Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Applicabilità istantanea o differita dell'art. 573, comma 1-bis, c.p.p. ai giudizi in corso? Questioni (non solo) di diritto transitorio (di Francesca Delvecchio, Ricercatrice di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Bari “A. Moro”)


Il rinvio per la prosecuzione di cui all’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. introdotto dalla riforma “Cartabia” giunge all’attenzione delle Sezioni Unite, chiamate a stabilire se il meccanismo de quo sia o meno immediatamente applicabile alle impugnazioni pendenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022. Sebbene il quesito attenga alla disciplina transitoria, l’impasse esegetica ha radici più profonde e riguarda la stessa natura del rinvio per la prosecuzione, nonché le regole probatorie e decisorie che ne governano il funzionamento. La Suprema Corte si fa carico di tali incertezze, estendendo le proprie riflessioni ben oltre la disciplina della successione delle leggi nel tempo e cimentandosi in un’ampia digressione sul rinnovato assetto delle impugnazioni ai soli interessi civili dopo la riforma “Cartabia”.

Immediate or deferred applicability of article 573, par. 1-bis, code of criminal procedure to ongoing proceedings? Matters (not only) of transitional law

The referral for continuation provided for in article 573, par. 1-bis, code of criminal procedure, introduced by the “Cartabia” reform, has come to the attention of the Joint Sections, called upon to determine whether the said mechanism is immediately applicable to appeals that were pending as of the effective date of Legislative Decree No. 150 of 2022. Although the question concerns transitional provisions, the exegetical impasse has deeper roots, involving the very nature of the referral for continuation, as well as the evidentiary and decision-making rules that govern its operation. The Supreme Court undertakes to address these uncertainties, extending its reflections well beyond the discipline of the succession of laws over time and delving into an extensive discussion on the renewed structure of appeals exclusively related to civil interests after the “Cartabia” reform.

  Impugnazione per gli interessi civili e rinvio per la prosecuzione del giudizio   MASSIMA: L’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., introdotto dall’art. 33 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione.   PROVVEDIMENTO: (Omissis). Ritenuto in fatto 1.– Il Tribunale di L’Aquila, con sentenza del 9 settembre 2019, condannava D.P.D., tratto a giudizio per rispondere dei delitti di cui agli artt. 582 e 590 c.p. in relazione alle lesioni personali cagionate dolosamente in tre occasioni alla convivente D.A., ed alle lesioni personali cagionate, per colpa, alla loro figlia D.P.N., alla pena di anni due di reclusione per il diverso delitto di cui all’art. 572 c.p., così giuridicamente riqualificati i fatti di cui all’imputazione; alla pronuncia seguiva la condanna del D.P. al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile D., equitativamente liquidato in Euro 10.000, ed alla rifusione delle spese da quella stessa parte sostenute per la costituzione in giudizio. A seguito dell’atto di appello presentato dal difensore dell’imputato, la Corte di appello di L’Aquila, con sentenza del 14 gennaio 2022, riscontrata l’assenza degli elementi costitutivi del delitto di maltrattamenti in famiglia, riqualificava i fatti nei termini di cui all’originaria imputazione (ovvero sub specie di artt. 81,582 e 590 c.p.) e, dichiarato non doversi procedere per tardività della querela in relazione al primo degli episodi in contestazione, condannava D.P.D. per i residui reati a lui ascritti alla pena di Euro 1.500 di multa, confermando la condanna al risarcimento del danno, il cui ammontare veniva, tuttavia, ridotto, a seguito della riqualificazione dei fatti, dall’originario importo di Euro 10.000, ad Euro 2.000; da tale riduzione la Corte abruzzese riteneva infine derivare giusti motivi per compensare tra le parti le spese del grado relative all’azione civile, “considerata la parziale soccombenza della parte civile con riferimento all’entità del risarcimento dei danni liquidati” seguita alla riqualificazione dei fatti. – Ha presentato ricorso per cassazione il difensore della parte civile deducendo, con un unico motivo di doglianza, la “violazione della legge e l’omessa motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p. in relazione all’art. 541 c.p.p., nella parte in cui la Corte di appello di L’Aquila ha compensato integralmente tra le parti le spese di patrocinio del grado relative all’azione civile”: ad avviso della ricorrente, invero, la semplice riqualificazione giuridica delle condotte illecite non poteva costituire giusto motivo di [continua..]

