Con la pronuncia in commento le Sezioni Unite della Corte di cassazione, al termine di un’approfondita analisi delle fonti e ponendosi in un’ottica di bilanciamento concreto degli interessi in campo, hanno stabilito che il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. deve essere iscritto nel casellario giudiziale, fermo restando che non ne deve essere fatta menzione nei certificati rilasciati a richiesta dell’interessato, del datore di lavoro e della pubblica amministrazione.
After an in-depth analysis, the Grand Chamber of the Supreme Court stated that the decision to dismiss the case, for petty offences (based on art. 131-bis c.p.), must be reported in the defendant’s criminal record. However, this shall not be mentioned in the transcript requested by the individual, her employers or the public administration.
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La vicenda in breve - L’archiviazione per particolare tenuità del fatto: la natura dell’istituto - Iscrizione del provvedimento di archiviazione nel casellario giudiziale - L’iter argomentativo delle Sezioni Unite - NOTE
Con la sentenza in esame, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affrontato una questione dai tratti delicati e controversi, avente ad oggetto il dovere di iscrivere nel casellario giudiziale il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p., ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. f), d.p.r. 14 novembre 2002, n. 313 come modificato dall’art. 4 del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28. Nella vicenda sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite, il Tribunale di Salerno aveva disposto con ordinanza la cancellazione dal casellario giudiziale del provvedimento con cui il GIP di Nocera aveva ordinato, ai sensi dell’art. 411 comma 1 bis c.p.p., l’archiviazione per particolare tenuità del fatto del procedimento, posto il carattere di non definitività del provvedimento. Avverso l’ordinanza ricorreva il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, chiedendone l’annullamento e deducendo la violazione dell’art. 3, comma 1, lett. f), d.p.r. n. 303 del 2002 da parte del giudice del merito. La prima Sezione della Corte rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite con provvedimento del 27 febbraio 2019.Con la sentenza in esame, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affrontato una questione dai tratti delicati e controversi, avente ad oggetto il dovere di iscrivere nel casellario giudiziale il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p., ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. f), d.p.r. 14 novembre 2002, n. 313 come modificato dall’art. 4 del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28. Nella vicenda sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite, il Tribunale di Salerno aveva disposto con ordinanza la cancellazione dal casellario giudiziale del provvedimento con cui il GIP di Nocera aveva ordinato, ai sensi dell’art. 411, comma 1-bis, c.p.p., l’archiviazione per particolare tenuità del fatto del procedimento, posto il carattere di non definitività del provvedimento. Avverso l’ordinanza ricorreva il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, chiedendone l’annullamento e deducendo la violazione dell’art. 3, comma 1, lett. f), d.p.r. n. 303 del 2002 da parte del giudice del merito. La prima Sezione della Corte rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite con provvedimento del 27 [continua ..]
Al fine di cogliere nel dettaglio la decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte appare opportuna una breve analisi della disciplina riguardante il procedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto e della specifica natura del provvedimento. Il d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, emanato in attuazione della delega conferita al Governo con la legge 28 aprile 2014, n. 67 [4], ha introdotto nel processo penale ordinario l’istituto della “particolare tenuità del fatto” (art. 131-bis c.p.), ovvero l’esclusione della punibilità in presenza di un fatto che, pur essendo tipico (e, dunque, offensivo), antigiuridico e colpevole, sulla base di criteri legislativamente indicati, risulta in concreto privo di un significativo disvalore. La ratio dell’intervento legislativo rispondeva ad una duplice esigenza. Da un lato, si intendeva attuare il principio di proporzionalità del diritto penale, evitando di sanzionare, in ossequio al canone dell’extrema ratio, condotte che, nel caso specifico, risultavano immeritevoli di pena, rendendo la declaratoria di tenuità del fatto una vera e propria necessità di giustizia, in considerazione della, ormai, acquisita consapevolezza dogmatica dei limiti della tipicità penale [5]. Dall’altra parte, si voleva perseguire l’obiettivo della deflazione processuale, ossia l’esigenza di ridurre il carico giudiziario e di restituire effettività al principio di obbligatorietà dell’azione penale [6]. Premesso ciò, il legislatore, in sede di adeguamento della normativa processuale, rendeva applicabile la nuova causa di non punibilità sin dalla fase delle indagini preliminari come una causa di legittima rinuncia all’esercizio dell’azione penale [7]. Il risultato è stato l’introduzione di una peculiare ipotesi di archiviazione per particolare tenuità del fatto, a cui è stata destinata una procedura ad hoc ai sensi dell’art. 411, comma 1-bis, c.p.p. Sin da subito, la dottrina si è interrogata sulla possibilità di classificare suddetta archiviazione, o in iure o in facto. Posta la sua collocazione normativa all’interno dell’art. 411 c.p.p., si potrebbe ragionevolmente ricondurre alla prima soluzione, la quale, però, fatica ad essere accettata, in quanto le [continua ..]
