Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Ineffettività e incompletezza di un sistema sanzionatorio superato (di V. Nico D’Ascola, Professore ordinario di Diritto penale – Università degli studi di Reggio Calabria)


L’arsenale sanzionatorio italiano denota una estrema povertà. Si regge quasi del tutto sulla pena detentiva e carceraria. Le stesse misure alternative sono prevalentemente di tipo carcerario. Ciò basta a spiegare il drammatico fenomeno del sovraffollamento carcerario e la impossibilità di risolverlo se il legislatore non avrà il coraggio di puntare anche su pene principali non carcerarie. Così tra l’altro invertendo la radicata tendenza a scaricare il problema sanzionatorio sulla fase della esecuzione penale. Tuttavia i segnali non sembrano incoraggianti. Una timida riforma avviata con la l. delega n. 67/2014 non ha trovato attuazione.

Ineffectiveness and incompleteness of an outdated penalty system

The Italian sanctioning arsenal denotes great poverty. It is based almost entirely on the imprisonment and prison sentences. The alternative measures themselves are predominantly of prison type. This is enough to explain the dramatic phenomenon of prison overcrowding and the impossibility of solving it if legislator does not have the courage to also focus on main non-prison penalties. Thus, among other things, reversing the deep-rooted tendency to unload penalty problem on the criminal execution phase. However, the signs do not seem encouraging. A timid reform initiated with the delegated law no. 67/2014 has not been implemented.

SOMMARIO:

1. La povertà del nostro arsenale sanzionatorio e le misure alternative carcerarie - 2. La necessità di ricorrere a pene principali alternative - 3. Il malinteso mito della certezza della pena - 4. Misure alternative carcerarie e razionalità del sistema penale - 5. Una questione di compatibilità - 6. Diritto penale alluvionale e depenalizzazione - NOTE


1. La povertà del nostro arsenale sanzionatorio e le misure alternative carcerarie

Quando si parla di “povertà dell’arsenale sanzionatorio” ci si vuol riferire alla natura quasi esclusivamente detentiva, per di più carceraria, delle pene previste dal nostro sistema penale [1]. L’inadegua­tezza dell’arsenale sanzionatorio italiano costituisce una causa – non l’unica – del sovraffollamento carcerario e quindi di tutte le disfunzioni che conseguono a questa cronica emergenza [2]. Naturalmente assume pure rilievo, data l’efficacia della quale è dotata, la dimensione alluvionale – dal tasso di crescita peraltro inarrestabile – del diritto penale, che oggi si presenta anche con un’im­pronta ”populista” [3]. Né – in un quadro così delineato – può trascurarsi di considerare la esclusiva titolarità del potere punitivo in capo alla magistratura ordinaria come causa disfunzionale del sistema. Circostanza che spiega la tenace resistenza all’attuazione di una vera depenalizzazione. Ossia di una depenalizzazione finalmente coraggiosa. Resistenza che sinora ne ha garantito l’inviolabilità, malgrado sia evidente che il confine tra diritto penale e diritto amministrativo punitivo è mobile, non ha alcuna base ontologica ed è rimesso alla libera valutazione del legislatore. Il sistema sanzionatorio continua dunque ad essere centrato sulla pena detentiva quale sua esclusiva risorsa punitiva. Il diritto penale è ritenuto l’unico settore dell’ordinamento dotato di efficaci presidi punitivi che si insiste nel ritenere debbano inevitabilmente consistere nella privazione della libertà personale dei cittadini, per di più in ambienti penitenziari. Insomma, il diritto penale tende ad accentrare su di sé ogni funzione punitiva e proprio per questa ragione è ritenuto l’unica risposta adeguata in caso di commissione di reati. Ciò vale anche con riferimento alle esigenze della prevenzione generale e di quella speciale. Allorquando il legislatore ha introdotto soluzioni diverse rispetto al carcere, lo ha fatto mediante misure alternative penitenziarie [4]. Quindi, ancora una volta nel rispetto della irrinunciabilità del dogma carcero-centrico. In un simile contesto l’alternativa al carcere tendenzialmente lo presuppone (fanno eccezione i casi in cui la misura alternativa è impeditiva [continua ..]


