Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Presente e futuro sugli effetti ex d.lgs. n. 231/2001 della cancellazione della società tra "apparenza" e "realtà" (di Daniele Piva, Professore associato di Diritto penale – Università degli Studi di Roma Tre)


A fronte di un orientamento apparentemente consolidato secondo cui, in ossequio al principio di personalità di cui all’art. 27 Cost., la cancellazione dal registro delle imprese determina per l’ente l’estinzione dell’illecito amministrativo ex d.lgs. n. 231/2001 analogamente a quanto accade per il reato in caso di morte della persona fisica ex art. 150 c.p. affiorano pronunce, ad oggi tendenzialmente isolate, volte ad affermare il principio della perpetuatio della responsabilità dell’ente per fatti anteriori con il solo effetto del passaggio diretto della titolarità dell’impresa ai soci. Ma i tempi non sembrano ancora maturi per rinvenire un contrasto giurisprudenziale, sia pur potenziale, in grado di supportare una remissione alle Sezioni Unite, dovendosi piuttosto ancora elaborare validi criteri di distinzione tra cancellazione fisiologica e patologica.

Present and future on the effects pursuant to Legislative Decree 231/2001 of the cancellation of the company between "appearance" and "reality"

In the face of an apparently consolidated orientation according to which, in compliance with the principle of personality referred to in art. 27 of the Constitution, cancellation from the business register determines for the entity the extinction of the administrative offense pursuant to Legislative Decree 231/2001 similarly to what happens for the crime in the event of death of the natural person pursuant to art. 150 criminal code rulings emerge, which to date have tended to be isolated, aimed at affirming the principle of the perpetuatio of the entity’s liability for previous facts with the sole effect of the direct transfer of ownership of the company to the shareholders. But the time does not yet seem ripe to find a jurisprudential conflict, even a potential one, capable of supporting a referral to the United Sections, as it is still necessary to develop valid criteria for distinguishing between physiological and pathological cancellation.

  Mancata estinzione dell’illecito previsto dal d.lgs. n. 231/2001 per cancellazione della società   MASSIMA: La cancellazione dell’ente dal registro delle imprese non determina l’estinzione dell’illecito previsto dal d.lgs. 8 giugno 2001. n. 231 commesso nell’interesse e a vantaggio dello stesso, non venendo meno i rapporti sorti anteriormente ma determinandosi solo il passaggio diretto della titolarità dell’impresa ai singoli soci.   PROVVEDIMENTO: (Omissis). RITENUTO IN FATTO Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Genova, riformando la sentenza resa il 7 novembre 2019 dal Tribunale di Genova e appellata dal pubblico ministero, ha dichiarato la responsabilità di B.A., A.V. e Q.M. in ordine al reato di truffa aggravata loro in concorso ascritto, condannandoli alla pena ritenuta di giustizia e concedendo i doppi benefici. Inoltre ha dichiarato la responsabilità amministrativa ai sensi dell’art. 24 D.Lgs. n. 231 del 2001nei confronti della (Omissis), relativamente al reato ascritto a B.A.; nei confronti di (Omissis) srl relativamente al reato ascritto ad A.V., e nei confronti di (Omissis) relativamente al reato ascritto a Q.M., applicando la sanzione amministrativa per ciascuna società nonché le sanzioni interdittive. Ha infine disposto la confisca sino all’importo di Euro 176.000 circa nei confronti dei tre imputati e delle tre società suindicate. Si addebita ai tre imputati di avere con artifizi e raggiri conseguito contributi statali erogati dal Ministero dei trasporti nella misura complessiva di 176.000 C, come incentivo all’organizzazione di corsi di formazione professionale in favore dei lavoratori nel settore degli autotrasporti: in particolare rendicontavano al Ministero costi superiori a quelli effettivamente sostenuti, così lucrando un contributo di importo superiore di almeno 38.000 Euro a quello spettante. Il tribunale aveva escluso la responsabilità degli odierni ricorrenti sul rilievo che non erano emerse prove che i costi esposti nella rendicontazione al Ministero ad opera della (Omissis) (Omissis) relativamente alle attività svolte da (Omissis) e dal (Omissis) fossero fittizi e che l’esistenza di un accordo tra i soggetti coinvolti teso a disciplinare e ripartire l’alea connessa all’importo del contributo, non dimostrava il mendacio in quanto la clausola contrattuale che disciplinava questa ripartizione era lecita ed era stata eseguita tramite l’emissione di note di credito. Il tribunale aveva quindi assolto i tre imputati B.A., A.V. e Q.M., ciascuno nella qualità di amministratore delle suindicate società, dal reato di truffa aggravata per insussistenza del fatto e, conseguentemente aveva escluso gli illeciti amministrativi contestati alle tre società che si erano avvantaggiate della condotta. La corte ha invece accolto [continua..]

