Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La cultura giuridica nell'età dell'incultura (di Roberto E. Kostoris, Professore emerito di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Padova)


Cos’è la cultura giuridica e quale è il suo stato di salute oggi? Sono le domande principali che si affrontano in questo contributo, dove si pongono in rilievo le difficoltà di preservare la qualità della cultura giuridica in un contesto generale che stenta sempre più a distinguere la qualità dalla quantità.

Juridical culture in the age of lack of culture

What is the meaning of juridical culture, and what is its state of safety today? This article seek to answer to those crucial questions, putting in light the difficulty to preserve the quality of such a culture in a general context where there is an increasing difficult to realise the difference between quality and quantity.

SOMMARIO:

1. Lo svilimento generale della cultura - 2. I problemi della scuola e la visione aziendalistica dell’Università - 3. Per una definizione della cultura giuridica. Lo sguardo sull’uomo còlto sotto il velo delle norme - 4. Cultura giuridica e comparazione ‘verticale’. I preziosi insegnamenti della storia: due esempi emblematici - 5. Cultura giuridica, pensiero critico, avvento dell’intelligenza artificiale - 6. La cultura giuridica nel conflitto tra qualità e quantità: le esigenze della scienza e le scelte della politica universitaria


1. Lo svilimento generale della cultura

Noi studiosi di diritto siamo tendenzialmente concentrati sui problemi della nostra materia, sulle questioni che vi si agitano. È naturale che sia così. Ogni tanto però è bene alzare lo sguardo e domandarci dove sta andando la cultura giuridica nel suo complesso. Viviamo infatti in un contesto che non tiene in particolare conto la cultura in generale e tutto ciò che ruota intorno ad essa; che inoltre accelera tutti i ritmi della nostra vita, obbligandoci a una parossistica corsa che non ha una meta precisa, ma che consuma tempo ed energie, impedendoci di fermarci a pensare: attività senza la quale la cultura in qualsiasi campo non può svilupparsi. Anche noi professori universitari, che pur lavoriamo in un ambito che, per definizione, sarebbe destinato a produrre cultura, siamo spesso così assorbiti da mille incombenze di tipo ‘operativo’ (in non poca parte costituite, come ben sappiamo, da molta inutile burocrazia) che finiamo per essere costretti a dedicare sempre meno tempo alle cose più importanti: studiare, meditare, far decantare le idee, scrivere, formare gli allievi e gli studenti. Eppure è a questo che siamo chiamati. Ed è essenziale esserne consapevoli, perché, alla fine, tutto parte da noi. Siamo noi – è l’Università – il primo fondamentale anello della catena. L’Università genererà infatti i docenti del futuro (quindi il suo futuro stesso), i magistrati, gli avvocati, i notai del futuro (quindi la futura gestione pratica del diritto). Tutta la galassia dei ‘giuristi’ parte dalla formazione dell’Università. Se nel tempo dell’Università non verranno gettate solide basi, se non verrà in quel momento correttamente impostata la forma mentis del giurista, se l’aspirante giudice o avvocato non saprà maneggiare adeguatamente i concetti e le categorie generali del diritto, non sarà facile recuperare più tardi questa grave lacuna, quando premeranno altre esigenze e occorrerà assolvere ad altre assorbenti incombenze.


