Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La disciplina delle intercettazioni (ancora) nel mirino legislativo: chiose a margine della l. 9 ottobre 2023, n. 137 (di Federica Centorame, Professoressa associata di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Roma Tre)


Con la legge approvata lo scorso 9 ottobre 2023, n. 137, il legislatore è tornato ancora una volta a rimodulare le previsioni normative in materia di intercettazioni di comunicazioni. Continua, dunque, il lavorio legislativo che, ormai da diversi anni, interessa senza sosta la disciplina di settore, ad eloquente riprova della insuperabile difficoltà di conciliare i diversi valori coinvolti dall’attività captativa: esigenze di accertamento, protezione del diritto alla riservatezza e garanzie difensive.

The regulation of wiretapping (still) in the legislative viewfinder: remarks in the margin of Law No. 137 of 9 October 2023

With the law passed on 9 October 2023, No. 137, the legislator has once again reshaped the regulatory provisions on wiretapping. Thus, the legislative work that has been relentlessly affecting the sector’s regulations for several years now continues, as eloquent proof of the insuperable difficulty of reconciling the different values involved in wiretapping activities: the need to ascertain, the protection of the right to privacy and defensive guarantees.

SOMMARIO:

1. Il perenne assillo delle norme sulle captazioni occulte, fra esigenze investigative e tutela delle garanzie - 2. L’indole autoritaria dell’ultimo riformatore dietro un’ennesima estensione delle regole intrusive di doppio binario - 3. Luci e ombre nelle nuove statuizioni a presidio dei diritti individuali coinvolti dalle attività captative - 4. Ritocchi di “chirurgia resettiva” sul divieto di circolazione degli esiti captativi a norma dell’art. 270, comma 1, c.p.p. - NOTE


1. Il perenne assillo delle norme sulle captazioni occulte, fra esigenze investigative e tutela delle garanzie

Non sembra esservi davvero mai pace per la disciplina normativa in tema di intercettazioni di comunicazioni. Al riguardo, infatti, si registra, da tempo, un incessante lavorio nomopoietico e di continua messa a punto di taluni aspetti dell’istituto pure già riformati in precedenza, quale sintomo della estrema difficoltà di rinvenire, in tale ambito, un’apprezzabile sintesi dei molteplici interessi coinvolti dalle attività di captazione: esigenze di accertamento processuale, effettività della difesa, garanzie di riservatezza e prerogative connesse al diritto di cronaca [1]. Una volta in più, dopo reiterati interventi di modifica, susseguitisi soprattutto negli ultimi sei anni [2], il riformatore processuale ha voluto cimentarsi con un simile impegno compensativo tra istanze eterogenee. Mediante l’emanazione, dapprima, del d.l. 10 agosto 2023, n. 105, recante “Disposizioni urgenti in materia di processo penale, di processo civile, di contrasto agli incendi boschivi, di recupero dalle tossicodipendenze, di salute e di cultura, nonché in materia di personale della magistratura e della pubblica amministrazione” e, a seguire, della relativa legge di conversione 9 ottobre 2023, n. 137, Governo e Parlamento hanno messo ulteriormente a nuovo la regolamentazione dell’istituto in esame, apportandovi rettifiche e correttivi di non poco momento, con riguardo ad aspetti nevralgici di definizione della fattispecie captativa. L’opera di ennesimo restyling spazia, così, dal prevedere innovati requisiti sostanziali di ammissibilità del mezzo intrusivo, all’innesto di modifiche concernenti la procedura esecutiva delle operazioni di captazione, sino ad un rimaneggiamento dell’assetto relativo al possibile utilizzo trasversale dei risultati appresi per il tramite dell’ascolto clandestino. Ancor prima di un esame dei contenuti specifici del recente provvedimento normativo, è, però, l’ambivalente logica di fondo che ne sostiene la fisionomia ad impegnare la riflessione dell’interprete. Da un lato, infatti, essa appare orientata – con le parole della Relazione di accompagnamento alla neonata disciplina – dalla finalità «di garantire un’efficace azione di contrasto a gravi forme di criminalità e rendere più organico il sistema processuale» [3]. Ciò che risulta [continua ..]


2. L’indole autoritaria dell’ultimo riformatore dietro un’ennesima estensione delle regole intrusive di doppio binario

Lungo la prima delle richiamate direttrici funzionali su cui fa perno la disciplina normativa di recente approvazione, vale a dire quella rivolta ad un ulteriore rafforzamento del paradigma autoritario del doppio binario procedimentale, si inscrive senz’altro la previsione contemplata dall’art. 1 l. n. 137/2023, già introdotta pure in via di decretazione d’urgenza. Stabilisce, in particolare, il predetto art. 1 che «le disposizioni di cui all’articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, si applicano anche nei procedimenti per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 452-quaterdecies e 630 del codice penale, ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dal­l’articolo 416-bis del codice penale o al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo». Vale a dire, insomma, che ragionando ancora una volta per tipologie di reato e di fenotipo criminale, il legislatore del 2023 ha individuato, nell’ambito delle regole ad uso della fattispecie captativa, ulteriori statuti differenziali [1], idonei a derogare, ratione criminis, ai princìpi generali che presiedono l’impiego dello strumento d’indagine intrusiva ai fini dell’accertamento dei reati comuni. Per tale via, le ipotesi specifiche del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies c.p.) e del sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.), nonché, in generale, ciascun episodio delittuoso non meglio qualificato, per la cui realizzazione ci si sia avvalsi del metodo mafioso, vengono, così, assoggettati ai presupposti meno stringenti che autorizzano l’uso delle intercettazioni, nel contrasto al crimine organizzato. In deroga alla disciplina ordinaria contemplata dall’art. 267 c.p.p., bastano, qui, notoriamente, “sufficienti indizi” di reato, in luogo di un sostrato indiziario connotato da gravità; il ricorso al mezzo intrusivo in parola deve risultare “necessario” e non “indispensabile”, potendo esso protrarsi per periodi minimi di quaranta giorni anziché soltanto di quindici; è consentita la captazione in luoghi di privata dimora “anche se non vi è motivo di ritenere che (ivi) si stia [continua ..]


