Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La nuova tipologia di inammissibilità dell'appello per difetto di specificità “estrinseca” (di Matteo Tullio Maria Rubera, Avvocato e titolare di contratto integrativo del corso di “diritto processuale penale” nella L.u.i.s.s. “Guido Carli”)


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 Codificazione di un precedente giurisprudenziale promanante dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, l’art. 581 comma 1-bis c.p.p., inserito nell’ordito codicistico dal d.lgs. n. 150/2022 (attuativo della c.d. “Riforma Cartabia”), ha valorizzato in chiave di filtro un aspetto peculiare di quel principio di specificità delle impugnazioni già previsto dall’art. 581 c.p.p.

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Unico caso di inammissibilità delle impugnazioni espressamente riferito all’appello, lo stesso ricorre allorché manchi nei motivi di impugnazione l’esplicita e puntuale confutazione della sentenza gravata (c.d. “a-specificità estrinseca”).

Trattasi di un vizio destinato ad affiancarsi alle altre inammissibilità delle impugnazioni previste in via generale dai restanti commi del­l’art. 581, nonché dall’art. 585 co. 4 ultimo periodo e dall’art. 591.

Il presente contributo, premessi cenni etimologici ed evolutivi riferiti alla “specificità” delle impugnazioni in generale, si interrogherà in ordine alle problematiche di ordine costituzionale, convenzionale e sistematico sollevate dal nuovo comma 1-bis, cercherà di ricostruirne la ratio, per poi occuparsi del relativo ambito di applicazione, nonché della natura e rilevabilità della sanzione processuale ivi comminata.

The new ground of inadmissibility of the criminal appeal due to lack of “extrinsic” specificity

Following some case law from the United Sections of the Court of Cassation, the article 581 § 1-bis of the Criminal procedure code was provided by the legislative decree n. 150 of 2022 (implementing the so-called Cartabia Reform).

Such provision enhanced a peculiar aspect of that principle of specificity of appeals already enshrined by article 581 of the Criminal procedure code.

The provision at issue regards the only ground of inadmissibility expressly referred to the appeal. It occurs when the latter does not indicate, in an explicit and clear manner, the criticism addressed to the appealed decision.

This is a defect intended to complement the other inadmissibilities generally provided for by the remaining paragraphs of article 581, as well as by article 585 § 4 and by article 591.

This contribution will examine the etymological aspects of the specificity, its history as a prerequisite of appeals, its compatibility with the Constitution, the European Convention of Human rights and the general principles of the criminal trial; afterwards, it will try to reconstruct the aim of the new provision and deal with its conditions for application, as well as the nature and detectability of the inadmissibility imposed therein.

SOMMARIO:

1. Premessa: L’art. 581 comma 1-bis - 2. Etimologia e profili evolutivi dell’inammissibilità per a-specificità: a) dal codice del 1807 al codice “Vassalli” - 3. (Segue) b) Evoluzioni giurisprudenziali riguardanti il requisito di specificità; la sentenza a Sezioni Unite “Galtelli” - 4. (Segue) c) Dalla “Riforma Orlando” alla “Riforma Cartabia” - 5. Considerazioni di ordine sistematico - 6. Il nuovo requisito di ammissibilità - 7. (segue) e la relativa esegesi alla luce della giurisprudenza ante riforma - 8. Il carattere dell’inammissibilità per non specificità dei motivi - 9. La ratio dell’art. 581 comma 1-bis: a) La razionalizzazione dell’appello in chiave di strumento di controllo sulla decisione di primo grado - 10. (Segue) B) La selezione in vista dell’accelerazione processuale - 11. (Segue) C) I tradizionali obiettivi sottesi alla “specificità” nelle impugnazioni - 12. Profili costituzionali dell’art. 581 comma 1-bis: A) il diritto di difesa - 13. (Segue) B) il diritto all’”autodifesa” - 14. (Segue) C) il contraddittorio - 15. (segue) D) La parità tra le parti - 16. Aspetti “convenzionali”: Gli artt. 6 § 1 C.E.D.U. e 2 Prot. 7 - 17. Conclusioni - NOTE