2. I problemi della scuola e la visione aziendalistica dell’Università

Le basi per lo sviluppo di una cultura giuridica dovrebbero dunque partire dall’Università. Alcuni problemi che abbiamo di fronte affondano però le loro radici ben più a monte, già nella scuola. Una scuola che nei decenni è stata sempre più svilita, bistrattata, depauperata, sottofinanziata. A cui la riforma Gelmini ha assestato un colpo durissimo (così come ha fatto anche la omonima riforma dell’U­niversità). I ragazzi – che oggi appaiono comunque più fragili dei loro coetanei dei decenni precedenti e sui quali da ultimo si è abbattuta anche la devastante esperienza degli anni della pandemia– escono dalla scuola secondaria superiore mediamente meno preparati ad affrontare gli studi universitari: e, in particolare, gli studi giuridici, che presuppongono un approccio più rigoroso di altri. Talora mancano anche di nozioni e abilità di base (compreso un corretto uso della lingua italiana). E questi gap di partenza rendono per loro – e, correlativamente, anche per i docenti che li devono seguire – meno facile gestire il percorso universitario. A questo punto, complice anche la perversa politica universitaria che distribuisce i finanziamenti agli atenei in ragione del numero dei laureati, e la gara tra gli atenei nel­l’attirare e quasi nello strapparsi l’un con l’altro il maggior numero di studenti per scongiurare una diminuzione delle loro risorse e un declassamento nei ranching, è stata l’Università ad abbassarsi, accontentandosi di preparazioni di livello più basso. Con il risultato che i nostri laureati, salvo lodevoli eccezioni, mediamente maneggiano il diritto con più difficoltà e talvolta dimostrano uno spirito critico meno sviluppato. Anche se a questo contribuisce purtroppo anche il clima sociale che li circonda e le forme di (dis)informazione e comunicazione veicolate dai social, che, con le loro fake news, aumentano la difficoltà ad orientarsi in modo consapevole in momento che comunque è di generale incertezza. Resta il fatto che ormai non è per nulla scontato che escano dall’Università giuristi solidi, preparati, maturi (nei limiti beninteso in cui può esserlo un laureato), pronti a diventare i professionisti capaci del domani. E questo è un danno gravissimo per tutta la società. A fallire, beninteso, è [continua ..]


3. Per una definizione della cultura giuridica. Lo sguardo sull’uomo còlto sotto il velo delle norme

Se, dunque, bisogna puntare sulla qualità, sul merito, sull’eccellenza, nella sostanza e non nelle vuote declamazioni (quelle che, appunto, vorrebbero far passare la quantità per qualità), occorre concentrarsi sulla formazione della cultura giuridica. Anzitutto è bene cercare di intendersi sul significato di quest’espressione. Della cultura in generale si danno tante definizioni, che comunque convergono nel ricomprendervi ciò che concorre alla formazione dell’individuo sul piano intellettuale e morale. Della cultura di settore si dice poi che rappresenta il patrimonio di conoscenze ed esperienze acquisito con lo studio e una preparazione specifica. Una definizione che in qualche modo si completa, o di cui comunque si riesce meglio a cogliere il significato, alla luce di quell’arguta definizione della cultura che la riassume in “ciò che resta dopo che si è dimenticato tutto”. Tradotto: ciò che resta dopo che si sono dimenticate le “nozioni”, le quali da sole non producono cultura, ma attraverso la cui metabolizzazione si riesce ad ottenere quella ‘visione di insieme’, quel patrimonio complessivo di conoscenze che appunto possiamo chiamare cultura. Cercando di trasporre queste idee sul piano che ci interessa, credo che si debba subito sgombrare il campo da un facile equivoco: quello di far passare per cultura giuridica le semplici conoscenze tecniche della materia. Che certamente sono essenziali per ragionare in termini giuridici, che costituiscono un ‘alfabeto’ senza il quale i giuristi non potrebbero comunicare tra loro, come i medici hanno bisogno del loro linguaggio e del loro alfabeto per intendersi su una diagnosi o su una cura. Ma che, pur costituendo una premessa necessaria per la formazione di una cultura, non possono ancora definirsi in sé cultura. Invece si cade spesso nell’equivoco quando, ad esempio, si dice di una persona che è “fornita di cultura giuridica” intendendo solo affermare che “conosce le regole del diritto”, o, meglio, di quel suo particolare settore. Parlare di cultura giuridica è naturalmente anche cosa diversa che parlare di “diritto e cultura”. Un’endiadi in cui cultura e diritto sono viste come entità separate e in cui la cultura è riferita a una disciplina diversa dal diritto, come, ad esempio, la letteratura, [continua ..]