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SOMMARIO:

1. Alle origini del contrasto: la quaestio devoluta alle Sezioni Unite - 2. Le impugnazioni ai soli effetti civili dopo la riforma “Cartabia” - 3. La natura e la disciplina del rinvio per la prosecuzione - 4. La risposta al quesito: la terza via percorsa dalle Sezioni Unite - 5. Verso una piena autonomia delle giurisdizioni? La parte civile “assediata” - NOTE


1. Alle origini del contrasto: la quaestio devoluta alle Sezioni Unite

Ennesimo intervento di supplenza del supremo organo della nomofilachia, chiamato ancora una volta a risolvere le perplessità – interpretative e applicative – sorte nel primo anno di vigenza del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Questa volta i dubbi hanno riguardato l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p.; in particolare, alle Sezioni Unite è stato affidato il compito di chiarire se il nuovo meccanismo, nella parte in cui dispone la translatio iudicii al giudice civile quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, sia norma di immediata applicazione a tutti i gravami presentati al 30 dicembre 2022 (data di entrata in vigore della riforma “Cartabia”) ovvero sia operativa solo per le impugnazioni proposte avverso le sentenze emesse dopo questa data [1]. In assenza di una disposizione transitoria ad hoc [2] fin da subito erano emersi contrasti – non solo giurisprudenziali – circa l’operatività del nuovo comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p. rispetto ai giudizi già pendenti in appello o in cassazione. Un primo orientamento [3], formatosi nell’immediatezza dell’entrata in vigore della disposizione, riteneva che il meccanismo de quo fosse applicabile a tutte le impugnazioni depositate al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022. L’applicazione “logica o tecnico-pratica” [4] del principio tempus regit actum conseguiva alla considerazione per cui l’impugnante non subirebbe alcun concreto pregiudizio nel trasferire le proprie pretese risarcitorie innanzi al giudice civile: non perderebbe, né vedrebbe minacciato, il proprio diritto all’ac­certamento del danno e all’eventuale riconoscimento del risarcimento, restando la sua posizione sostanzialmente invariata nonostante la diversa sede decisoria [5]. Una conferma in tal senso si evincerebbe dalla stessa norma interpolata, laddove chiarisce che il giudice civile competente deciderà sulla base delle prove assunte in sede penale, oltre che su quelle eventualmente acquisite nel processo civile [6]. Di qui, si giungeva a ritenere che, se il precedente quadro normativo non ha subito modifiche sull’an e il quomodo dell’impugnazione sulle questioni civili, essendo cambiata solo la sede in cui viene trattata la controversia risarcitoria, allora l’actus rilevante a cui agganciare la disciplina temporale [continua ..]


2. Le impugnazioni ai soli effetti civili dopo la riforma “Cartabia”

Il d.lgs. n. 150/2022, orientato alla celere definizione dei procedimenti giudiziari, ha inciso in maniera significativa sulla disciplina delle questioni civili derivanti da reato, nella direzione di una sempre più marcata autonomia tra le giurisdizioni [1]. L’obiettivo deflativo è stato perseguito essenzialmente attraverso l’estromissione della parte civile dal contesto penale in fase di controllo: in questa direzione va la riscrittura degli artt. 573, 578 e 578-bis c.p.p., e l’introduzione del nuovo art. 578-ter c.p.p., modifiche che, in sostanza, hanno tutte ampliato le ipotesi di trasferimento del giudizio nella sede civile ogniqualvolta siano rimaste in discussione esclusivamente questioni di carattere civilistico [2]. Con specifico riferimento all’art. 573 c.p.p., il legislatore della riforma, dopo aver ribadito che l’im­pugnazione per gli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale (comma 1), ha poi introdotto un’ipotesi di translatio iudicii allorquando la sentenza sia impugnata per i soli interessi civili (comma 1-bis), stabilendo che il giudice d’appello e la Corte di cassazione, se l’im­pugnazione è ammissibile, rinviino per la prosecuzione rispettivamente al giudice o alla sezione civile competente a decidere sulle questioni civili [3]. Evidente, quindi, il mutamento di coordinate operato rispetto al quadro pregresso, ove l’azione de damno era comunque destinata ad essere decisa dal giudice del processo penale nel quale era stata incardinata originariamente la pretesa civile. Il nuovo assetto viene poi completato dalla modifica dell’art. 78, comma 1, lett. d), c.p.p. che, nel disciplinare le formalità della costituzione di parte civile, prescrive che l’atto debba contenere a pena di inammissibilità «l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda agli effetti civili» [4]. La necessità di accelerazione dei tempi di decisione, leit motiv del d.lgs. n. 150/2022, in uno con un inequivocabile favor separationis tra azione civile e processo penale, ha condotto così ad attenuare la regola di “attrazione” nel campo penale delle questioni civilistiche nascenti dal reato, la cui trattazione viene trasferita dinanzi al giudice naturale [5]. L’assetto riformato ha, invero, sollevato alcune perplessità; [continua ..]


