Con la sent. n. 263 del 2019 è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 121.
La Consulta ha rimosso le preclusioni e gli automatismi che non permettevano una valutazione caso per caso della concessione dei benefici penitenziari ai minorenni condannati per reati ostativi previsti dall’art.4 dell’ordinamento penitenziario
With sentence no. 263 of 2019 the Constitutional Court declared the illegitimacy of art. 2, paragraph 3, of the Legislative Decree 2 October 2018, n. 121.
The Constitutional Court removed the foreclosures to access penitentiary benefits in case of underage prisoners.
Il caso - Il lacunoso quadro normativo - L’iter argomentativo della Corte Costituzionale - Conclusioni - NOTE
Il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, in funzione di Tribunale di Sorveglianza, ha sollevato questione di illegittimità costituzionale dell’art. 2 comma 3 del decreto legislativo 2 ottobre 2018 n. 121 recante “Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in attuazione della delega di cui all’art. 1, co. 82, 83 e 85, lett. p), L. 23 giugno 2017, n. 103”; tale disposizione stabilisce che, ai fini della concessione delle misure penali di comunità, per l’assegnazione dei permessi premio e per l’assegnazione al lavoro esterno, si applica l’art 4 bis, commi 1 e 1 bis, ordin. pent. (l. 26 luglio 1975, n. 354). Nel suddetto articolo viene stabilito che la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per taluni delitti espressamente indicati, può verificarsi solo nel caso in cui il soggetto decida di collaborare con la giustizia [1]. Secondo il Tribunale di Reggio Calabria la disposizione dell’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 121 del 2018, nell’estendere ai minorenni ed ai giovani adulti preclusioni analoghe a quelle degli adulti, violerebbe gli artt. 2, 3, 27, 31, 76 e 117 Cost. e tale automatismo si baserebbe esclusivamente su una presunzione di pericolosità sociale che impedirebbe una valutazione nel caso specifico dell’idoneità del soggetto condannato alla misura alternativa alla detenzione. L’articolo in esame sarebbe, inoltre, contrario alle finalità rieducative della pena, in particolar modo non considerando il diritto del minore ad una valutazione personale ed al ricorso, ogni qualvolta sia possibile, a misure alternative alla detenzione. Il giudice a quo ha ritenuto che l’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 121 del 2018 escluderebbe la possibilità di concedere misure penali diverse dalla detenzione in caso di reati ostativi, previsti dall’art. 4-bis ordin. penit., non tenendo in alcuna considerazione i peculiari bisogni del detenuto minorenne ed impedendone a priori il reinserimento nella società per tutta la durata della pena [2]. Ciò, peraltro, inficerebbe il recupero dello stesso reo minore. La questione affrontata e sollevata dal giudice rimettente risulta di particolare rilevanza in quanto investe quei soggetti che non hanno ancora raggiunto la maggiore età e che, proprio per le loro peculiarità, sono stati sempre tenuti in grande [continua ..]
Prima di affrontare nello specifico la questione risolta dalla Corte costituzionale appare necessario disegnare il quadro normativo entro il quale la stessa si inserisce. Il d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 121, denominato “Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 81, 83 e 85, lettera p), della legge 23 giugno 2017, n. 103” ha riformato la legge di ordinamento penitenziario, apportando rilevanti novità in materia di esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni [4]. Va innanzitutto evidenziato che dall’entrata in vigore della legge di ordinamento penitenziario (L. n. 354 del 1975), l’ambito minorile non aveva ricevuto alcuna specifica regolamentazione ma veniva assimilato all’esecuzione della pena nei confronti degli adulti. In particolare, l’art. 79, comma 1. ordin. penit., rubricato “Minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali. Magistratura di sorveglianza” conteneva in via generale un’estensione della disciplina esecutiva prevista per gli adulti anche ai condannati minorenni. La provvisorietà e transitorietà di questa previsione era evidenziata nel primo comma di questo stesso articolo, laddove si indicava espressamente la necessità di creazione di un apposito ordinamento penitenziario minorile, con il prevedere l’applicabilità delle norme di Ordinamento penitenziario anche nei confronti dei soggetti minorenni sottoposti a misure penali, fintantoché non si fosse provveduto «con apposita legge» [5]. Siffatta riserva di legge è, però, rimasta inascoltata per oltre quarant’anni. Il d.lgs. n. 121 del 2018, nato da un impulso della Corte costituzionale, la quale si è più volte espressa circa l’assenza di un adeguamento delle norme dell’ordinamento penitenziario alle esigenze riabilitative del condannato minorenne [6], ha tentato di rimediare alla situazione esistente, del tutto paradossale, che vedeva la tutela delle esigenze educative garantita a pieno nell’intero processo minorile, tanto da forgiarne «in modo peculiare la struttura (basti pensare ai provvedimenti di diversion o alla connotazione educativa assegnata alle misure cautelari extra carcerarie)», ma che poi veniva meno proprio nella fase di esecuzione della pena, ovvero in quel [continua ..]