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SOMMARIO:

1. Premessa: un altro passo avanti per un revirement giurisprudenziale? - 2. L’estinzione dell’illecito per cancellazione della società: le ragioni dell’orientamento prevalente - 3. La retromarcia sul parallelo con la morte della persona fisica e l’analogia con l’ipotesi del fallimento (ora liquidazione giudiziale) - 4. Critica: il significato del vaglio di “compatibilità” dell’art. 35 d.lgs. n. 231/2001 alla luce del vincolo di interpretazione costituzionalmente orientata - 5. La continuità della sanzione ex d.lgs. n. 231/2001 come debito della società estinta per cancellazione - 6. Il nodo (irrisolto) della distinzione tra cancellazione fisiologica e patologica: presupposti, effetti e rimedi - NOTE


1. Premessa: un altro passo avanti per un revirement giurisprudenziale?

Nel rigettare il motivo di ricorso della difesa confermando la condanna della società per l’illecito amministrativo di cui all’art. 24 d.lgs. n. 231/2001 e la conseguente irrogazione di sanzioni pecuniarie e interdittive, oltre alla confisca del profitto del reato-presupposto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.), la pronuncia in commento segna un altro punto a favore del revirement giurisprudenziale che – a dispetto dell’indirizzo notoriamente teso a identificare gli effetti della cancellazione dell’ente dal registro delle imprese con quelli della morte della persona fisica di cui all’art. 150 c.p. con conseguente emissione di sentenza di non doversi procedere ai sensi agli artt. 69, 129 e 529 c.p.p. cui rinvierebbero gli artt. 34 e 35 d.lgs. n. 231/2001 – riconduce all’estinzione della persona giuridica il solo effetto del passaggio diretto della titolarità dell’impresa ai soci, senza alcun limite all’accertamento della responsabilità dell’ente per fatti anteriori ma semmai solo “problemi di soddisfacimento del relativo credito” [1]. Sennonché, pur richiamando nella stringata motivazione l’unico precedente in tal senso – peraltro reso su parere difforme del Procuratore Generale in materia di infortuni sul lavoro [2] – la Corte sembra limitare la portata del decisum ai casi, come quello in esame, in cui la cancellazione non risulti cagionata da “motivazioni fisiologiche” e possa viceversa costituire un mero commodus discessus per sottrarsi alle conseguenze di una pronuncia giudiziaria.  