4. Cultura giuridica e comparazione ‘verticale’. I preziosi insegnamenti della storia: due esempi emblematici

Per intendere meglio questa valenza culturale del diritto – che però, vorrei precisare, è necessaria anche per cogliere l’effettiva portata degli stessi meccanismi tecnici di cui il diritto è formato, i quali altrimenti non potrebbero essere compresi in modo adeguato nelle loro reali e più profonde implicazioni– occorre però allargare lo sguardo, aprendosi anche alla comparazione. Per un verso, alla comparazione orizzontale, che ci dice come quel tale problema è affrontato oggi in altri sistemi giuridici diversi dal nostro: o meglio, per restare nella prospettiva da cui ci poniamo, come altrove si dà risposta a quella particolare istanza, come la si inserisce nel complesso dei valori che si vogliono tutelare in quel contesto, e se quella risposta, anche alla luce delle soluzioni tecniche scelte per realizzarla, fa trasparire analoghe o diverse visioni e istanze dell’uomo e della società rispetto alle nostre. Ma, ancor più significativa, almeno quando non si debbano esaminare problemi o istituti giuridici del tutto nuovi, diventa, da questo punto di vista, la comparazione verticale, cioè la comparazione storica. E, per farmi meglio intendere a questo proposito, ricorro direttamente a due esempi tratti dalla particolare avventura scientifica di un grande giurista come Paolo Grossi. Il primo esempio è rappresentato da una sua ricerca giovanile che per lui si rivelerà illuminante nel dischiudergli un panorama sommerso che, fino ad allora, era rimasto abbastanza occultato agli occhi degli studiosi. La ricerca riguardava un istituto del diritto privato comune: il contratto locativo di lunga durata dei fondi rustici, la locatio ad longum tempus. Un istituto all’apparenza non particolarmente significativo; che però, osservato con più attenzione, faceva emergere sfondi inaspettati. Esso infatti trasformava, grazie al decorso del tempo, un contratto di locazione in un ‘dominio utile’, cioè in una sorta di comproprietà a favore del conduttore. Un esito certamente singolare se confrontato con la logica squadrata delle categorie romanistiche (e anche di quelle civilistiche attuali), dove il proprietario resta proprietario anche quando cede in locazione il suo bene immobile per un lungo tempo. Ma un esito che invece trova la sua reale spiegazione accostandosi ai canoni di “una antropologia tutta medievale dove [continua ..]


5. Cultura giuridica, pensiero critico, avvento dell’intelligenza artificiale

Come difendere la cultura giuridica dall’incultura dell’appiattimento? Prima di tutto occorre essere consapevoli di ciò che la cultura giuridica significa e della sua importanza, e quindi anche dell’importanza di trasmetterla, di insegnarla, di insegnare ad analizzare i problemi giuridici avendo sempre ben presente questa dimensione. Di farlo nello studio e nell’ela­borazione scientifica, abituando anche i propri allievi a saper guardare il diritto al di là e al di sopra del semplice funzionamento dei meccanismi normativi e poi, a cascata, trasmettere lo stesso insegnamento a lezione agli studenti. Il che significa, in definitiva, abituarli a un pensiero critico; e Dio sa quanto bisogno ci sia oggi di coltivare questo pensiero a tutti i livelli, come requisito essenziale nella vita e, direi, come requisito indispensabile per difendere la stessa libertà e la stessa democrazia, tanto minacciate dalle pulsioni irrazionali oggi dilaganti. Per il giurista – e soprattutto per il giurista – il pensiero critico deve costituire una risorsa e un’abilità imprescindibile. Ricordo che ancora una decina d’anni fa una delegazione di studenti padovani che era venuta a parlare con me di alcune questioni mi disse a un certo punto “Professore, ma sa che lei ci fa la domanda più difficile agli esami”? Chiesi loro quale fosse. E mi risposero all’unisono: “lei chiede sempre: perché? Quando domanda un certo istituto o una certa disciplina, lei non si accontenta che lo studente gliela esponga; vuole anche sapere quali sono le ragioni che ne stanno a fondamento”. C’è poi un ulteriore motivo per il quale questo pensiero critico diventa oggi ancor più essenziale. Alludo al fatto che i giuristi sono chiamati in questo tempo ad affrontare una sfida di immensa portata, che comporterà mutamenti di tipo anche antropologico: quella di gestire l’ingresso degli strumenti dell’intelligenza artificiale nel campo del diritto. Questi strumenti dovrebbero avere lo scopo di fornire all’uomo un’“intelligenza aumentata”, cioè un’amplificazione delle sue capacità per mezzo della sterminata capacità di ‘processare’ dati da parte delle macchine. I vantaggi possono essere evidentemente grandissimi, ma si accompagnano anche a notevoli rischi. Tra questi, va sicuramente inclusa [continua ..]


6. La cultura giuridica nel conflitto tra qualità e quantità: le esigenze della scienza e le scelte della politica universitaria
Fascicolo 2 - 2024