2. La necessità di ricorrere a pene principali alternative

Già questa ultima constatazione dimostra molto più di ogni altro ragionamento perché la questione carceraria sia a tutt’oggi irrisolta. E così sarà se il legislatore non deciderà di cambiare rotta investendo anche su pene (principali) alternative non carcerarie. È ovvio infatti che l’unico modo per uscire dalla logica del carcere quale unica soluzione punitiva di tipo penalistico deve comportare il ricorso a modelli sanzionatori che già a monte lo escludano. Purtroppo, contro ogni aspettativa, i tempi si sono rivelati ancora immaturi, se è vero che una timida riforma in tale direzione, tentata con la l. delega n. 67/2014, non ha trovato attuazione nel corso della passata legislatura, lasciando il sistema punitivo invariato. Avviene così che le pene principali siano quasi tutte privative della libertà personale in carcere e le misure alternative restino riservate all’oscuro e nuovo protagonista del sistema punitivo, costituito dal processo di sorveglianza. A quest’ultimo si accede – così generando una vera e propria duplicazione – soltanto dopo che si è formato il giudicato penale a seguito della conclusione del processo di cognizione. Ne viene fuori un sistema pletorico, dai tratti contraddittori. Da un lato, sul versante del diritto penale sostanziale un legislatore sempre più pressato dalla pubblica opinione – talvolta da Lui stesso in tal direzione eccitata – è indotto a praticare incrementi sanzionatori sempre più irragionevoli e sproporzionati [5] nella supposizione che altrimenti le pene non verranno in alcun modo eseguite [6]. Dall’altro, nel contesto di un vero corto circuito si ampliano le misure alternative penitenziarie per ricomprendervi gli eccessi sanzionatori appena introdotti. In altri termini le pene detentive crescono per evitarne la neutralizzazione in fase di esecuzione e del tutto simmetricamente l’incremento sanzionatorio genera l’ampliamento delle misure alternative. Così facendo non ci si avvede del fatto che il sistema punitivo tradizionale e quello alternativo del processo di sorveglianza si inseguono in maniera del tutto circolare. Ciò senza che il carico complessivo dei processi subisca alcun decremento. Mentre è certa la duplicazione dei processi, perché a quello di cognizione immancabilmente segue quello di [continua ..]


3. Il malinteso mito della certezza della pena

Ma non basta: le misure alternative penitenziarie sono frequentemente indicate – sia pure in contesti fortemente interessati alla esasperazione politica di questi temi – come causa di una persistente e profonda sensazione di insicurezza dei cittadini. Sempre in argomento, sia pure in maniera del tutto inappropriata, si evoca anche il tema della certezza della pena della quale a gran voce si evidenzia la ormai definitiva compromissione. Da tutto ciò, sia pure in maniera manifestamente artificiosa, si fa discendere l’aumento di una criminalità descritta come ormai non arginabile. Al riguardo è invece indiscutibile che la certezza della pena – che significa certezza della punizione in caso di violazione del precetto penale – è cosa ben diversa dalla modificazione della durata della pena medesima nel corso della sua esecuzione [7]. Se ciò è vero, vi è tuttavia da osservare che il terreno sul quale ci muoviamo è estremamente delicato e poco incline a recepire le raffinate distinzioni della dogmatica penalistica. È anche per questa ragione che il penalista, nel giudicare la complessiva razionalità del sistema e i suoi effetti, non può trascurare di analizzare la realtà, sia pure senza rinunciare alla necessità di orientarla in direzione dei principi. Non è poi sbagliato tenere in conto le strumentalizzazioni alle quali l’attuale sistema è esposto, data l’incidenza che queste ultime indubbiamente esplicano su di una pubblica opinione sempre più condizionata. A noi pare sia ragionevole convenire sulla conclusione secondo la quale il bilancio delle misure alternative penitenziarie è caratterizzato da luci, ma anche da ombre [8]. Queste misure, infatti, con riferimento alle ricadute prodotte sull’agire del legislatore, generano l’accennato sospetto di aver giocato un ruolo non secondario sull’ingiustificato incremento sanzionatorio che si è registrato in questi ultimi anni. Con riferimento poi ai giudizi per reati di scarsa gravità vi è il sospetto che abbiano contribuito a rendere superficiale l’accertamento, data la prevedibile ineseguibilità della relativa sanzione detentiva. Per quanto concerne, ancora, l’idea che di esse si sono fatti i cittadini, già prima notavo che le misure alternative sono frequentemente percepite [continua ..]


4. Misure alternative carcerarie e razionalità del sistema penale

Per ciò che riguarda infine la razionalità dell’ordinamento penale, le misure alternative penitenziarie sono accusate di generarne l’ineffettività, dato che il processo di sorveglianza è additato come la fase nella quale si disfa quanto il giudice della cognizione ha definitivamente accertato. Le misure in oggetto, del resto, hanno perpetuato la logica centrata sul carcere e per di più non hanno inciso – né potevano farlo – sui tempi di celebrazione e sull’enorme numero dei processi penali. In direzione del tutto opposta, sia pure qui evidenziando alcune tra le innumerevoli sfaccettature che si colgono in una situazione così complessa, giova notare che le misure alternative penitenziarie hanno il grande merito di avere eliminato gli insopportabili effetti criminogeni delle carcerazioni di breve durata, hanno ridotto il peso della popolazione carceraria, hanno efficacemente contribuito alla difficile ma necessaria opera di gestione delle carceri, ed hanno finalmente concretizzato il principio costituzionale di rieducazione [10]. A fronte di tutto ciò ci si deve chiedere se risultati positivi ben più consistenti per l’intero sistema penale avrebbero potuto essere raggiunti ricorrendo a pene principali alternative (detentive e non carcerarie), non soltanto applicate dal giudice nel corso del giudizio, ma per di più dotate di sufficiente e proporzionata afflittività, capaci quindi di evitare già a monte, ossia nel corso dello stesso giudizio penale, la pena carceraria, nonché funzionali a deflazionare il processo di sorveglianza [11]. Per evitare equivoci del tutto ingiustificati riteniamo utile precisare che il carcere rimane la soluzione inevitabile per i reati gravi. Carcere al quale si dovrebbe aggiungere una ragionevole ma non eccessivamente dilatata offerta di misure alternative sempre di natura carceraria. Ciò anche in virtù della non sostituibilità dell’osservazione carceraria quale strumento di verifica della effettiva rieducazione a seguito di percorsi carcerari di media o lunga durata. Al contrario, le pene principali detentive non carcerarie o nemmeno detentive avrebbero dovuto trovare spazio per i reati di media gravità e per tutti quelli che si possono definire lievi [12].