2. L’estinzione dell’illecito per cancellazione della società: le ragioni dell’orientamento prevalente

Come noto, l’orientamento prevalente [1] si fonda, per un verso, sul principio di personalità della responsabilità penale e della finalità rieducativa della sanzione ex art. 27, commi 1 e 3, Cost. da applicarsi anche al tertium genus del sistema sanzionatorio dell’ente [2] il quale, sulla base della efficacia costitutiva e non più dichiarativa della cancellazione derivante dalle modifiche apportate col d.lgs. n. 6/2003 [3], non risulta più sussistente e, per altro verso, sul divieto di applicazione analogica della disciplina delle vicende modificative dell’ente (artt. 28 ss. d.lgs. n. 231/ 2001) in quanto eccezionale ai sensi dell’art. 14 disp. legg. gen. [4], con effetti in malam partem potenzialmente contrari agli artt. 25 cpv. Cost o anche all’art. 117 Cost in relazione all’art. 7 Cedu, nonché basata su presupposti del tutto diversi da quello della vera e propria estinzione [5]: la perpetuatio di responsabilità e di legittimazione processuale ai sensi degli artt. 42 e 70 d.lgs. n. 231/2001 postula, infatti, che il nuovo ente rappresenti una prosecuzione, sotto diverse forme giuridiche, del precedente soggetto giuridico (come nel caso della trasformazione o fusione) ovvero risulti il suo beneficiario, in termini economici e patrimoniali (come nel caso della scissione o anche della cessione d’azienda). Ma, soprattutto, il silenzio del legislatore sulla fattispecie di estinzione, se non altro dopo la predetta attribuzione di un’efficacia costitutiva e non più meramente dichiarativa alla cancellazione, potrebbe costituire ulteriore argomento a sostengo della sua rilevanza ex d.lgs. n. 231/2001 sulla base del broccardo ubi lex voluit, dixit, ubi noluit, tacuit escludendo in radice qualsiasi vuoto normativo da colmare mediante procedimento analogico [6]. Quanto, infine, alla impossibilità di applicare le sanzioni amministrative dell’ente ai soci, essa si deduce dalla natura stessa della sanzione interdittiva che presuppone una soggettività giuridica in essere e l’attività cui si riferisce l’illecito in corso come si desume dallo stesso art. 14 d.lgs. n. 231/2001 ovvero dal principio della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 27 d.lgs. n. 231/2001 da applicarsi alle sanzioni pecuniarie e alla confisca di cui agli artt. 10-12 e 19 d.lgs. n. 231/2001.  


3. La retromarcia sul parallelo con la morte della persona fisica e l’analogia con l’ipotesi del fallimento (ora liquidazione giudiziale)

Nel condividere “la più recente giurisprudenza” (rectius l’unico, isolato, inatteso citato precedente) [1], la sentenza in commento disconosce il parallelo tra estinzione dell’ente e morte della persona fisica [2]. Le ragioni, inespresse ma desumibili solo per relationem dall’unico precedente in tal senso [3], sembrano doversi rinvenire nella indiscussa tassatività delle cause di estinzione del reato e, per riflesso, nell’argumentum a contrario relativo al riferimento solo ad alcune di esse negli artt. 8, comma 2, o 67, d.lgs. n. 231/2001 e, quanto al rinvio fissato dall’art. 35 d.lgs. n. 231/2001, nel mancato superamento del relativo vaglio di “compatibilità”. Con riferimento, invece, all’analogia con l’ipotesi del fallimento (ora liquidazione giudiziale) della società rispetto alla quale le Sezioni Unite hanno da tempo escluso l’estinzione dell’illecito ex d.lgs. n. 231/2001 [4] la sentenza in commento sembra incidentalmente entrare in potenziale contraddizione con il suo stesso precedente fondante in quanto, per dimostrare l’inconferenza del richiamo operato nel motivo di ricorso ad altra pronuncia di segno opposto [5], vi fa corrispondere una causa di cancellazione fisiologica in cui neppure poteva darsi luogo ad alcun fenomeno successorio nei rapporti obbligatori con i soci nei limiti di quanto riscosso in fase di liquidazione lasciando intendere che, almeno in quel caso, avrebbe condiviso il principio della improseguibilità del processo all’ente. In merito a questo argomento, salva la comune effettiva inutilità delle sanzioni eventualmente applicate in quanto gravanti ora su soggetto non più esistente ora su meri creditori insinuati al passivo [6], non si intravede tuttavia alcuna identità di ratio tra i due fenomeni in quanto, ove pure si voglia prescindere dal potenziale ritorno in bonis della società o dalla riapertura della procedura ex art. 237 c.c.i., alla liquidazione giudiziale non consegue il venir meno della soggettività della persona giuridica come nell’estinzione per sua cancellazione dal registro delle imprese [7]: tanto che le conclusioni cui si è in passato pervenuti sul fallimento si fondavano, all’opposto, sulla netta divergenza con la fattispecie di estinzione. Né si può ritenere, in via assoluta, che la [continua ..]