1. Premessa: L’art. 581 comma 1-bis

L’art. 33 comma 1 lett. d) d.lgs. n. 150/2022, attuativo della l. 27 settembre 2021, n. 134 (c.d. “Riforma Cartabia”) ha inserito un nuovo comma 1-bis [1] nell’art. 581 c.p.p. Secondo questa nuova clausola, «l’appello è inammissibile per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione» (c.d. specificità “estrinseca”). Si tratta – in realtà – del recepimento legislativo di una precedente massima delle Sezioni Unite penali [2], volta a valorizzare, in chiave di “filtro”, un aspetto peculiare del principio di specificità delle impugnazioni già stabilito dall’art. 581 c.p.p. In particolare, il menzionato comma 1-bis reca l’unico caso di inammissibilità della domanda d’im­pugnazione riferentesi esclusivamente all’atto di appello; e pertanto, in questo senso, appare prevedere una sorta d’invalidità affatto “speciale”. Questa sanzione processuale sembra affiancarsi alle altre previste, in via generale, dai restanti commi dell’art. 581, dall’art. 585 co. 4 ultimo periodo, dall’art. 591. Peraltro, anche le inammissibilità “generali” contemplate dai restanti commi 1-ter ed 1-quater del cit. art. 581 (anch’essi inseriti dalla l. n. 150/2002) paiono destinate ad applicarsi principalmente all’appello; in tal senso, milita l’espresso riferimento, contenuto in detti capoversi, al “decreto di citazione a giudizio”; il quale è previsto, appunto, solo a proposito del giudizio di appello (art. 601), e non anche del giudizio ordinario di cassazione. Parimenti sull’appello è destinata ad influire la nuova versione dell’art. 593 co. 3, risultante dall’art. 34 comma 1 lett. a) d.lgs. n. 150/2022, che ha ampliato l’area dell’inoppugnabilità oggettiva presidiata dall’art. art. 591 comma 1 lett. b). Poiché detto comma 1-bis determina delicate questioni di ordine costituzionale, convenzionale e sistematico, del neonato capoverso occorre ritrovare la ratio e definire l’ambito di applicazione; per poi [continua ..]


2. Etimologia e profili evolutivi dell’inammissibilità per a-specificità: a) dal codice del 1807 al codice “Vassalli”

L’onere della parte impugnante di enunciare nella sua domanda, in maniera “puntuale” ed “esplicita”, le critiche rivolte al provvedimento di cui essa si duole rappresenta un aspetto del più ampio dovere di specificità dell’impugnazione, già previsto dall’art. 581. Tale requisito viene definito come quello della specificità “estrinseca”; e ciò per sottolineare come esso vada verificato confrontando l’atto di appello e qualcosa di esterno ad esso, ovvero la decisione gravata. Etimologicamente, “specificare” significa “fare specie”, ovvero riferirsi, nell’ambito di un genus più ampio, ad un singolo caso. In tal senso, la specificità, come predicato necessario dei motivi di impugnazione, era già prescritta dal codice di procedura penale del Regno d’Italia del 1807. Questo testo normativo poneva a carico dell’appellante l’onere di «specificare il fatto o la circostanza [in] rapporto a cui pretende che la sentenza sia erronea» (art. 376). Se poi il gravame avesse riguardato il «giudizio del diritto l’appellante debb’esprimere o la forma che pretende essere stata violata ed omessa, o la legge che crede essere stata o male applicata o trasgredita»; detto in altri termini, puntualizzare, tra le molte, quale disposizione procedurale (la “forma”) o sostanziale (la “legge”) egli ritenesse violata. La “specificità” sembrava prescritta al fine di delimitare il campo della censura: la disposizione veniva dettata in un contesto storico – culturale che segnava il passaggio dell’appello dal paradigma concettuale del gravame puro (quello cioè di un mezzo diretto a provocare un integrale riesame del caso sul mero presupposto di una doglianza non motivata; od anche una omologa revisione d’ufficio, ove la condanna in prime cure fosse particolarmente grave [3]) all’azione di impugnazione, volta a contestare determinate anomalie della sentenza, come tale richiedente indefettibile corredo di motivi specifici, da depositare in un breve termine decorrente dalla iniziale dichiarazione di voler impugnare [4]. Ancor più analitici dovevano essere i motivi nel caso in cui attenessero al ricorso per cassazione: essi, allora, dovevano «“distintamente” esprimere [continua ..]


3. (Segue) b) Evoluzioni giurisprudenziali riguardanti il requisito di specificità; la sentenza a Sezioni Unite “Galtelli”

L’art. 581 c.p.p., nella sua originaria formulazione, sembrava potersi interpretare nel senso che, ai fini della richiesta specificità, fosse sufficiente argomentare analiticamente le proprie richieste, senza dovere confutare puntualmente i singoli passaggi della decisione impugnata. Nondimeno, la giurisprudenza, a proposito del ricorso per cassazione, replicava l’orientamento già espresso con riferimento al previgente regime codicistico [9]: era inammissibile l’impugnazione (pur eventualmente argomentata in modo dettagliato) che, mancando di ogni critica specifica al provvedimento “attaccato”, fosse risultata da questo stesso disancorata [10]. In particolare, si riteneva invalido il ricorso laddove il proponente si fosse limitato alla pedissequa reiterazione di argomentazioni già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla corte di merito, dovendosi tali argomentazioni considerare non specifiche ma soltanto apparenti [11]. Dunque, si richiedeva come necessaria la sussistenza di una correlazione tra il percorso giustificativo usato nella decisione impugnata e le ragioni poste a fondamento dell’impugnazione [12]. Tale esegesi, generalmente consolidata in ordine al ricorso per cassazione, non era invece condivisa quando si trattava dell’atto d’appello. Risultava infatti minoritario (e non uniformemente motivato) l’orientamento [13] che per l’appello richiedeva il medesimo grado di specificità necessario nel caso di ricorso per cassazione; e considerava quindi inammissibile anche la prima specie di gravame, laddove l’atto fosse risultato privo di una censura, chiaramente riconoscibile e non generica, chiaramente volta nei confronti della decisione gravata. Peraltro, secondo diverso e prevalente indirizzo [14], nell’appello la specificità sarebbe valsa in modo assai meno stringente, essendo tale mezzo di gravame inteso a promuovere una integrale rivisitazione del capo o punto impugnato, ossia a provocare un vero e proprio nuovo giudizio, sia pur limitato alle sole questioni indicate; di conseguenza, il corrispondente atto introduttivo si sarebbe dovuto valutare attribuendo maggiore incidenza al favor impugnationis [15]. Pertanto, l’atto di appello, pur dovendo anch’esso essere “specifico” (cioè analitico e pertinente al caso concreto), non richiedeva anche un contenuto [continua ..]