Se, dunque, appare chiara la finalità della pena, sia a livello italiano che a livello internazionale [37], è proprio alla luce di queste considerazioni che nella sentenza che si annota la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 121, ritenendo che violasse gli artt. 76, 27, comma 3, e 31, comma 2, Cost., oltre ad essere in contrasto con le norme internazionali. È stato posto l’accento su talune questioni fondamentali, tra cui l’automatismo dell’esclusione da alcuni benefici a causa di una presunzione di pericolosità sociale e la funzione rieducativa della pena, soprattutto quando il condannato è un minore ovvero un giovane adulto. Questioni, queste, strettamente connesse tra loro: numerose norme internazionali, tra cui quelle previste dalle “Regole di Pechino”, evidenziano non solo l’importanza della valutazione “caso per caso” dei soggetti condannati minori, ma soprattutto la necessità di imporre la detenzione in carcere come extrema ratio e cioè solo dopo aver escluso la possibilità di applicare pene alternative alla detenzione. Quest’ultima, infatti, si concentra più su finalità punitive ed afflittive, rispetto a quelle di recupero e di rieducazione, bisogni del minorenne che non possono essere ignorati dall’ordinamento [38]. Il diritto processuale penale e quello sostanziale, infatti, non posso prescindere dalla considerazione che la personalità del minore necessita di attenzioni diverse da quelle che vanno tenute in considerazione nel caso in cui il condannato sia un adulto: la personalità dei minori, per natura mutevole a seconda del contesto in cui i minori hanno vissuto e della loro maturità personale, impone al giudice di operare sempre una attenta e meticolosa analisi del soggetto condannato, valutando di volta in volta se la detenzione in carcere è necessaria o se, viceversa, non sia praticabile una strada alternativa. La Corte costituzionale ha poi sottolineato, come del resto aveva già fatto [39], l’incostituzionalità dell’automatismo nella concessione dei benefici penitenziari, che dovrebbero invece essere concessi a seconda delle peculiarità del soggetto e calati nel contesto del caso specifico. Diversamente, le finalità di prevenzione generale e [continua ..]
Va, allora, salutato con plauso l’accoglimento da parte della Corte costituzionale della questione di legittimità sollevata dal Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria, che ha consentito di evidenziare (recte: ribadire) la prevalenza della finalità rieducativa della pena rispetto a quella punitiva soprattutto in caso di condannati minorenni. Questi ultimi, infatti, potranno comunque accedere ai benefici penitenziari anche se dopo la condanna hanno deciso di non prestare la loro collaborazione alla giustizia. La Corte costituzionale ha così confermato il suo orientamento in materia di condannati minori, avendo già, a partire dal 1978, avversato preclusioni all’accesso alle misure alternative alla detenzione, come anche la revoca automatica di esse. Nel ribadire che la detenzione in carcere in caso di soggetti minori o di giovani adulti deve essere considerata l’extrema ratio, la Corte ha voluto sgombrare il campo da possibili fraintendimenti sull’obiettivo primario di tutta la giustizia minorile, che deve essere quello del reinserimento sociale e della risocializzazione del reo. L’obbligo costituzionale di protezione della gioventù impone non solo la tutela del soggetto minore, ma anche la valutazione specifica del soggetto condannato al fine di tutelarne la persona e la formazione [51]. Questo potrebbe essere il primo reale passo verso la previsione di un sistema sanzionatorio alternativo al carcere basato su pene ontologicamente differenti dalla detenzione: ciò oltre a contrarre l’affluenza negli istituti penali permetterebbe anche di vedere la pena in una prospettiva del tutto differente.