3. La natura e la disciplina del rinvio per la prosecuzione

Dopo aver, a grandi pennellate, tracciato l’orizzonte sistematico entro cui si inserisce la riforma del­l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., la sentenza va subito al cuore del problema e, sin dalla prime battute, prende posizione in ordine alla natura del rinvio: non un giudizio autonomo, ma solo il prosieguo agli effetti civili di quell’azione intrapresa in sede penale che, «senza cesure o soluzioni di continuità», viene trasferita in una diversa sede decisoria. Ad una simile conclusione conduce, innanzitutto, il raffronto fra l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. e l’art. 622 c.p.p. Sebbene entrambi i meccanismi realizzino di fatto il medesimo esito, ossia la trasmissione degli atti al giudice civile innanzi al quale il giudizio prosegue, in concreto differiscono nel funzionamento: da un lato, l’art. 622 c.p.p. innesca un rinvio che consegue all’annullamento della sentenza ai soli effetti civili da parte della Corte di cassazione e quindi presuppone una decisione del giudice penale sull’impu­gnazione; dall’altro, l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. esclude qualsiasi decisione nel merito del gravame, di cui vengono valutati in sede penale solo i profili di ammissibilità. È dunque il diverso rapporto cronologico – tra decisione e successivo rinvio, nell’art. 622 c.p.p., e tra rinvio e successiva decisione, nell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. – a segnare il discrimen fra le due ipotesi considerate: mentre il rinvio a seguito di annullamento della Corte di cassazione integra una vera propria translatio iudicii, del tutto autonoma, nel rinvio per la prosecuzione di nuovo conio trattasi invece dello stesso giudizio che, cessata l’eccezionalità dell’attribuzione al giudice penale della giurisdizione anche sulle questioni civili, viene trasferito nella sua sede naturale [1]. Il confronto con l’art. 622 c.p.p. – e con i principi di diritto della sentenza “Cremonini” – suggerisce così un’interpretazione dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. aderente al (pur scarno) dato letterale e coerente con la ratio legis: se il legislatore della riforma avesse voluto lasciare sostanzialmente immutato il quadro normativo, ben poco senso avrebbe avuto l’adozione del comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p., finendo per sovrapporsi parzialmente all’ambito di operatività [continua ..]