4. (Segue) c) Dalla “Riforma Orlando” alla “Riforma Cartabia”

Alcuni mesi dopo l’esposto arresto giurisprudenziale, la l. 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. “Riforma Orlando”) [18], sostituendo il citato l’art. 581, ampliava il novero dei requisiti contenutistici necessari del­l’atto d’impugnazione [19], spostava nell’incipit del medesimo art. 581 la prescrizione della “specificità” (che così risultava riferita non più ai soli motivi, bensì a tutti gli elementi contenutistici di seguito elencati), comminando infine l’inammissibilità dell’impugnazione per l’inosservanza dell’onere di specificità. Peraltro, neppure tale provvedimento normativo sembrava avere recepito la massima stabilita dalla citata sentenza “Galtelli” circa l’onere della specificità “estrinseca”; innovazione cui invece pare avere voluto dare corso (accogliendo le indicazioni della Commissione “Lattanzi”) [20] il d.lgs. n. 150/2022, che ha appunto inserito nell’art. 581 il nuovo comma 1-bis [21].


5. Considerazioni di ordine sistematico

Tale nuovo comma solleva anzitutto talune questioni sotto il profilo sistematico e quanto alla sua corretta interpretazione. In primo luogo, vien fatto di chiedersi perché una norma che testualmente si riferisce all’appello sia stata collocata tra le disposizioni generali sulle impugnazioni, anziché tra quelle specificamente concernenti detto mezzo di gravame [22]. Evidentemente, ha prevalso una logica intesa al mantenimento della collocazione tradizionale del principio di specificità, che, sin dal codice del 1930, è stato dettato appunto nell’ambito delle suddette disposizioni generali; ma allora perché, con la clausola in oggetto, lo stesso requisito è stato fissato solo con riguardo all’appello e non anche per le altre impugnazioni? Eppure, secondo giurisprudenza costante, si tratta d’una condizione indefettibile anche per l’ammis­sibilità del ricorso in cassazione; e che inoltre sembrerebbe poi estensibile anche gli altri mezzi di impugnazione codicistici. Dunque, sarebbe stata più adeguata ad un’esigenza di sistema una enunciazione generale del nuovo principio. La diversa scelta operata con la novella in commento va forse attribuita all’occasio legis che vi ha dato àdito: la più volte citata sentenza “Galtelli”. Se non che, l’esplicitazione solo per l’appello della nuova condizione di ammissibilità potrebbe far pensare che il “filtro” debba assumere una diversa ampiezza a seconda che venga a riguardare questo stesso tipo di gravame oppure altre specie di impugnazione; per le quali la specificità risulta pur sempre prescritta dal primo comma dello stesso art. 581. Insomma, la “specificità estrinseca” potrebbe essere un concetto “relativo”, da intendere diversamente secondo il mezzo di impugnazione considerato [23]. Inoltre, viene da interrogarsi sulla ragione che ha condotto il legislatore a recepire espressamente una massima giurisprudenziale già consolidatasi attraverso un’esegesi riguardante la precedente versione dell’art. 581. Ed allora, ciò che qui ci si chiede è se l’interpolazione de qua abbia avuto il valore di una mera interpretazione autentica [24]; o se, invece, dovendosi attribuire alla novella una portata ulteriore, essa non sia venuta a prescrivere qualcosa in più (ovvero un [continua ..]


