Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Forma e sostanza delle limitazioni ai diritti di libertà nell'emergenza pandemica (di Marco Di Folco, Ricercatore di Diritto pubblico Università di Roma Tor Vergata)


Scopo del saggio è quello di esaminare le limitazioni dei diritti di libertà introdotte nell’ordinamento italiano per fronteggiare l’emergenza pandemica Covid-19. L’analisi riguarda sia la forma degli atti in rapporto al principio di legalità e alle riserve di legge e di giurisdizione, sia i contenuti delle misure limitative.

Form and contents of restrictions of rights of freedom in the pandemic emergency

The aim of the essay is to examine the limitations to the rights of freedom introduced in Italian legal system in order to deal with pandemic emergency Covid-19. The analysis concerns both the form of acts in relation to the rule of law and to the protection provided by law and judiciary, and the contents of restrictions.

SOMMARIO:

1. Premessa: le dimensioni dell’emergenza - 2. Emergenza sanitaria e deroghe alla Costituzione - 3. La disciplina dell’emergenza e i suoi nodi problematici in ordine alle garanzie delle libertà - 4. La natura giuridica degli atti limitativi delle libertà - 5. Le ricadute rispetto al principio di legalità e alle riserve di legge (e di giurisdizione) - 6. La compressione dei diritti di libertà nella situazione emergenziale, tra limiti espressi, bilanciamento e fondamentalità della salute come interesse della collettività - NOTE


1. Premessa: le dimensioni dell’emergenza

La necessità di introdurre nell’ordinamento misure idonee a contenere la diffusione della pandemia da Covid-19 ha determinato la più estesa compressione dei diritti costituzionali che si sia registrata nel corso dell’esperienza repubblicana [1]. Tanto emerge, anzitutto, dalla considerazione del novero particolarmente nutrito di posizioni soggettive incise. Se è vero che a essere coinvolti sono soprattutto i diritti di libertà – ciò che giustifica, in questa sede, la scelta di appuntare l’attenzione proprio su detta categoria – non possono essere sottaciute le ripercussioni sui diritti a prestazione e su quelli politici [2]. Ma ad analoghe conclusioni è possibile pervenire anche laddove si volga lo sguardo al contenuto delle restrizioni, la cui intensità ha talora indotto a ragionare in termini di sospensione [3] della Costituzione o di quasi annullamento dei diritti [4]. Per non parlare, poi, del fatto che la natura indifferenziata delle limitazioni, destinate a valere indistintamente nei confronti di chiunque, si riflette in modo significativo sulla condizione dei soggetti a vario titolo più svantaggiati [5], così da provocare delicate ricadute sul principio di eguaglianza [6]. Né risulta del tutto tranquillizzante la circostanza che il fenomeno epidemiologico sia, per sua natura, destinato a esaurirsi. Quella che nel linguaggio mediatico viene definita come la necessaria “convivenza” con il virus, destinata a durare finché la scienza medica avrà messo a disposizione della comunità efficaci rimedi vaccinali, rimanda a un intervallo temporale nel quale non può ancora darsi il pieno ripristino dei diritti; senza considerare, poi, che la recrudescenza del medesimo fenomeno registratasi nel nostro paese dopo che il picco dei contagi pareva superato ha sollecitato la reintroduzione di limitazioni rimosse nel corso dei mesi estivi. D’altra parte, su un piano più generale, la configurazione delle società contemporanee come società del rischio induce a considerare le emergenze non più alla stregua di fatti episodici e, di conseguenza, a rimarcarne la capacità di produrre modificazioni strutturali dei sistemi giuridici [7].


2. Emergenza sanitaria e deroghe alla Costituzione

Entro queste coordinate di fondo, e stante la centralità che la problematica dei diritti fondamentali riveste per il costituzionalismo di matrice liberaldemocratica [8], si spiega agevolmente la diffusione con la quale la dottrina ha proceduto all’esame delle decisioni assunte dinnanzi alla situazione in atto. Tra le molteplici questioni che si pongono, ve ne è però una meritevole di essere subito affrontata in ragione del rilievo condizionante che esprime rispetto all’impostazione di questo contributo. Si tratta, cioè, di precisare se il parametro al quale commisurare le soluzioni prescelte dal legislatore debba essere identificato in quel che la Costituzione prescrive per l’ordinario sul terreno degli istituti di garanzia delle libertà; o se possa concepirsi lo sviluppo di un diritto speciale derogatorio del quadro costituzionale. Ora, sembra a chi scrive che la risposta a un simile interrogativo richieda di andare al di là della mera constatazione circa la mancata previsione, da parte della Carta, di stati di emergenza o di eccezione, ossia di clausole di portata generale che autorizzino, in condizioni straordinarie, deviazioni dalle discipline costituzionali poste per i tempi normali. Difatti, anche alla luce del dibattito scientifico fin qui svoltosi, è necessario esaminare ulteriori profili, rispettivamente concernenti il ruolo della necessità come fonte normativa; la possibilità per il decreto-legge di dettare norme eccedenti il disponibile con legge ordinaria; la plausibilità di letture estensive o analogiche delle statuizioni di cui all’art. 78 Cost. in tema di stato di guerra. Quanto alle teoriche della necessità, che non è qui consentito ripercorrere in tutte le varianti proposte [9], è da mettere in risalto come esse collochino le origini del diritto emergenziale al di fuori della legge fondamentale, mediante l’attribuzione allo stesso fatto eccezionale di una capacità nomopoietica suscettibile di alterare l’ordine costituito [10]. Il limite all’operatività di un simile modo di produzione normativa risiederebbe essenzialmente nella sua temporaneità correlata al perdurare del fatto straordinario; e questo perché sarebbe insita nella natura stessa della necessità un intento conservativo, propedeutico al pieno ristabilimento della legalità non appena le [continua ..]