4. La risposta al quesito: la terza via percorsa dalle Sezioni Unite

Le importanti precisazioni sulle “nuove” forme dell’azione civile da reato, oltre che sulla natura e sulla disciplina del rinvio per la prosecuzione, rendono la pronuncia matura per risolvere anche la questione di diritto transitorio. Dapprima le Sezioni Unite illustrano gli argomenti a sostegno dei due orientamenti, ed evidenziano come entrambi intendano meritoriamente salvaguardare l’esigenza che non vengano “tradite” le ovvie aspettative di chi, confidando nel compimento di un atto processuale in un determinato assetto normativo, veda tale quadro mutare per effetto di elementi che, ove presenti in precedenza, avrebbero condotto a diverse determinazioni circa l’atto compiuto [1]. Pur mosse da questo apprezzabile intento, nessuna delle esegesi proposte viene accolta dalla Suprema Corte, l’una [2] perché vanifica la portata delle innovazioni sugli artt. 78 e 573, comma 1-bis, c.p.p. da parte della riforma “Cartabia”; l’altra [3] perché limita impropriamente l’ambito di applicazione del principio di affidamento dell’impugnante, senza considerare la linea di cesura costituita dall’atto di costituzione di parte civile. Se, infatti, il danneggiato, nel momento in cui si costituisce parte civile, deve essere consapevole del possibile epilogo del rinvio ex art. 573, comma 1-bis, c.p.p., e pertanto deve esercitare l’azione de damno secondo gli stilemi del rinnovato art. 78, comma 1, lett. d), c.p.p., è evidente che, senza questo preliminare atto, non può vedere sottratto il giudizio sull’impugnazione proposta per i soli interessi civili al suo “giudice (penale) naturale”, al quale il legislatore fino al 29 dicembre 2022 ha attribuito giurisdizione e competenza sulla impugnazione proposta ai soli effetti civili avverso la sentenza penale. Ne deriva che, per applicare correttamente il principio tempus regit actum, bisogna individuare l’actus non nella sentenza impugnata né nell’impugnazione, bensì nell’atto di costituzione di parte civile [4]: «l’intervenuta variazione di aspetti che, pur legati formalmente alla sola fase decisoria dell’impugna­zione, finiscono, tuttavia, per riverberarsi sugli atti indirettamente, ma logicamente, propedeutici alla impugnazione stessa mutandone imprevedibilmente i connotati […]» [5] deve dunque indurre [continua ..]


5. Verso una piena autonomia delle giurisdizioni? La parte civile “assediata”

La pronuncia in commento, al netto delle soluzioni offerte, induce a riflessioni più ampie sulle scelte compiute dalla riforma “Cartabia” in punto di impugnazioni ai soli effetti civili e, più in generale, sul tema dell’accessorietà dell’azione civile da reato. Si tratta di un classico (e problematico) refrain, che torna ciclicamente alla ribalta. Da un lato, vi sono le esigenze di concentrazione che, valorizzando il legame inscindibile tra il reato e la pretesa patrimoniale, giustificano l’immanenza dell’azione de damno in sede penale: un vantaggio per il danneggiato, in primis, che può giovarsi dei tempi e dei modi più snelli del processo penale; ma anche per l’imputato, il quale, protetto dalla presunzione d’innocenza, si difende in una sede unica; senza sottacere il beneficio per il sistema giudiziario nel suo complesso, che risparmia risorse decidendo due azioni in un processo solo, evitando al contempo possibili contrasti fra giudicati [1]. Dall’altro, si stagliano le istanze pragmatiche a favore di una netta separazione fra le regiudicande: l’ingresso del danneggiato nel processo penale ne accresce la complessità, ampliando il numero delle parti e il relativo oggetto e non favorendo, in questo modo, la celerità della macchina giudiziaria penale [2]. Un eterno pendolarismo, che affonda le proprie radici nella scelta del legislatore del 1988 di introdurre nel sistema una figura ibrida quale è la parte civile: una soluzione di compromesso, poco in linea con l’opzione accusatoria, che non ha mai davvero convinto nessuno [3], tanto è vero che ancora oggi nel dibattito scientifico ci si interroga sull’opportunità di soddisfare la domanda risarcitoria in sede penale. Ci si chiede, in altre parole, se non sia in fondo più coerente abolire tout court la parte civile, lasciando l’azione di danno al giudice naturale e affrancando l’offeso da qualsiasi interesse risarcitorio, rendendolo parte a tutti gli effetti [4]. Un humus che sembra cogliersi anche nella giurisprudenza costituzionale, che ha progressivamente eroso il principio di accessorietà dell’azione civile, via via circoscrivendo i casi in cui il giudice penale si pronuncia sulla domanda risarcitoria [5]. Non si sottrae a questo trend il d.lgs. n. 150/2022, anzi, lo sviluppa ulteriormente andando in [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2024