6. Il nuovo requisito di ammissibilità

La nuova ipotesi d’inammissibilità dell’appello viene a concernere i gravami privi di “rilievi critici” nei confronti della decisione gravata. Ai fini della validità dell’atto, tali rilievi debbono essere: a)  correlati a ciascuna delle richieste formulate dall’appellante ex 581 comma 1 lett. c; b)  avere carattere “puntuale” ed “esplicito”; c)  riguardare le ragioni di fatto e/o di diritto espresse in ciascuno dei capi o punti della decisione impugnata attinti dal gravame. Per quanto concerne il primo profilo, la richiesta correlazione tra rilievi critici e petita ricorda la condizione prescritta dall’art. 581 comma 1 lett. d, per la quale i motivi devono contenere le ragioni di diritto e gli elementi di fatto «che sorreggono ogni richiesta». Dunque, alla stregua del nuovo “modello legale” dei motivi di appello, ciascuna richiesta deve essere supportata da specifiche argomentazioni giuridiche o fattuali (pars construens); nonché, corredata del­l’indicazione «puntuale» delle ragioni per le quali si ritiene erronea la sentenza impugnata in relazione a quel determinato capo o punto (pars destruens). In merito al connotato della “puntualità”, il medesimo potrebbe essere inteso come sinonimo di “precisione”; e, quindi, di “specificità”; peraltro, in base ad un’esegesi meramente lessicale, l’evocato requisito è suscettibile di essere letto anche come “circostanziato” [26]; la quale interpretazione potrebbe imporre all’appellante di indicare gli elementi concreti, tratti dall’istruttoria dibattimentale o aliunde, nei quali trovano alimento le sue critiche [27]; in altri termini, le critiche dovrebbero essere “documentate”. Peraltro, questa seconda esegesi implicherebbe un onere eccessivo nei confronti di colui che intende appellarsi, esponendolo al rischio che il vaglio di ammissibilità sconfini in una verifica circa la fondatezza dei motivi, con una conseguente anticipazione alla fase preliminare del giudizio sui merita causae. Pertanto, il grado di puntualità, non essendo precisabile in via generale ed astratta [28], potrà essere ragionevolmente preteso in una misura che tenga conto del principio di proporzionalità tra gli obiettivi perseguiti (quelli [continua ..]


7. (segue) e la relativa esegesi alla luce della giurisprudenza ante riforma

Appare utile, ai fini di una migliore esegesi della novella qui in commento, passare brevemente in rassegna le sentenze pronunciate prima della Riforma Cartabia, prevalentemente con riguardo al ricorso per Cassazione (per il quale, lo si è detto, la specificità estrinseca era pacificamente ritenuta un requisito di inammissibilità di tale impugnazione). E vagliare i correlativi orientamenti alla luce del neonato comma 1-bis dell’art. 581. Alla stregua della richiamata Giurisprudenza, le ipotesi di inammissibilità per difetto di specificità estrinseca si erano andate raggruppando in tre classi: le impugnazioni “ripetitive”, quelle “preventive” e quelle “per relationem”. La prima categoria raggruppava i casi di riproposizione delle argomentazioni già spese nel precedente grado di giudizio ed in questo valutate e disattese, non accompagnata dalla precisazione degli errori direttamente afferenti alla sentenza impugnata [36]. Tuttavia, una siffatta impugnazione era considerata comunque ammissibile, allorché la riproposizione delle questioni già dedotte e valutate nel precedente grado di giudizio avesse riguardato profili esclusivamente giuridici; in tal caso, infatti, il ricorrente non avrebbe alcun onere di trovare elementi di novità rispetto a quanto già rilevato [37]. Ebbene, quest’ultima sfumatura esegetica non pare più in linea con il neonato comma 1-bis, qui in commento, la cui littera sembra invece chiara nel pretendere la confutazione sia delle ragioni di fatto che di quelle in diritto, contenute nella decisione gravata. Le impugnazioni “preventive” erano invece quelle proposte prima che fosse stata depositata la motivazione della sentenza gravata, sulla sola base del relativo dispositivo. Le stesse erano state ritenute inammissibili perché generiche, non potendo i relativi motivi essere correlati ad una motivazione ancora ignota; né –si era proseguito– vi è alcuna possibilità di valutare tale correlazione ex post, sulla base della sentenza poi depositata [38]. Tuttavia, si era ritenuta ammissibile l’impugnazione depositata prima di conoscere la motivazione della sentenza impugnata, allorché le censure si riferissero ad aspetti della decisione emergenti dal solo dispositivo [39]. Quest’ultima soluzione non si sposa più con il [continua ..]


8. Il carattere dell’inammissibilità per non specificità dei motivi

Secondo risalente orientamento giurisprudenziale [44], l’inammissibilità per difetto di correlazione tra impugnazione e sentenza gravata ha carattere “originario”; onde tale invalidità preclude la stessa instaurazione del rapporto processuale d’impugnazione, impedendo anche la pronuncia di eventuali cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p. [45]. Alla luce di questo orientamento, è agevole prevedere che anche l’inammissibilità prevista dall’art. 581 comma 1-bis sarà ricondotta nel novero di quelle “genetiche”, tali da precludere l’esame del merito e la declaratoria di cause di non punibilità. Tuttavia, questa soluzione sarà plausibile sempre che il sindacato sulla “specificità” sia limitato al rilievo di vizi macroscopici; infatti, la qualificazione dell’invalidità di cui trattasi come “originaria” non si giustificherebbe più quando il suo rilievo richiedesse comunque un esame approfondito dei merita causae. Per quanto concerne i modi di rilevazione della “non specificità”, sembra che questa, così come gli altri vizi previsti dall’art. 591, vada dichiarata anche d’ufficio, de plano, senza contraddittorio; garanzia –quest’ultima– assicurata invece in via eventuale e posticipata, mediante la prevista possibilità di proporre ricorso per cassazione avverso l’ordinanza (da notificarsi alle parti) che ha dichiarato l’inam­mis­sibilità (art. 591 commi 2 e 3).