3. La disciplina dell’emergenza e i suoi nodi problematici in ordine alle garanzie delle libertà

L’individuazione dei profili problematici che la gestione dell’emergenza presenta in ordine alle garanzie delle libertà esige una preliminare disamina delle soluzioni concretamente messe in campo dalle istituzioni pubbliche. Bisogna però subito avvertire che tale disamina non può qui nutrire ambizioni di esaustività, dato il carattere assai frammentario e disorganico del quadro di riferimento, punteggiato da un elevatissimo numero di atti non solo statali ma anche regionali e comunali. L’obiettivo, più limitato, è allora quello di evidenziare i repentini mutamenti che le strategie di contenimento del virus hanno conosciuto in un lasso temporale ridotto. In questa chiave, una prima filiera di produzione normativa si è fondata sull’art. 32 della l. 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, che attribuisce al Ministro della sanità (oggi della salute) il potere di emettere ordinanze contingibili e urgenti in materia di sanità pubblica e di polizia veterinaria con efficacia estesa all’intero territorio nazionale; a mente della medesima disposizione, detto potere è riconosciuto altresì ai Presidenti di Regione, in relazione al territorio regionale o di più comuni in esso ricompresi, e al sindaco, con riguardo al territorio comunale. È, questo, lo strumento del quale ci si è avvalsi agli esordi dell’azione di contrasto alla pandemia, per l’assunzione di alcune prime misure di profilassi internazionale [29]. Con la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 – testualmente dichiarativa dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti patogeni trasmissibili – il baricentro dell’attività di contenimento è parso spostarsi verso la legislazione in materia di protezione civile. La suddetta delibera, infatti, si fonda sulle previsioni del d.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1, che contemplano la fattispecie delle emergenze di rilievo nazionale [30] e riconnettono alla relativa declaratoria il rilevante effetto di radicare in capo al Presidente del Consiglio dei ministri o, eventualmente, al Capo del Dipartimento della protezione civile, un potere di ordinanza [31]. Neppure questo assetto ha tuttavia costituito un approdo definitivo. All’aggravarsi del fenomeno [continua ..]


4. La natura giuridica degli atti limitativi delle libertà

Alla luce della disciplina poc’anzi ricostruita, la tenuta del principio di legalità e delle riserve di legge è stata approfondita dalla dottrina soprattutto in relazione ai d.p.c.m. Si tratta di una tendenza senza dubbio comprensibile. Infatti, la circostanza che questa categoria conosca già da tempo una forte espansione nell’ordinamento [47], anche in settori attinenti ai diritti [48], non toglie che un così massiccio impiego in funzione limitativa delle libertà rappresenti un inedito assoluto, in quanto tale meritevole di specifica considerazione [49]. Tutto ciò non deve però indurre a trascurare che analoghi problemi si pongono pure a proposito delle ordinanze ministeriali e degli enti territoriali. In altri termini, pare fuor di dubbio che la riflessione attorno al ruolo da riconoscere al legislatore ove occorra procedere alla compressione di posizioni soggettive tutelate dalla Carta repubblicana sia suscettibile di produrre ricadute su tutti gli atti che condividono con i d.p.c.m. il medesimo carattere sub legislativo. Di conseguenza, il tema dei poteri d’intervento intestati ai diversi livelli di governo va articolato non solo nella prospettiva del decentramento e della distribuzione delle competenze, qui tenuta volutamente a margine, ma anche in quella del rapporto tra autorità e libertà [50]. Una volta individuato l’ambito oggettivo sul quale occorre concentrare l’attenzione, il passaggio successivo consiste nel precisare la natura degli atti sopra menzionati al di là della generica qualificazione, fin qui adottata, che ne sottolinea l’estraneità al novero delle fonti primarie. L’interrogativo di fondo è se essi siano riconducibili al genus delle ordinanze di necessità e urgenza che beneficiano, per consolidata giurisprudenza anzitutto costituzionale, di uno statuto giuridico assai peculiare rispetto a quello proprio degli “ordinari” atti amministrativi e regolamentari. Statuto che – è appena il caso di rammentare, trattandosi di questione ben nota – risulta imperniato sulla atipicità e sulla capacità di derogare al diritto vigente anche primario entro il limite dei principi generali dell’ordinamento, al ricorrere di situazioni emergenziali non prevedibili e non fronteggiabili con i mezzi apprestati per i tempi normali. A ben guardare, il [continua ..]


