salute ex comma 4-bis della stessa disposizione. Il comma 4 della norma citata pone, invero, una presunzione iuris tantum di inadeguatezza della misura carceraria – sia nel momento genetico sia nelle vicende successive [32] – quando il soggetto interessato sia donna incinta, madre [33] di prole di età non superiore a sei anni [34] con lei convivente o soggetto ultrasettantenne, salvo che sussistano esigenze cautelari di «eccezionale rilevanza». In particolare, la ratio dell’esclusione degli individui maggiori di settanta anni discende da una presunzione di ridotta pericolosità sociale collegata all’affievolimento delle facoltà fisiche e psichiche del soggetto a causa dell’età avanzata. Quindi, in questi casi, dovrebbe considerarsi ammessa la custodia cautelare in carcere soltanto in via eccezionale e quando vi sia una comprovata inidoneità di ogni altra misura [35], sussistendo esigenze cautelari di eccezionale rilevanza [36]. Pertanto, l’esclusione non sarà mai automatica, spettando invece al giudice il compito di valutare la gravità dei pericula indicati dall’art. 274 c.p.p. caso per caso [37], disponendo, quindi, misure coercitive meno afflittive della carcerazione quando le esigenze siano «tipiche o normali» [38]. D’altro canto, in riferimento alle condizioni di salute, la disciplina concernente la tutela dell’indagato affetto da una grave patologia [39] è contemplata essenzialmente all’art. 275 comma 4-bis, comma 4-ter, comma 4-quater, comma 4-quinquies c.p.p. e all’art. 11, comma 4, ord. pen. [40]. Nello specifico, il comma [continua ..]
Com’è noto, il panorama normativo europeo ha progressivamente rivisto la posizione della persona offesa nel procedimento penale. Specificamente, tra le diverse fonti sovranazionali [51], un ruolo preponderante va assegnato alla Direttiva 2012/29/UE [52] sui diritti delle vittime di reato, la quale permette un approccio integrato e coordinato tra i diversi Paesi membri dell’UE, attraverso la predisposizione di reti europee per assicurare la tutela dei diritti dell’offeso e migliorarne il sostegno. In particolare, la direttiva de qua istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato [53], rappresentando tuttora un vero e proprio “statuto dei diritti della vittima” [54], che ha impulsato un irrobustimento complessivo del ruolo del soggetto leso nella disciplina nazionale. Pertanto, in attuazione di tale fonte, la disciplina interna [55] ha riconosciuto in favore dell’offeso inediti diritti informativi e partecipativi nel processo penale, attribuiti anche nell’ambito delle vicende cautelari ad personam, ove si tratti di procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona. Nello specifico, la legge n. 119 del 2013 [56] ha novellato l’art. 299 c.p.p. introducendo nuovi diritti informativi a favore della persona offesa. In particolare, l’inserimento del comma 2-bis [57] nella norma in parola, ha stabilito che i provvedimenti di revoca, sostituzione o modifica della misura cautelare [58] debbano essere immediatamente comunicati al predetto soggetto. Ancora, per garantire un più efficace coinvolgimento di questo nella vicenda cautelare, al comma 3 dell’art. 299 c.p.p., è stato introdotto l’obbligo [59] per il richiedente – a pena di inammissibilità [60] – di notificare l’istanza di revoca o sostituzione della misura de libertate al difensore dell’offeso, ovvero, in mancanza di questo, direttamente alla “vittima”. A ben vedere, la tipologia di sanzione – l’inammissibilità della richiesta – scelta dal legislatore per la omessa notifica dell’istanza di revoca o sostituzione della misura, denota la grande rilevanza che si è voluto riconoscere alla partecipazione della persona lesa in questa fase. Sul punto, deve sottolinearsi come l’obbligo di notifica sia stato introdotto per [continua ..]