4. Critica: il significato del vaglio di “compatibilità” dell’art. 35 d.lgs. n. 231/2001 alla luce del vincolo di interpretazione costituzionalmente orientata

Salvo il richiamo al numerus clausus delle cause di estinzione del reato o dell’illecito amministrativo che conducono alla sentenza di non doversi procedere di cui all’art. 67 d.lgs. 231/1001, il vaglio di compatibilità dell’art. 35 d.lgs. n. 231/2001 è stato messo sinora in discussione per effetto di una mera petizione di principio, dandosi per scontato ciò che dovrebbe piuttosto costituire oggetto di puntuale valutazione. Nell’applicare il rinvio alle disposizioni del codice di procedura penale occorre infatti ponderare, ad ogni singolo effetto, la validità dell’analogia senza che possano assumere alcuna rilevanza singoli profili della disciplina in materia di cancellazione che pur trovino fondamento nella ineliminabile diversità tra persona fisica e giuridica, come la teorica possibilità per un ente cancellato di riassumere una soggettività (ad esempio in caso di riapertura della procedura di liquidazione, annullamento o revoca della pregressa cancellazione per mancanza originaria o sopravvenuta dei presupposti). Del resto, se è vero che l’ente merita il trattamento processuale riservato all’imputato, non è altrettanto vero che la persona giuridica possa sempre comportarsi come imputato [1]. Senza considerare che, all’opposto, si è pure teorizzata la nozione di “enticidio” come evento del cortocircuito di sistema che s’inscrive nel più ampio fenomeno moderno degli omicidi di impresa dovuto sia a cause endogene, correlate alle forme di responsabilizzazione del management societario, sia a fattori esogeni generati, viceversa, da risposte sanzionatorie o misure di contrasto potenzialmente corrispondenti alla cessazione definitiva dell’attività [2]. In altri termini, la pretesa assimilazione della cancellazione dell’ente alla morte della persona fisica non va riferita alla fictio iuris di un ente “morto” – come sembra fare la giurisprudenza più recente che la rinnega – ma va piuttosto parametrata ai fini esclusivamente processuali perseguiti dall’art. 35 d.lgs. n. 231/2001 [3] i quali, per effetto di un’interpretazione costituzionalmente orientata ai sensi degli artt. 24, 27 commi 1 e 3, Cost., impongono, pur in mancanza di una norma ad hoc, di ricondurre alla estinzione dell’ente anche quella del processo di accertamento [continua ..]