9. La ratio dell’art. 581 comma 1-bis: a) La razionalizzazione dell’appello in chiave di strumento di controllo sulla decisione di primo grado

Così ricostruita la portata del nuovo comma 1-bis, viene da interrogarsi in ordine alla relativa ratio. Ebbene, la nuova prescrizione sembra voler allontanare l’appello dalla figura del gravame puro, inteso all’integrale rivisitazione della regiudicanda [46]; e rivela, invece, la volontà di ridisegnare l’impu­gna­zione de qua in uno strumento di controllo tecnico della decisione di prime cure [47], diretto alla rilevazione di specifici errori, che l’appellante ha l’onere di indicare ed evidenziare puntualmente [48]. Ciò corrisponde del resto all’indicazione di un non recente ed autorevole orientamento [49], secondo cui la precedente e tradizionale “versione” dell’appello (rimasta sostanzialmente immutata con il passaggio dal Codice Rocco a quello Vassalli) risultava disarmonica rispetto al nuovo assetto accusatorio del processo penale. Quest’ultimo modello fa convergere i più sofisticati protocolli euristici (contraddittorio probatorio, oralità, immediatezza, concentrazione) nel dibattimento di primo grado. Cosicché, sembra incongruo che l’appello, senza dovere necessariamente replicare tali impegnative modalità di accertamento, possa risolversi in una rinnovazione del giudizio su base essenzialmente cartolare, e finanche comportare il ribaltamento della precedente decisione [50]. Insomma, posto che le prove dichiarative, riassunte in seconde cure, risulterebbero poco attendibili, avendo perso in spontaneità e genuinità; ne discende che il giudizio di appello, non consentendo di applicare integralmente i principi del contradittorio per la prova, dell’oralità e dell’immediatezza, non può essere configurato come un novum judicium; ma deve necessariamente venire disciplinato come un riesame “della decisione” di primo grado, volto a rilevarne e correggerne gli eventuali errori. Dunque, il nuovo capoverso mira anzitutto a spostare il focus dell’impugnazione, orientandola in misura minore sulla vicenda sub judice e maggiormente sulla sentenza appellata e sulle relative, eventuali, anomalie. Peraltro, se l’inserimento nell’art. 581 della nuova clausola è operazione principalmente destinata ad accentuare, nell’istituto dell’appello, la funzione della revisio prioris istantiae, riducendo lo spazio praticabile, in secondo [continua ..]


10. (Segue) B) La selezione in vista dell’accelerazione processuale

Peraltro, la nuova disposizione sembra voler raggiungere anche un ulteriore scopo. L’aver rafforzato l’onere della specificità “estrinseca” con una drastica comminatoria quale quella dell’inammissibilità mira infatti a raggiungere obiettivi deflattivi. Da un lato, si vuole scoraggiare la proposizione di appelli contro le sentenze rituali e ben argomentate, nei cui confronti, infatti, risulterà ardua la formulazione di rilievi che abbiano anche solo un fumus di fondatezza; dall’altro lato, si incanalano i gravami insufficientemente motivati verso un percorso procedurale semplificato destinato a concludersi con la dichiarazione della loro inammissibilità (ex art. 591 comma 2). In tal modo, il legislatore ha inteso reagire alle ipotesi di c.d. “abuso del processo”, laddove questo fenomeno si realizzi attraverso un utilizzo pretestuoso dell’impugnazione per finalità puramente dilatorie, senza che effettivamente sussistano ragioni di critica rispetto alla decisione di prime cure [52]. Trattasi di una operazione con finalità deflattiva, volta a ridurre i casi di ulteriore corso del processo in secondo grado [53], così diminuendo il carico di lavoro gravante sulle corti d’appello; secondo la medesima logica che ha condotto a modificare anche il criterio di scelta tra imputazione ed archiviazione e la regola di giudizio regolatrice della decisione conclusiva dell’udienza preliminare [54]. Del resto, la finalità di razionalizzare la giurisdizione d’appello attraverso una più accurata selezione delle domande d’impugnazione ben si colloca nel più vasto obiettivo del d. lgs. n. 150/2022, emergente perfino dalla rispettiva rubrica: «l’efficienza del processo penale [in vista della] celere definizione dei procedimenti giudiziari». Tale perseguita accelerazione è destinata sia a realizzare una politica economica conforme alle indicazioni dell’Unione Europea sia a dare compiuta attuazione al principio costituzionale e convenzionale della ragionevole durata del processo [55]. In particolare, l’appello è il segmento processuale apparso maggiormente bisognoso di una revisione destinata ad assicurarne maggiore efficienza e celerità, alla luce dei dati statistici che lo descrivono come il vero “collo di bottiglia” del procedimento penale: un [continua ..]