La pronuncia in commento, per offrire risposta alla questione dell’applicabilità o meno dell’obbligo di notifica di cui all’art. 299, comma 3 e 4 bis, c.p.p. alla persona offesa ove la richiesta di scarcerazione si fondi sull’incompatibilità con il regime intramurario – dovuta all’aggravamento delle condizioni di salute o a ragioni di età del detenuto – ha evidenziato, in primo luogo, che la salute è un valore costituzionale supremo [76] e la sua tutela nella disciplina processuale e penitenziaria è divenuta un elemento centrale. Permane, pertanto, la titolarità dei diritti fondamentali in capo ai soggetti ristretti, i quali subiscono soltanto le limitazioni intrinseche all’esecuzione della misura strettamente necessarie per assicurarne il suo compimento [77]. A tal riguardo, la Corte di Strasburgo ha specificato quali siano gli obblighi concreti che gravano sugli Stati in relazione al trattamento dei detenuti. Si dovrà, più esattamente, verificare che le condizioni di salute del soggetto in vinculis siano compatibili con la detenzione, somministrare le cure mediche necessarie e adattare nel caso concreto le condizioni di restrizione alle esigenze specifiche legate allo stato di salute dell’interessato [78]; la salute e il benessere di questo, inoltre, «dovranno essere adeguatamente assicurati tramite la necessaria assistenza medica» [79]. Il fatto che la Corte e.d.u. abbia ricondotto nell’alveo dell’art. 3 CEDU l’incompatibilità con lo stato di detenzione per motivi sanitari, ha permesso alla stessa di sancire la natura “assoluta” del diritto alla salute del detenuto dichiarandolo non bilanciabile con altri principi, valori o obiettivi – pur meritevoli di tutela – ed escludendo deroghe o limitazioni, anche in virtù del dettato dell’art. 15 CEDU, di quanto affermato nei lavori preparatori della Convenzione e della stessa giurisprudenza della Corte [80]. In ambito nazionale, invece, il bilanciamento tra la tutela della salute e le esigenze di giustizia non sembrerebbe aver percorso una strada così agevole. Invero, ci si è riferiti a questo binomio definendolo come una sorta di “scontro tra titani” [81], perché entrambi i diritti-principi – uno da una prospettiva individuale, l’altro da una [continua ..]
È opportuno precisare che, prima del presente arresto, il problema della sussistenza o meno dell’obbligo di notifica ex art. 299 c.p.p. delle richieste di revoca o sostituzione della misura cautelare per motivi di salute, è stata affrontato di rado dal Giudice di legittimità. La più recente delle pronunce, in contrasto con l’orientamento in parola, ha ritenuto legittima la decisione del Tribunale che aveva disposto il ripristino della misura di massimo rigore nei confronti dell’imputato, dopo aver dichiarato inammissibile l’originaria istanza de libertate per omessa notifica alla persona offesa, ai sensi dell’art. 299, commi 2-bis e 3, c.p.p. La Corte, in quell’occasione, ha ribadito che, nonostante la decisione di mitigare la misura fosse stata assunta dal g.i.p. all’esito di un accertamento peritale disposto ai sensi dell’art. 299, comma 4-ter, c.p.p., «l’eventuale necessità di disporre perizia, prima di decidere sull’istanza, risulta del tutto irrilevante ai fini specifici che qui interessano» [95], rigettando così il ricorso e confermando il ripristino della misura nonostante le accertate condizioni patologiche dell’accusato. Un’altra sentenza, più risalente, ha confermato l’inammissibilità dell’istanza di revoca o sostituzione della misura per omessa notifica alla persona offesa, ritenendo, tuttavia, che, successivamente alla dichiarazione di inammissibilità, «rimane integro il potere officioso del Giudice di affrontare il merito soprattutto quando si tratta, come nella specie, di questioni di salute» [96]. In altre decisioni più recenti [97], relative a richieste di revoca o sostituzione avanzate sempre per ragioni di incompatibilità con le condizioni di salute del detenuto, nel valutarne l’ammissibilità, la Corte ha tenuto in considerazione fattori come la mancanza di nomina del difensore della persona offesa, ovvero l’omessa dichiarazione di domicilio, trascurando, tuttavia, la presenza di problemi sanitari in capo al detenuto, come se questo non fosse un fattore determinante ai fini di ritenere sussistente o meno l’obbligo di notifica. In virtù di ciò, sembrerebbe potersi dedurre, in via mediata, la sussistenza di un potenziale contrasto tra le precedenti sentenze del Giudice di legittimità e [continua ..]