3. Luci e ombre nelle nuove statuizioni a presidio dei diritti individuali coinvolti dalle attività captative

A compensare parzialmente un simile rischio di menomazione delle prerogative individuali, la l. n. 137/2023 si è fatta carico di altrettante modifiche alla disciplina dell’atto captativo, il cui registro, lo si accennava in esordio, appare indirizzato in favore di una maggior tutela dei diritti e delle garanzie suscettibili di venire pregiudicati dalla intrusione occulta. Converge, anzitutto, in questa ulteriore direzione funzionale, l’intervento correttivo apportato sul testo dell’art. 267, comma 1, c.p.p., con particolare riferimento al decreto autorizzativo dell’attività di intercettazione compiuta a mezzo Trojan virus. In proposito, si è stabilito che il provvedimento giurisdizionale con cui venga autorizzato l’inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile debba «espo[rre] con autonoma valutazione le ragioni che rendono necessaria, in concreto, tale modalità di svolgimento delle indagini». L’interpolazione, così realizzata, della formula legislativa mira a rafforzare l’onere argomentativo in capo al giudice, ogni qualvolta sia avanzata dal pubblico ministero richiesta di avvalersi dello strumento massimamente intrusivo. Anziché potersi limitare, in linea col tenore previgente della norma, ad una semplice “indicazione” delle ragioni di supporto all’uso dell’intercettazione itinerante, l’organo giurisdizionale è attualmente chiamato a svolgere un sindacato critico in ordine all’istanza dell’inquirente, in modo da dimostrare di aver maturato il proprio originale convincimento circa la sussistenza dei presupposti che giustificano l’atto di più grave ingerenza nella sfera individuale. In quest’ottica, pure si spiega il richiamo specifico, operato dal legislatore del 2023, al carattere di concretezza degli elementi idonei ad asseverare la necessità della captazione informatica. Al riguardo, non basta riferirsi al software spia in termini di una sua efficacia ottimale astratta a fini investigativi, occorrendo, bensì, la puntuale esposizione delle circostanze di fatto che impongono lo svolgimento dell’attività captativa di massima intrusività, a preferenza dei moduli di captazione tradizionale [1]. Si tratta, va detto, di un’opera di restauro normativo che, in linea di principio, merita sicuro apprezzamento. Essa, [continua ..]


4. Ritocchi di “chirurgia resettiva” sul divieto di circolazione degli esiti captativi a norma dell’art. 270, comma 1, c.p.p.

Resta, a questo punto, da dedicare qualche breve chiosa all’ultima modifica di settore operata dalla l. n. 137/2023, in ordine al divieto di utilizzo trasversale delle intercettazioni, a norma dell’art. 270 c.p.p. «Rompicapo fra i più ostici della procedura penale» [1], la regola di esclusione probatoria stabilita dal comma 1 del citato art. 270 c.p.p., lungi dal precludere qualsivoglia impiego dei risultati delle captazioni al di fuori del singolo procedimento nel quale l’intrusione occulta sia stata in origine legittimamente disposta, contempla ipotesi derogatorie che, soprattutto in tempi recenti, si sono estese in modo così ampio da «risultare persino inappropriato continuare a discutere di regime eccezionale» [2]. Complice, fra l’altro, l’insofferenza di talune frange più oltranziste della magistratura requirente rispetto a limiti troppo severi di recupero probatorio del captato aliunde [3], la disciplina sancita dalla norma in parola è finita, infatti, sotto la speciale osservazione giurisprudenziale e normativa [4] il cui congiunto operare ha condotto ad una sorta di «“licenza di intercettare” che rende utilizzabile la prova per qualsiasi reato emerga dalla captazione» [5]. Tale era il senso fatto palese dal dato letterale del predetto art. 270, comma 1, c.p.p., nella versione appena precedente a quella confezionata dall’ultimo riformatore. La disposizione de qua stabiliva, in particolare, che «i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’art. 266, comma 1». Nonostante i contrari e apprezzabili sforzi esegetici della dottrina più sensibile [6], l’impiego testuale della congiunzione “e”, ivi apposta per separare il richiamo «ai delitti per i quali è obbligatorio l’arresto» dal riferimento ai «reati di cui all’art. 266, comma 1», era valso ictu oculi a garantire una massima operatività alla circolazione del captato, potendo il divieto d’uso ulteriore delle captazioni venire derogato tanto in procedimenti diversi per delitti di particolare gravità e allarme [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2024