11. (Segue) C) I tradizionali obiettivi sottesi alla “specificità” nelle impugnazioni

Del resto, il citato obiettivo di razionalizzare l’amministrazione giudiziaria attraverso un più efficiente smaltimento delle cause penali giunte in grado di appello ben si ricollega allo scopo che tradizionalmente connota la richiesta specificità dei motivi di impugnazione. Infatti, già l’omologa condizione di ammissibilità prescritta dal c.p.p. 1930 (art. 201 comma 2) era stata giustificata con l’esigenza d’imporre alle parti la proposizione di gravami “seri” e “meditati” [57], così da orientare le medesime verso un contegno improntato a “disciplina processuale”; e, con riferimento alla versione originaria del c.p.p. 1988, la dottrina [58] aveva ravvisato, nei requisiti contenutisti dell’im­pugnazione di cui all’art. 581, un duplice intento: delineare con precisione l’ambito della cognizione devoluta al giudice ad quem, permettendo a quest’ultimo di valutare effettivamente anche l’esistenza dell’interesse ad impugnare; nonché evitare l’ulteriore corso di impugnazioni pretestuose e dilatorie. Del resto, risulta tralatizia la massima giurisprudenziale secondo la quale la chiara indicazione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le censure ha il «fine di delimitare con precisione l’oggetto del­l’impugnazione e di evitare impugnazioni generiche o dilatorie» [59]. Inoltre, l’atto di «perimetrare l’esatto tema devoluto [consente], da un canto, al giudice di individuare il contenuto e la finalità dei rilievi proposti e, al contempo, agli eventuali controinteressati di resistere» all’impu­gna­zione [60]. Del resto, anche le modifiche apportate all’art. 581 dalla l. 23 giugno 2017, n. 103, hanno mirato a razionalizzare il sistema delle impugnazioni, rafforzandovi la logica del controllo [61] e responsabilizzando maggiormente le parti nella iniziativa dei gravami [62]. La più recente novella del 2022, poi, fa corrispondere un più dettagliato paradigma normativo dei motivi di gravame ad un più dettagliato schema legale di motivazione della sentenza [63].


12. Profili costituzionali dell’art. 581 comma 1-bis: A) il diritto di difesa

Vien fatto – a questo punto – d’interrogarsi circa la compatibilità costituzionale e convenzionale della nuova disciplina. Difatti – in primo luogo –, se si tiene conto dell’esegesi per cui il diritto dell’imputato ad impugnare la sentenza sfavorevole rappresenta una proiezione al diritto di difesa [64], non può non suscitare perplessità il fatto che il nuovo onere di formulare solo specifiche critiche alla decisione sfavorevole perviene a costituire un ulteriore aggravio ed un inedito limite a carico dell’appellante. Tale imposizione, infatti, non sembra pienamente giustificata, se si considera la natura del giudizio di appello, quale tuttora risulta dall’immutato art. 597 c.p.p.; per il cui primo comma, il giudice ad quem è chiamato a conoscere i «punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti», senza dovere tener conto solo delle critiche rivolte dall’appellante [65]; egli – cioè – dovrà, sempre e comunque (sia pur solo limitatamente ai punti impugnati), replicare per intero il sillogismo giudiziario, ripercorrendo tutti i passaggi del ragionamento, dalla prima delle premesse all’ultima delle conclusioni, alla ricerca di eventuali errori commessi in prime cure; cioè, anche di vitia in procedendo aut in iudicando diversi da quelli che ha indicato la parte impugnante. Pertanto, imporre all’appellante di denunciare gli errori che egli ravvisa nella prima decisione appare irragionevole, quando i poteri cognitivi del giudice di secondo grado si estendono comunque a tutti i punti riguardo ai quali l’instante domanda la ripetizione del giudizio. Né varrebbe obiettare che detto comma 1-bis mira proprio a trasformare l’appello in uno strumento di mero controllo, fondato su specifiche ragioni, della decisione di primo grado: sinché non sarà mutato anche il citato primo comma dell’art. 597, permarrà inalterato, in capo al giudice di seconde cure, il compito di ripetere – comunque – il giudizio, alla ricerca di vizi, indipendentemente dalla relativa prospettazione di parte. A tal punto, allora, il nuovo capoverso dell’art. 581 parrebbe avere introdotto una limitazione del diritto di difesa incongrua (e, quindi, costituzionalmente illegittima), in quanto non commisurata alla natura dell’appello: quella cioè di mezzo [continua ..]


