Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Le misure volte a fronteggiare l'emergenza pandemica in ambito penitenziario (di Giuseppe Della Monica, Professore Associato di Procedura penale – Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale)


Le misure volte fronteggiare la grave emergenza epidemiologica da Covid-19 – connotate da eccezionalità e temporaneità – possono compendiarsi nella previsione di una ipotesi speciale di detenzione domiciliare per pene non superiori a diciotto mesi di reclusione, nell’avallo dell’estensione della detenzione domiciliare “umanitaria” di matrice giurisprudenziale, a cui è stato anche abbinato un meccanismo di revisione periodica, nonché nella estensione della durata di permessi premio e licenze.

Obiettivo immediato delle misure emergenziali era, ovviamente, quello di ridimensionare il sovraffollamento degli istituti di pena, coniugandolo – anche grazie al necessario apporto della magistratura di sorveglianza, chiamata ad operare con coraggio e lungimiranza – con le confliggenti esigenze di sicurezza sociale, di risocializzazione dei condannati, di tutela della salute di internati e operatori penitenziari.

Nel complesso, le soluzioni prospettate dal legislatore non si espongono a particolari rilievi critici, soprattutto ove si considerino la condizione di estrema urgenza sanitaria del momento e le endemiche criticità del sistema penitenziario.

Measures aimed at addressing the pandemic emergency in the prison law

The measures aimed at facing the serious epidemiological emergency from Covid-19 – characterized by exceptional and temporary nature – can be summarized in the provision of a special hypothesis of home detention for sentences not exceeding eighteen months of imprisonment, in the endorsement of the extension of “humanitarian” home detention of jurisprudential matrix, which was also combined with a periodic review mechanism, in the extension of the duration of permits and licenses.

The objective of the emergency measures was, of course, to reduce the overcrowding of prisons, combining it – also thanks to the necessary contribution of the surveillance judiciary, called to operate with courage and foresight – with the conflicting needs of social security, of resocialization of convicted, for the protection of the health of inmates and prison workers.

Overall, the solutions proposed by the legislator do not expose themselves to particular critical issues, especially when considering the condition of extreme health urgency of the moment and the endemic criticalities of the penitentiary system.

SOMMARIO:

1. L’excursus delle misure emergenziali in ambito penitenziario - 2. La detenzione domiciliare eccezionale da “Covid-19” - 3. La detenzione domiciliare per ragioni “umanitarie” e le modifiche procedimentali - 4. Il meccanismo di rivisitazione automatica della detenzione domiciliare “umanitaria” concessa per motivi correlati all’emergenza pandemica - 5. I permessi premio e le licenze da “Covid-19” - 6. Note conclusive - NOTE


1. L’excursus delle misure emergenziali in ambito penitenziario

Le misure emergenziali volte a fronteggiare il propagarsi della pandemia da Covid-19 – proposte nei plurimi interventi normativi succedutisi tra il marzo e l’ottobre del 2020 – si sono proiettate anche sull’ordinamento penitenziario, allo scopo di tutelare la salute dei detenuti e di ridurre il sovraffollamento dei luoghi di restrizione. Al primo, drammatico impatto con la calamità epidemiologica, il legislatore si è limitato a prevedere – nell’art. 10, comma 14, d.l. 2 marzo 2020, n. 9 [1] – restrizioni e divieti di accesso alle strutture penitenziarie da parte di soggetti esterni, con riferimento, peraltro, ai soli istituti ubicati nelle regioni con comuni inseriti nelle “zone rosse” [2]. In particolare, i colloqui dei condannati, degli internati e degli imputati dovevano tenersi “a distanza”, ove possibile mediante apparecchiature e collegamenti audiovisivi nella disponibilità delle singole amministrazioni, ovvero attraverso la semplice corrispondenza telefonica, praticabile anche oltre i limiti ordinari di cui agli artt. 39, comma 2, d.P.R. n. 230/2000 e 19, comma 1, d.lgs. n. 121/2018. Con l’acuirsi dell’emergenza sanitaria diveniva pressante la necessità di predisporre accorgimenti più ampi ed incisivi, che hanno trovato espressione nell’art. 2 commi 7, 8 e 9 del d.l. 8 marzo 2020, n. 11 [3]. Tuttavia, la pervicace resistenza ad ogni ipotesi di sfoltimento delle presenze inframurarie conduceva alla generalizzata estensione della c.d. “serrata”, reputata unico strumento idoneo a contenere il contagio inframurario, con l’inibizione di ogni contatto con l’ambiente esterno [4]. In tale ottica, l’art. 2 comma 9 consentiva alla magistratura di sorveglianza di sospendere – dalla data di entrata in vigore del decreto, fino al 31 maggio 2020 – la concessione dei permessi premio, ex art. 30 ter ord. penit., e del regime di semilibertà, ex artt. 48 ord. penit. e 7 d.lgs. n. 121/2018. Le modifiche normative relegavano, di fatto, i detenuti in una condizione di totale isolamento, privandoli, anche se solo temporaneamente, dei diritti essenziali. In questa prima fase, gli interventi del legislatore trascuravano del tutto la crisi da sovraffollamento degli ambienti carcerari, aspetto già estremamente problematico in via ordinaria [5] e ancor più [continua ..]