5. Una questione di compatibilità

Dal quadro così tracciato emerge come le misure alternative penitenziarie e le pene principali non carcerarie non corrano il rischio di sovrapporsi e al contrario potrebbero cooperare in un sistema penale nel quale le seconde, pur escludendo la soluzione carceraria, manterrebbero l’afflittività di una sanzione meglio costruita sul tipo di illecito, garantendo anche la effettiva esecuzione del giudicato. Oltretutto, proprio perché non carcerarie, le pene alternative per definizione non pongono alcun problema di misure alternative alla loro esecuzione. Concludo insistendo sul punto. Le misure alternative carcerarie si inseriscono più armonicamente nel sistema penale solo a condizione che quest’ultimo sia munito anche delle pene alternative. Ideale sarebbe stato pertanto un intervento legislativo a “due livelli”. Misure alternative e pene principali alternative, da differenziare in relazione ai reati ai quali devono essere destinate e alla fase processuale nella quale devono essere applicate. Né la determinazione della loro durata implicherebbe interventi di particolare complessità. Basterebbe infatti ricorrere a clausole di conversione inserite nella parte generale del codice le quali assumano la pena detentiva quale parametro dal quale ricavare la durata della pena principale alternativa. Soluzione, questa, che non soltanto consentirebbe di lasciare invariate le pene attualmente prevedute per i singoli reati, ma che eviterebbe anche la frantumazione – in dipendenza del tipo di sanzione – della categoria reato, garantendone l’unitarietà nel rispetto di intuibili esigenze sistematiche. Resterebbe così inalterato il rapporto di proporzione (interno ed esterno) tra il livello di offensività di ogni singolo reato e il trattamento sanzionatorio per esso previsto.


6. Diritto penale alluvionale e depenalizzazione

È ovvio però che i gravi problemi di un diritto penale alluvionale che produce quantità ingestibili di processi – vicenda questa anch’essa complementare rispetto al problema del sistema punitivo – impone il ricorso ad una depenalizzazione significativa e finalmente dotata di effettività [13]. Sul punto si deve essere chiari. Perché la depenalizzazione produca effetti tangibili si deve rinunziare al dogma della esclusiva titolarità del potere sanzionatorio in capo alla magistratura ordinaria. Riesce infatti difficile negare che l’attuale sistema punitivo, nella sua prevalenza, sia affidato alla magistratura ordinaria, per taluni reati sia divenuto simbolico, legittimando l’amara formula “il processo come pena”. Occorrerebbe quindi trasferire ai rappresentanti dell’amministrazione dello Stato già dotati di poteri punitivi competenze attualmente riservate all’autorità giudiziaria, ovviamente con i dovuti adattamenti. Poteri da esercitarsi a mezzo di procedimenti sufficientemente garantiti, ma molto meno formalizzati e quindi molto più rapidi del processo penale, assoggettati però alle garanzie che l’art. 111 Cost. riserva ad “ogni processo”. La necessaria linea di confine tra il processo penale e quello amministrativo punitivo dovrebbe poi essere costituita dalla libertà personale. Nel senso che la compromissione di questo ultimo bene di sicura rilevanza costituzionale – nel pieno rispetto della riserva di legge e di giurisdizione di cui all’art. 13 Cost. – dovrebbe essere riservata esclusivamente alla magistratura ordinaria, nonché alle forme e agli strumenti ben più complessi e garantiti del processo penale. Tuttavia occorre convincersi del fatto che sanzioni ad esempio prescrittive, interdittive, concernenti la revoca di licenze, autorizzazioni e permessi, comportanti effetti patrimoniali e pecuniari a carico dei trasgressori – tanto per indicarne alcune – possono risultare ben più punitive rispetto alla celebrazione di processi penali soltanto simbolici perché destinati a concludersi con la prescrizione o con l’applicazione di una misura alternativa al carcere del tutto aleatoria, ma tale da comportare la necessaria celebrazione di un processo penale di cognizione e di un successivo processo di sorveglianza. Insomma, dovendo a questo [continua ..]


NOTE