13. (Segue) B) il diritto all’”autodifesa”

La fissazione di un ulteriore requisito per la validità dell’atto di appello è parsa anche compressiva del diritto all’autodifesa, che trova fondamento nell’art. 24 comma 2 Cost. e che – con specifico riguardo alle impugnazioni – è espressamente garantito dall’art. 571, ove si attribuisce all’imputato la facoltà di presentare il gravame anche personalmente. Invero – come già rilevato con riguardo alla previgente versione dell’art. 581 – un appello i cui requisiti formali si facciano sempre più tecnici ed articolati non è più accessibile all’imputato, che non dispone delle “risorse culturali” necessarie ad affrontare la necessaria complessa operazione [69]. E tale osservazione appare tanto più plausibile all’indomani della “Riforma Cartabia”, che ha reso ancor più difficile elaborare i requisiti contenutistici del gravame. Eppure, con riguardo al giudizio di merito, il diritto all’autodifesa è stato riconosciuto dalla Giurisprudenza di legittimità quale necessario elemento di validità processuale [70]; e ciò dovrebbe anche valere per quanto concerne il potere di presentare personalmente l’impugnazione; la previsione del quale, ad opera del menzionato art. 571, sembra però essere stata resa concretamente ineffettiva e puramente teorica dalla nuova clausola qui in commento.


14. (Segue) C) il contraddittorio

A suscitare dubbi di legittimità costituzionale è anche la procedura che risulta stabilita per la verifica concernente il requisito di ammissibilità in oggetto [71]: il suo difetto può essere dichiarato non solo d’ufficio, ma anche de plano, al di fuori di ogni contraddittorio, sia pur anche solo cartolare, delle parti; in proposito, il solo “temperamento” [72] pare essere costituito dalla ricorribilità per cassazione dell’ordi­nanza dichiarativa del vizio, da notificarsi all’impugnante (v. art. 591 comma 2 e 3). Questa anomalia tanto più stupisce in quanto la declaratoria di inammissibilità comporta per l’ap­pellante conseguenze assai gravi: risulta esclusa la possibilità di un secondo giudizio di merito, né il giudice ad quem può dichiarare l’esistenza di cause di non punibilità che pur abbia eventualmente rilevato [73]. Anche a questo riguardo, quindi, lascia oltremodo perplessi l’orientamento della Suprema Corte; che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 591 comma 2, in riferimento all’art. 24 Cost. [74]; e che, anche successivamente, ha riaffermato la legittimità di una procedura non partecipata nella fase preliminare di ammissibilità [75]. L’ipotesi di un’inammissibilità dichiarata “a sorpresa” apparirà poi tanto più grave quando la valutazione in ordine alla specificità estrinseca dei motivi di appello, prescritta dall’art. 581 comma 1-bis, abbia finito per risolversi in un anticipato vaglio di infondatezza. Insomma, de iure condendo, appare doveroso sollecitare un’ulteriore riforma legislativa, volta a prevedere che il vaglio di specificità dei motivi si attui nel contesto di una fase preliminare, diretta a vagliare i requisiti di ammissibilità dell’impugnazione, destinata a svolgersi in un contraddittorio quanto meno cartolare, omologo a quello stabilito nell’ipotesi di ricorso per cassazione (art. 610 comma 1).


15. (segue) D) La parità tra le parti

Ad un primo esame, la nuova condizione di ammissibilità in discorso sembra rispettare il principio di parità tra le parti, oggi esplicitamente dettato dall’art. 111 comma 2 Cost. [76] Difatti, il comma 1-bis dell’art. 581 riguarda, nella stessa misura, tanto la parte pubblica che quella privata. Tuttavia, adottata un’ottica differente, taluno ha potuto scorgere una disparità di trattamento tra pubblico ministero ed imputato, paragonando gli atti con i quali le tali due parti sono chiamate, pur in gradi diversi del processo, ad investire il giudice della cognizione in ordine alla regiudicanda; e cioè – rispettivamente – la richiesta di rinvio a giudizio e l’atto di appello [77]. Con detta richiesta, il pubblico ministero investe ab origine l’organo giudicante di un certo “caso” penale, fissando unilateralmente, tramite l’imputazione, l’oggetto del processo ed il perimetro cognitivo del giudice. Quando ad appellare è l’imputato, invece, questi instaura un nuovo grado di giurisdizione, destinato a svolgersi di fronte ad un organo del quale egli stesso determina, tramite l’atto di impugnazione, l’ambito di cognizione (c.d. “effetto parzialmente devolutivo”). Entrambi i suddetti “atti d’impulso” soggiacciono alla regola della specificità: anche per il primo, si richiede che l’imputazione vi venga enunciata in forma “chiara” e “precisa” (art. 417 lett. b). Se non che, l’eventuale genericità dell’addebito formulato dal pubblico ministero, pur dando luogo ad una nullità, può essere agevolmente ovviata attraverso il meccanismo dell’art. 423; il quale – come attualmente interpretato – consente di procedere (anche a seguito di sollecitazione proveniente dal giudice) ad una precisazione dell’imputazione nell’udienza preliminare, senza che debba aversi alcuna regressione del procedimento [78]. Se, poi, il pubblico ministero non ne raccogliesse l’invito del giudice, questi restituirebbe gli atti alla parte pubblica; la quale – però – potrebbe (laddove ancora non fosse scaduto il termine di prescrizione) formulare nuova richiesta di rinvio a giudizio (stavolta, magari, enunciando con più dettaglio l’imputazione). Viceversa, qualora fosse l’atto di appello [continua ..]