Com’è noto, l’art. 4 d.lgs. n. 28 del 2015 ha modificato il d.p.r. n. 313 del 2012, integrando l’art. 3 – dedicato ai provvedimenti iscrivibili – con l’aggiunta al testo originario della lett. f) della seguente espressione «nonché quelli che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’art. 131 bis c.p.» [16]. La ratio di tale iscrizione sembrerebbe, per alcuni, quella di garantire un sistema di registrazione delle decisioni che accertano la particolare tenuità del fatto, al fine di verificare il requisito della “non abitualità” che, in base all’art. 131-bis, comma 3, c.p., è escluso nel caso in cui l’indagato/imputato abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità. La modifica ha comportato, fin qui, negli anni non poche difficoltà interpretative che possono cogliersi, altresì, nella ricostruzione giurisprudenziale fornita dalle Sezioni Unite nella pronuncia in commento [17]. Parte della dottrina e giurisprudenza di merito hanno ritenuto che dal testo della disposizione si evinca come debbano essere iscritti nel casellario giudiziale non solo tutti i provvedimenti giudiziari definitivi, ma anche i decreti e le ordinanze di archiviazione (e le sentenze di non luogo a procedere), che non assumono mai connotati di autentica definitività, al fine di rendere possibile la valutazione del giudice circa la sussistenza del requisito ostativo dell’abitualità del comportamento [18]. A contrariis, altro orientamento della dottrina ritiene che quella di cui sopra sia un’interpretazione da respingere perché in contrasto con la lettera della legge e con la natura stessa dell’istituto: la congiunzione «nonché quelli» richiamerebbe in modo inequivoco l’incipit dell’elenco, ossia «i provvedimenti giudiziari definitivi», concetto destinato a comprendere solo le sentenze e i decreti penali passati in giudicato, rispetto al quale il provvedimento di archiviazione è estraneo. Proseguendo con tale chiave di lettura, anche la sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. non dovrebbe essere iscritta nel casellario giudiziale, in quanto suscettibile di revoca a norma dell’art. [continua ..]
L’interpretazione a cui giunge la Corte di cassazione a Sezioni Unite si pone in linea con la voluntas legis, espressa nella Relazione di accompagnamento al decreto legislativo, la quale in più passaggi presuppone l’iscrizione dei provvedimenti di archiviazione, in particolare laddove si afferma che «la non punibilità comporta comunque un’affermazione di responsabilità, dalla quale, tuttavia non derivano effetti e conseguenze penali diversi da quello dell’iscrizione del provvedimento nel casellario giudiziale». In altro passaggio, poi, si precisa che «posta la necessità di iscrivere nel casellario giudiziale il provvedimento di applicazione del nuovo istituto, ancorché adottato mediante decreto di archiviazione, ne viene che l’indagato potrebbe avere interesse ad evitare tale effetto sfavorevole in quanto eventualmente preclusivo di una futura fruizione dell’irrilevanza, mirando invece ad ottenere un risultato pienamente liberatorio»; ed ancora, vi si legge che «il requisito della non abitualità del comportamento […] impone un sistema di registrazione delle decisioni che accertano la particolare tenuità del fatto che comprenda ovviamente anche i provvedimenti di archiviazione adottati per tale causa» [23]. Sembrerebbe, dunque, la stessa relazione collegare strettamente i tre profili, concernenti l’archiviazione garantita, l’iscrizione nel casellario giudiziale ed il realizzarsi della causa ostativa. Di conseguenza, l’interpretazione della Suprema Corte rispetterebbe altresì la ratio della speciale procedura di archiviazione ai sensi dell’art. 411, comma 1-bis, c.p.p. La pronuncia poggia le sue basi su un’approfondita ricostruzione del quadro normativo di riferimento e dell’evoluzione degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità sulla questione oggetto di rimessione. La Corte avvia la trattazione esponendo come la vigente regolamentazione del casellario giudiziale, introdotta dal d.p.r. 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di casellario europeo, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti) abbia sostituito la disciplina contenuta precedentemente nel codice di rito e nel R.D. 18 giugno 1931, n. 778. Nel [continua ..]