2. La detenzione domiciliare eccezionale da “Covid-19”

La detenzione domiciliare eccezionale – prevista dall’art. 123 del d.l. n. 18/2020, poi reiterata dall’art. 30 del d.l. n. 137/2020 – era destinata ad operare per il limitato periodo di tempo compreso tra il 17 marzo 2020 e il 30 giugno 2020, poi prorogata fino al 31 dicembre 2020 [11]. Tale misura consente al condannato [12], anche minorenne [13], di scontare la pena detentiva non superiore a diciotto mesi, seppure residua, presso la propria abitazione o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza. L’istituto, connotato da precipue finalità deflattive, si colloca, chiaramente, al di fuori delle logiche rieducative sottese alla fase esecutiva [14], tanto da essere escluso – al pari del modello previsto dalla legge “svuotacarceri” [15], su cui è ricalcato – dal novero delle misure alternative alla detenzione [16]. La concessione del beneficio prescinde, infatti, da ogni valutazione sulla meritevolezza del condannato e sulla effettiva idoneità di quest’ultimo a intraprendere, o proseguire, il percorso di risocializzazione. In conseguenza di uno sterile automatismo, sono esclusi dal regime di favore soggetti che hanno riportato condanne per determinate tipologie di reato o che versano in situazioni tali da giustificare, sempre nella prospettiva del legislatore, una prognosi di ricaduta nell’illecito: l’applicazione della detenzione domiciliare è inibita, cioè, ai detenuti per reati di maggiore allarme sociale, ai delinquenti abituali e professionali, ai destinatari di misure di sorveglianza particolare, ai responsabili di talune infrazioni disciplinari (incluse quelle connesse ai disordini e ai tumulti verificatisi in occasione delle restrizioni emergenziali), nonché ai soggetti privi di domicilio effettivo. Viene, così, ribadita la scelta di affidare la tutela del bene della sicurezza collettiva ad una preclusione assoluta di natura soggettiva, che – come stigmatizzato, ben prima del periodo emergenziale, dalla giurisprudenza della Corte costituzionale – «comporta una “rilevante compressione” della finalità rieducativa della pena», giacché «la tipizzazione per titoli di reato non appare consona ai principi di proporzione e di individualizzazione della pena che caratterizzano il trattamento penitenziario, mentre appare [continua ..]