16. Aspetti “convenzionali”: Gli artt. 6 § 1 C.E.D.U. e 2 Prot. 7

La nuova clausola di cui all’art. 581 comma 1-bis va considerata alla luce anche degli artt. 6 § 1 e 2 Prot. n. 7 C.e.d.u. Infatti – va rammentato – secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la prima di tali disposizioni (art. 6 § 1) implica che il diritto di accedere ad un Tribunale debba potere attuarsi anche davanti alle giurisdizioni di impugnazione, ove queste siano previste [79]. A sua volta, la suddetta clausola del settimo Protocollo attribuisce espressamente a «chiunque venga dichiarato colpevole di un’infrazione penale […] il diritto di sottoporre ad un tribunale della giurisdizione superiore la dichiarazione di colpevolezza o la condanna». Secondo la Giurisprudenza di Strasburgo, tali canoni convenzionali tollerano limitazioni [80], anche tramite l’imposizione di condizioni di ricevibilità dei gravami [81], purché tali requisiti abbiano uno scopo legittimo e siano proporzionati all’obiettivo perseguito. Dunque, se si considera che la Corte europea reputa “fine legittimo” anche uno scopo generico quale la “buona amministrazione della giustizia” [82], il citato comma 1-bis non sembra evocare, sotto questo primo profilo, alcuna problematica circa la sua “legittimità convenzionale”: si tratta di una norma che mira a razionalizzare il sistema delle impugnazioni, per rendere più spedita l’ammi­nistra­zione della giustizia; cioè, a realizzare un obiettivo facilmente riconducibile alla categoria dello “scopo legittimo”. La nuova “necessaria specificità” dei motivi potrà suscitare, invece, qualche perplessità ove venga considerata sotto il profilo “proporzionalità” di tale ulteriore clausola in rapporto a detto fine “legittimo”. Difatti, la Corte europea è solita valutare la proporzionalità o non di ogni condizione alla stregua della presenza di taluni “sintomi negativi”: la mancanza di chiarezza e prevedibilità dei requisiti prescritti dalla norma interna per accedere alla giurisdizione superiore; il fatto che la parte debba sopportare ingiustamente le conseguenze di errori ascrivibili all’autorità statuale; il formalismo eccessivo nel quale si risolvono taluni limiti, se intesi troppo rigorosamente [83]. Ebbene, la regola in oggetto sembra [continua ..]


17. Conclusioni

Tre brevi notazioni conclusive. La prima: ogni qual volta ci si confronta con il tema relativo all’accelerazione procedimentale, si opta preferibilmente per la riscrittura delle norme e, in particolare, per il taglio delle garanzie. Assai meno spesso, invece, si affrontano gli aspetti organizzativi e burocratici relativi alla amministrazione della Giustizia, che pure rappresentano una delle principali ragioni di mal funzionamento. Se l’appello penale dura in media 851 giorni, buona parte di questo tempo viene consumato solo per spostare il fascicolo di primo grado dalla cancelleria del Tribunale a quella della Corte di appello. La soluzione non dovrebbe essere quella di ridurre il numero di appelli, ma di movimentare più rapidamente le “carte”. In tal senso, meritoriamente, va quella parte della “Riforma Cartabia” intesa all’informatizzazione della Giustizia penale e, più in generale, ad incidere sui relativi aspetti pratico-operativi. In secondo luogo, complicare la forma degli atti processuali implica maggior dispendio di tempo per chi deve compierli e per chi deve valutarli; ed accresce il rischio di contenziosi; con conseguente vanificazione degli obiettivi di celerità perseguiti. Infine, sembra che ci stia avviando verso una regolamentazione legale degli processuali che prescrive per questi un sempre più dettagliato e rigoroso modello (cfr. artt. 546 e 581 come novellati dalla Riforma Orlando; art. 581 comma 1-bis). Analogamente, per quanto concerne il processo civile, è stata varata una norma che prevede la determinazione, con decreto ministeriale, di «schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo» (art. 46 comma 5 disp. att. c.p.c.) [88]. La sensazione è che, in un futuro non troppo lontano, complici la marcata informatizzazione e l’uti­lizzo dell’Intelligenza artificiale, si giunga a trasformare gli operatori del diritto in compilatori di moduli, i quali saranno trattati telematicamente da cervelloni elettronici, con ridotto apporto creativo del­l’essere umano e marcata spersonalizzazione della Giustizia.


NOTE