5. La continuità della sanzione ex d.lgs. n. 231/2001 come debito della società estinta per cancellazione

Diverso il caso in cui al momento della cancellazione della società risulti già definitivamente accertata la sua responsabilità amministrativa da reato rimanga solo una sanzione da eseguire. A norma degli artt. 2312, comma 2, e 2495, comma 3, c.c., con la cancellazione della società dal registro delle imprese, sia essa obbligatoria (conseguente alla chiusura della liquidazione giudiziale) oppure volontaria (conseguente alla liquidazione ex art. 2487 ss. c.c.), i creditori rimasti insoddisfatti possono infatti far valere i propri crediti nei confronti dei soci sino alla concorrenza delle somme riscosse dalla liquidazione del patrimonio sociale distribuito o assegnato ovvero a fronte di sopravvenienze attive o anche semplicemente dell’esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio” [1], salva l’ulteriore responsabilità di liquidatori (in colpa). Ne deriva che, ferma in ogni caso l’estinzione della società [2] e la possibilità di confiscare ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001 il profitto del reato a terzi in mala fede cui risulti frattanto trasferito [3], una sanzione patrimoniale già esecutiva al momento della sua cancellazione, in quanto debito ormai maturato, ricade sui beneficiari di quote del patrimonio sociale liquidato del quale costituisce, a tutti gli effetti, una passività. Non si tratta, cioè, di un’atipica ipotesi di responsabilità per fatto altrui in contrasto con l’art. 27 d.lgs. n. 231/2001 ma di una peculiare conseguenza di tipo meramente esecutivo, il cui scopo è quello di far valere la responsabilità consequenziale alla ripartizione del patrimonio dell’ente medesimo [4]. Né, a tal fine, può opporsi la natura pubblica della sanzione ex d.lgs. n. 231/2001 che rimane indifferente quale fonte della corrispondente obbligazione di pagamento o, tantomeno, addurre il vincolo della intrasmissibilità di cui all’art. 7 l. n. 689/1981 considerata la diversità del rapporto persona fisica-eredi rispetto a quello società-soci. Del resto, il differente regime accordato agli effetti dell’illecito ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 già definitivamente accertato o ancora sub iudicio al momento della cancellazione della società trova conferma nell’analoga soluzione cui la giurisprudenza è ormai pervenuta con riguardo [continua ..]


6. Il nodo (irrisolto) della distinzione tra cancellazione fisiologica e patologica: presupposti, effetti e rimedi

La sentenza in commento appare condivisibile quanto all’ipotesi di cancellazione dell’ente apparente o fraudolenta rispetto alla quale anche l’orientamento prevalente nega ogni effetto di estinzione del­l’illecito ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 [1]. Pur in mancanza di una disposizione ad hoc come quella dell’art. 130, comma 2, del codice penale spagnolo [2], dovrebbe pertanto ammettersi che, per effetto del medesimo rinvio disposto dagli artt. 34 e 35 d.lgs. n. 231/2001, come in caso di scoperta della persistenza in vita dell’imputato persona fisica dato per morto (art. 69 cpv. c.p.p.), anche l’eventuale sentenza di non doversi procedere dapprima erroneamente emessa non potrebbe impedire l’esercizio dell’azione penale per l’idem factum contro la medesima persona giuridica. Così come, nei casi di cancellazione per cessione fittizia di ramo d’azienda, la sanzione di cui al d.lgs. n. 231/2001 dovrebbe farsi ricadere sull’ente cessionario, sia pur all’esito dell’accertamento della responsabilità del cedente nei cui confronti dovrebbe avviarsi o continuarsi il processo [3]. Né potrebbe escludersi l’obbligo da parte del giudice penale di accertare incidenter tantum la fondatezza o meno dello stesso provvedimento amministrativo di cancellazione [4] disapplicando quello eventualmente sorretto da intenti elusivi, simulatori e fraudolenti [5], pur in mancanza di una rivalutazione in sede civile ai sensi dell’art. 2191 c.c. [6]. In fase di cancellazione, peraltro, ferme eventuali responsabilità degli autori di cancellazioni patologiche inclusa quella dei liquidatori ai sensi dell’art. 2633 c.c., il Pubblico Ministero potrebbe richiedere l’applicazione di un sequestro conservativo di cui all’art. 54, d.lgs. n. 231/2001 funzionale proprio ad evitare che si disperano le garanzie per il pagamento della sanzione pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato [7], se non persino esperire proporre domanda di apertura della liquidazione giudiziale anche al di là delle specifiche ipotesi di cui all’art. 38 c.c.i. [8], oltre a poter sempre dimostrare la data di effettiva cessazione dell’attività e per l’effetto chiedere già egli stesso al giudice del registro “la cancellazione della [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2024