3. La detenzione domiciliare per ragioni “umanitarie” e le modifiche procedimentali

Nel corso della prima fase dell’emergenza epidemiologica, l’uscita dal circuito carcerario dei condannati affetti da patologie gravi è stata conseguita, forzando l’esegesi dell’art. 47 ter comma 1-ter ord. penit., anche con la concessione della detenzione domiciliare “umanitaria”, che, come è noto, ricalca la disciplina del rinvio obbligatorio o facoltativo della pena, ai sensi degli artt. 146 e 147 c.p. [22]. L’istituto – il cui ambito operativo, coincidendo con il differimento della pena [23], presuppone condizioni di salute assolutamente incompatibili con il regime inframurario – è stato opportunamente modellato sulle esigenze sanitarie manifestatesi in conseguenza della pandemia, così da renderlo accessibile anche agli internati in condizioni di salute non del tutto inconciliabili con la detenzione intra moenia [24]. In altri termini, la fruibilità del beneficio è stata subordinata all’accertamento di condizioni di infermità fisica di gravità tale da richiedere trattamenti sanitari che, proprio in ragione delle criticità ricollegabili al Covid-19, non potrebbero essere adeguatamente somministrati nelle strutture penitenziarie. La detenzione domiciliare umanitaria non richiede, quindi, alcun vaglio preliminare di meritevolezza e non soggiace alle esclusioni soggettive connesse a tipologie di reato o a limiti quantitativi di pena, tanto da ritenersi concedibile agli ergastolani [25] o ai condannati sottoposti al trattamento di massima sicurezza ex art. 41 bis ord. penit. [26]. D’altro canto, come rimarcato dalla giurisprudenza di legittimità [27], le istanze di difesa sociale ricevono adeguata protezione nelle concrete modalità applicative della misura, che si prestano ad essere modellate dal giudice «in modo tale da contemperare il fondamentale diritto alla salute del detenuto, qualora esso sia incompatibile con la permanenza in carcere, con le esigenze di difesa della collettività in ragione della potenziale pericolosità» del condannato [28]. Tale orientamento interpretativo ha, però, sollevato aspre reazioni critiche, originate da discrasie di tipo sistematico [29] e, soprattutto, dalla concessione del beneficio a condannati per delitti ostativi, ritenuti particolarmente pericolosi [30]. È stato, quindi, necessario [continua ..]


4. Il meccanismo di rivisitazione automatica della detenzione domiciliare “umanitaria” concessa per motivi correlati all’emergenza pandemica

Con il d.l. 10 maggio 2020, n. 29, il legislatore ha apportato – esclusivamente con riferimento a particolari tipologie di reato – un importante correttivo al regime della detenzione domiciliare umanitaria concessa per ragioni sanitare da Covid-19. Al riguardo, il catalogo di specificazione delle fattispecie per le quali opera la disciplina de qua include i delitti associativi di cui agli artt. 270, 270 bis, 416 bis c.p. e 74 comma 1 d.P.R. n. 309/1990, i delitti aggravati ex art. 416 bis.1 c.p., i delitti commessi con finalità di terrorismo ai sensi dell’art. 270 sexies c.p., nonché i delitti ricompresi nel regime di massima sicurezza ex art. 41 bis ord. penit. In tali ipotesi, il magistrato o il tribunale di sorveglianza che ha concesso la detenzione domiciliare è tenuto a verificare – entro quindici giorni dall’adozione del provvedimento e, di seguito, con cadenza mensile [34] – la persistenza delle ragioni medico-sanitarie poste a fondamento della misura. Il giudice deve preventivamente acquisire, nei termini dianzi richiamati, il parere del procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato o, per i condannati sottoposti al regime di cui all’art. 41 bis ord. penit., del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Il giudizio di compatibilità della detenzione carceraria con le condizioni patologiche del detenuto non va espresso con riferimento alla singola struttura penitenziaria, ma esige la valutazione complessiva del quadro sanitario a livello regionale e nazionale: prima di assumere ogni determinazione, l’auto­rità giudiziaria deve vagliare la situazione epidemiologica territoriale e l’assistenza medica in concreto erogabile all’interno dell’istituto carcerario, acquisendo, rispettivamente, il parere dell’autorità sanitaria regionale e le opportune informazioni dall’amministrazione penitenziaria. La decisione finale deve tener conto della permanenza di motivi che possano giustificare il protrarsi della detenzione domiciliare o del differimento di pena, nonché la eventuale disponibilità di altre strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta, idonei ad evitare pregiudizi per la salute dell’inter­nato. Tale meccanismo dovrebbe consentire, da un lato, l’opportuna valutazione delle esigenze di salute del condannato, adeguando il [continua ..]