5. Le ricadute rispetto al principio di legalità e alle riserve di legge (e di giurisdizione)

Le conclusioni cui si è pervenuti in punto di natura giuridica degli atti consentono ora una trattazione unitaria dei d.p.c.m. e dei provvedimenti imputati alle altre autorità, da sviluppare alla stregua della giurisprudenza costituzionale che, fin dalla storica sent. n. 8 del 1956, ha declinato il principio di legalità e le riserve di legge rispetto alle ordinanze di necessità e urgenza. Volendo tentare di elaborare una formula di sintesi, capace di riassumere gli orientamenti di fondo del giudice delle leggi per lo meno nel significato che chi scrive ritiene a essi attribuibile, può osservarsi che a una lettura, per dir così, attenuata del principio di legalità sostanziale, tradizionalmente inteso come predeterminazione del potere amministrativo non confinata alla mera attribuzione formale del medesimo, si accompagna la riaffermazione del limite delle riserve di legge. Un efficace compendio di queste posizioni si rinviene nella sent. n. 201 del 1987 ove la Corte, portando a maturazione spunti già presenti in precedenti pronunce, per un verso afferma il necessario fondamento dei poteri di ordinanza extra ordinem su di «una specifica autorizzazione legislativa che, anche senza disciplinare il contenuto dell’atto (questo in tal senso può considerarsi libero), indichi il presupposto, la materia, le finalità dell’intervento e l’autorità legittimata»; per altro verso, rimarca l’imprescindibile rispetto delle «garanzie costituzionali», con precipuo riferimento alle riserve di legge. Sulla base poi della nota dicotomia tra riserve assolute e relative, viene enucleata la regola per la quale mentre le prime escludono le ordinanze di necessità e urgenza, le seconde le ammettono, purché però la discrezionalità dell’atto sia adeguatamente delimitata [57]. In definitiva, tali passaggi sembrano collocarsi lungo il crinale di una distinzione squisitamente quantitativa tra principio di legalità e riserve di legge relative, tale per cui le condizioni richieste per il soddisfacimento di queste ultime risultano più stringenti rispetto a quelle che integrano l’uno [58]. Ed è particolarmente significativo, ai nostri fini, che Crisafulli, nel commentare la prima sentenza costituzionale recante esplicita menzione delle riserve di legge, ne deducesse l’osservazione per la quale, [continua ..]


6. La compressione dei diritti di libertà nella situazione emergenziale, tra limiti espressi, bilanciamento e fondamentalità della salute come interesse della collettività

Resta da svolgere qualche ulteriore riflessione riguardante l’ubi consistam delle limitazioni imposte ai diritti di libertà. Il numero elevato di queste ultime, sia pure nei confini dell’elenco tassativo introdotto a partire dal d.l. n. 19 del 2020, impedisce di proporne un’analisi dettagliata, al di là di qualche esemplificazione funzionale allo sviluppo del discorso. Pertanto, quel che ci si prefigge è soprattutto il tentativo di esplicitare le condizioni richieste affinché dette misure possano ritenersi rientranti nel perimetro della Costituzione. Ragionando attorno alle principali posizioni soggettive incise dai provvedimenti emergenziali, si deve innanzitutto rilevare che motivi di ordine sanitario sono esplicitamente previsti dalla disciplina costituzionale alla stregua di possibili limiti di alcune libertà, come nel caso di quella di circolazione e soggiorno di cui all’art. 16 Cost.; e che altre disposizioni costituzionali fanno riferimento ai più ampi concetti della sicurezza e dell’incolumità pubblica (così l’art. 17, comma 3, Cost. e l’art. 41, comma 2, Cost.), ai quali vengono talora ricondotte anche esigenze legate alla tutela della salute collettiva [84]. Tuttavia, tale constatazione non risulta dirimente. Infatti, le limitazioni imposte dal complesso normativo emergenziale appaiono in molti casi andare comunque al di là di quanto consentito dal testo delle singole norme costituzionali attributive dei diritti. Valga, in proposito, l’esempio della libertà di riunione ex art. 17 Cost. Quanto alle riunioni in luogo pubblico, vero è che esse possono essere vietate preventivamente per comprovati motivi di sicurezza e incolumità pubblica; tuttavia, una parte consistente della dottrina, avallata sul punto dalla giurisprudenza amministrativa, è orientata a ritenere che tale disposizione legittimi provvedimenti limitativi puntuali e non divieti generali e astratti del tipo di quelli posti dalle normative emergenziali [85]. Riguardo poi alle riunioni in luogo privato o aperto al pubblico, oggetto di restrizioni altrettanto intense, la carta costituzionale esclude la possibilità di divieti preventivi ammettendone semmai lo scioglimento ove si svolgano in violazione dei limiti valevoli per tutte le tipologie di riunione, relativi al carattere pacifico e all’assenza di armi [86]. [continua ..]


NOTE