Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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L´Italia e la mancata repressione dei crimini internazionali (di Rita Lopez, Ricercatrice confermata di Procedura penale – Università di Roma Tor Vergata)


Il ritardo ultraventennale della trasposizione nel diritto interno delle categorie delittuose contemplate dallo Statuto di Roma, non ha permesso all’Italia di agire in qualità di Stato parte secondo la primacy implicata dal principio di complementarietà alla base del riparto di giurisdizione tra Corte penale internazionale e Stati parte. Il disegno di legge governativo per l’introduzione di un codice dei crimini internazionali che dovrebbe porre fine a questa inaccettabile situazione, ha inopinatamente estromesso i crimini contro l’umanità. La decisione si ripercuote negativamente sulla complessiva manovra di adeguamento al “diritto di Roma” che pur se dovesse andare in porto, impedirebbe comunque al nostro Paese di attivarsi nel contrasto alla impunità dei core crimes, cui gli ordinamenti nazionali sono tenuti ad impegnarsi nel segno di una azione corale, indefettibile condizione di effettività del suo esercizio. Lo stesso insuccesso si registrerebbe anche sul versante della giurisdizione penale universale, paradossalmente proprio ora che la legge in divenire provvede ad ampliarne l’ambito operativo.

Italy and the failure to repress international crimes

The more than twenty years delay of the transposition into domestic law of the crime categories contemplated by the Rome Statute has not allowed Italy to act as a State Party according to the primacy implied by the principle of complementarity underlying the allotment of jurisdiction between the International Criminal Court and States Parties. The government bill for the introduction of a Code of international crimes, wich is supposed to put an end to this unacceptable situation, has unexpectedly excluded crimes against humanity. The decision has negative repercussions on the overall maneuver to adapt to the ‘law of Rome’ which, even if it were succeed, would still prevent our country from taking action to combat the impunity of core crimes, to which the national legal systems are obliged to commit themselves in the name of a choral action, an indefectible condition for the effectiveness of its exercise. The same failure would also be registered on the side of universal criminal jurisdiction, paradoxically just now that the law in making provides for expanding its operaational scope.

SOMMARIO:

1. L’adeguamento allo Statuto di Roma: aspettando il codice che verrà - 2. L’auspicabile estensione del criterio di giurisdizione universale - NOTE


1. L’adeguamento allo Statuto di Roma: aspettando il codice che verrà

Davanti delle sfide sempre più complesse che impegnano la giustizia penale internazionale, da ultimo quella delicatissima posta dallo spaventoso conflitto israelo-palestinese [1] – per certi versi, banco di prova della indipendenza della Corte dell’Aja – lascia sgomenti la scelta di retroguardia effettuata dal Governo italiano nel mettere mano alla operazione di adeguamento domestico dello Statuto della Corte penale internazionale [2]. Alla soddisfazione per l’annuncio, nel marzo 2023, di un disegno di legge per l’emanazione di un codice dei crimini internazionali, lungamente atteso e auspicato, è seguita la delusione di constatare che il testo oggetto della proposta, da un lato, ha stralciato i crimini contro l’uma­nità, dall’altro ha omesso ogni riferimento al genocidio [3]. Una simile decisione oltre a non trovare, per lo meno apparentemente, una ragione plausibile, se non l’ulteriore approfondimento di cui i primi necessiterebbero [4], compromette in partenza l’efficacia della iniziativa legislativa finalizzata a introdurre le disposizioni necessarie per sottoporre alla giurisdizione italiana i crimini previsti dallo Statuto di Roma. Anche in ipotesi di esito positivo dell’iter parlamentare di approvazione, la previsione dei soli war crimes e degli atti di aggressione determinerebbe un deficit di tutela rispetto alla competenza per materia devoluta alla CPI, con il singolare scenario di una giurisdizione nazionale attivabile “a macchia di leopardo” rispetto ad eventi che per quanto connotati da pari lesività, alcuni verrebbero sanzionati e altri no, con il conseguente determinarsi di irragionevoli zone franche [5]. Cosa, come e quando si deciderà riguardo ai crimina iuris gentium estromessi de lege ferenda, al momento pare difficile da pronosticare: diversamente dalla parossistica produzione normativa che, nell’e­poca del panpenalismo, si registra sul versante interno, tutt’altra propensione mostra il legislatore italiano per il diritto internazionale penale, oggetto di interventi episodici e «curiosamente fuori fuoco rispetto ai reali obiettivi della giustizia penale internazionale» [6]. Tale pressoché inesistente regolamentazione si riflette del resto, nella l’esiguità delle iniziative giudiziarie in materia [7]. Storicamente, questo disinteresse prende [continua ..]


2. L’auspicabile estensione del criterio di giurisdizione universale

L’«opzione di segno chiaramente regressivo» [1] in cui si è risolta la decisione governativa, non solo costringerà il giudice italiano a fare un passo indietro rispetto alle istanze punitive reclamate da un crimine contro l’umanità contro il quale dovrebbe, invece, procedere in via di primacy nel sistema multilivello condiviso con la CPI, ma ne precluderà anche l’azione che fondata sulla giurisdizione universale quale criterio di radicamento della competenza, lo autorizzerebbe a intervenire relativamente al crimine internazionale commesso all’estero non in danno dello Stato italiano, né di un cittadino italiano, per mano di uno straniero presente sul nostro territorio. Come si apprende dal resoconto della seduta del Consiglio dei ministri che proponeva il codice ad hoc sui crimini internazionali, il disegno di legge prevede, infatti, l’ampliamento della giurisdizione penale universale cosi da consentire l’accertamento dei crimini ovunque commessi, a condizione che il presunto autore si trovi sul territorio nazionale. Almeno sotto questo profilo, si è fatto tesoro, perciò, delle indicazioni messe a punto nel Codice dei crimini internazionali licenziato dalla Commissione Palazzo – Pocar [2] che allinenadosi al trend seguito oramai da numerosi paesi e non, provvede a estendere il regime della giurisdizione in senso universale, ma condizionata. Con una modifica siffatta, il nostro paese potrebbe finalmente rendersi parte attiva nella repressione dei reati connotati da macroscopico disvalore di evento, conformemente al ruolo di sempre maggiore rilievo che gli ordinamenti domestici sono chiamati a svolgere nel dare effettività al sistema di giustizia internazionale, del quale la CPI «is a hub, it is not an apex court». come ribadito anche di recente dal Procuratore dell’Aja Khan [3]. La relazione esplicativa della bozza di articolato di tale Progetto chiarisce che l’obiettivo in questione è stato raggiunto senza esorbitare dal quadro ordinario delle previsioni codicistiche sulla applicazione della legge penale nello spazio: in particolare i crimini internazionali sono stati assimilati a quelli commessi in territorio estero per i quali è prevista ai sensi dell’art. 7, n. 5, c.p., la punibilità incondizionata in base al principio di universalità, ossia ogni altro reato per il quale [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2024