5. I permessi premio e le licenze da “Covid-19”

L’art. 29 del d.l. n. 138/2020 – rubricato «durata straordinaria dei permessi premio» – ha stabilito che, fino alla data del 31 dicembre 2020, i condannati a cui siano già stati concessi i permessi premio e che siano già stati assegnati al lavoro all’esterno o ammessi all’istruzione o alla formazione professionale all’esterno possono beneficiare dei permessi previsti dall’art. 30 ter ord. penit., anche in deroga ai limiti temporali previsti, in via ordinaria, nella misura di quindici giorni ciascuno, per un massimo di quarantacinque giorni l’anno. Ratio della disposizione è, certamente, quella di favorire il prolungamento del periodo di permanenza del condannato al di fuori dell’istituto detentivo, nella prospettiva di sfoltire la popolazione carceraria e di evitare i contatti degli internati con l’ambiente esterno [38]. Il beneficio risulta precluso ai condannati che non abbiano già fruito, in precedenza, di permessi premio e dell’assegnazione al lavoro all’esterno, per i quali si presume un giudizio di minore affidabilità: è auspicabile che l’individuazione dei due requisiti – l’aver beneficiato di permessi premio e l’essere stato assegnato al lavoro all’esterno – si ponga in termini alternativi, rendendo, altrimenti, la norma priva di effettiva proiezione applicativa [39]. Anche se non del tutto soddisfacente, la limitazione – fondata su valutazioni pregresse dell’organo giurisdizionale – consente, tuttavia, di ottenere sensibili esiti deflattivi, valorizzando il giudizio prognostico favorevole già espresso dalla magistratura di sorveglianza [40]. Permanendo nella logica del “doppio binario”, la fruibilità del beneficio è interdetta ai condannati per i delitti di cui all’art. 4 bis ord. penit., per i delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico, per i delitti di cui all’art. 416 bis c.p., o aggravati ex art. 416 bis.1 c.p., nonché per i delitti di maltrattamenti in famiglia e stalking. È stata, inoltre, introdotta una singolare ipotesi di esclusione «per connessione», nel senso che – in caso di cumulo con reati connessi a norma dell’art. 12 comma 1, lett. b) e c), c.p.p. – le limitazioni [continua ..]


6. Note conclusive

Le misure adottate dal legislatore nel fronteggiare la grave situazione epidemiologica da Covid-19 rivestono, chiaramente, natura eccezionale e temporanea, come del resto esplicitato in tutti i provvedimenti che si sono susseguiti, per i quali è stabilito un termine finale di vigenza, correlato al permanere della condizione di emergenza. Nell’immediato, l’intervento normativo è stato finalizzato alla sola tutela della salute dei detenuti e degli operatori penitenziari, rischiando, però, di comprimere i diritti fondamentali dei condannati. Il successivo mutamento di approccio – sostanziatosi nell’ampliamento dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzione – ha comportato, però, delicate implicazioni, soprattutto in merito al ruolo da assegnare alla magistratura di sorveglianza, a cui viene demandato il compito di ridurre il sovraffollamento nelle carceri, attuando il delicato bilanciamento tra garanzia collettiva di sicurezza sociale, risocializzazione dei condannati, tutela della salute di internati e operatori penitenziari. In astratto, le soluzioni percorribili potevano essere orientate in tre direzioni: la dimissione indiscriminata di ristretti con ridotto residuo di pena, scelta tempestiva ed efficace per il decongestionamento, ma carente sotto il profilo della sicurezza sociale e della risocializzazione; la dimissione selettiva, demandata alla magistratura di sorveglianza, certamente proficua ai fini del trattamento individualizzato, ma con pesanti ricadute sul carico giudiziario; la dimissione indiscriminata e selettiva, attuata basandosi sulle valutazioni positive già espresse dalla magistratura di sorveglianza, con il pregio di agevolare pronunce rapide, ma comunque capaci di cogliere esigenze e attitudini individuali del condannato [46]. Il legislatore – nel predisporre le misure emergenziali – ha attinto, in parte, a ciascuno dei tre modelli dianzi richiamati. L’accesso alla detenzione domiciliare eccezionale da Covid-19 è stato concesso indiscriminatamente – salve le preclusioni connesse al “consueto” catalogo di fattispecie ostative o a particolari condizioni soggettive – a tutti i detenuti con residuo di pena inferiore a diciotto mesi, prescindendo da ogni valutazione circa l’idoneità della misura a conseguire l’effetto risocializzante o circa la concreta pericolosità [continua ..]


NOTE