Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Spunti in tema di effetti degli esiti della messa alla prova (di Felice Pier Carlo Iovino, Professore associato di Procedura penale – Università degli Studi di Salerno)


Il codice penale non fornisce la nozione di effetti penali né indica il criterio generale che valga a distinguerli da tutta quella serie di conseguenze e situazioni anche processuali, per indicare le quali si ricorre egualmente al termine “effetti”.

Il presente lavoro intende ripercorrere le vicende connesse all’esito della messa alla prova evidenziandone e distinguendone gli “effetti”.

Ideas on the effects of the outcome of the probation

The penal code does not provide the notion of penal effects nor does it indicate the general criterion that distinguishes them from that whole series of consequences and situations, including procedural ones, to indicate which the term “effects” is also used.

This paper aims to trace the events related to the outcome of the probation by highlighting and distinguishing its “effects”.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La natura dell’istituto - 3. La disciplina - 4. Gli effetti processuali - a) La revoca dell’ordinanza e l’esito negativo - b) L’esito positivo della prova e l’estinzione del reato - 5. La continuazione con il reato già estinto - 6. La non menzione nel casellario di sospensione e estinzione - 7. Effetti della estinzione del reato e la confisca - 8. Gli effetti nei rapporti tra giudizi - a) La parte civile - b) Le sanzioni amministrative accessorie della confisca del veicolo e della sospensione della patente - c) Gli abusi edilizi - d) La confisca nei reati tributari - 9. Gli effetti dell’impugnazione del procuratore generale - NOTE


1. Premessa

Nel codice penale manca la definizione di effetto penale anche se sotto la denominazione di «effetti penali della sentenza di condanna», prevede tutta una serie di restrizioni poste a carico del colpevole di particolari reati [1]. Si tratta di limitazioni della sfera giuridica che al pari delle pene accessorie si ricongiungono all’illecito in via mediata. Conseguono “di diritto” alla sentenza di condanna, senza bisogno di uno specifico dictum del giudice [2]. Mentre le pene accessorie sono diretta propaggine della pena principale di cui seguono il destino, gli effetti penali si riportano alla dichiarazione di responsabilità in ordine ad uno specifico titolo criminoso e consistono in conseguenze della pronunzia di condanna, che possono essere previste dalla norma incriminatrice o da altre norme complementari [3]. Gli effetti penali e le pene accessorie sono come cerchi concentrici in cui i primi sono più ampi delle seconde [4] e più resistenti e impermeabili alle vicende estintive [5]. Gli effetti penali derivano dalla sentenza di condanna e restano latenti, sospesi, per poi esplicare i loro effetti in futuro nel caso in cui il soggetto ponga in essere successivamente ulteriori fatti o intenda esperire attività che possano risultare precluse o limitate da particolari previsioni normative. Non sono necessariamente prodotti in un procedimento penale richiedendosi solo che promanino da una pronunzia penale producendo riflessi in qualsiasi campo tanto pubblico quanto privato. L’effetto penale «mutua la propria natura penale, non tanto dal terreno in cui dovrà operare o dalle peculiarità del rapporto giuridico su cui verrà chiamato ad incidere, quanto dallo specifico carattere della decisione dalla quale esso si origina: vale a dire, l’effetto della condanna è penale perché nasce da una condanna penale» [6]. Per “effetti penali” della condanna devono intendersi quindi, tutte quelle restrizioni della capacità giuridica del soggetto, previste dalle singole norme destinate a creare limitazioni o preclusioni all’esercizio di facoltà o alla possibilità di ottenere benefici in diritto pubblico o privato, l’impedimento al godimento di benefici, sostanziali o processuali, promananti dall’intervenuto giudicato o che rappresentino il presupposto di inasprimento del sistema [continua ..]


2. La natura dell’istituto

L’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla l. n. 67/2014 [10] che ha disciplinato gli aspetti sostanziali introducendo gli artt. 168-bis, 168-ter e 168-quater c.p., mentre gli aspetti processuali sono stati regolati dagli artt. 464-bis ss. c.p.p. [11]. Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, “Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”, l’ha poi ridelineato. Da un punto di vista sostanziale si configura come causa di estinzione del reato, da un punto di vista processuale come procedimento speciale. È alternativo al giudizio, volto alla risocializzazione del reo, attraverso un percorso con finalità special-preventiva, che tiene conto della natura del reato, della personalità del soggetto e delle prescrizioni imposte, così da consentire sulla base di un favorevole giudizio prognostico di astensione dell’imputato dalla commissione di futuri reati [12], in caso di esito positivo, l’estinzione del reato [13]. La peculiarità dell’istituto è quella di essere caratterizzata dallo svolgimento di un “esperimento trattamentale” che sovverte il tradizionale sistema di intervento sanzionatorio, perseguendo finalità special-preventive e di soddisfacimento delle esigenze di prevenzione generale attraverso un trattamento che conserva i caratteri sanzionatori, seppure alternativi alla detenzione [14]. Manca una condanna ed una attribuzione di colpevolezza [15]: sulla base di una ipotesi di reato formulata nei confronti dell’im­putato che lo richieda, in assenza di un formale accertamento di responsabilità, è disposto un trattamento alternativo alla pena, che sarebbe stata applicata nel caso di condanna. Il trattamento alternativo programmato non è pena eseguibile coattivamente, ma un’attività rimessa alla spontanea osservanza delle prescrizioni impartite, da parte dell’imputato [16], a differenza delle prescrizioni penitenziarie, la cui inosservanza comporta conseguenze sul piano penale e\o trattamentale, la sua infrazione non è causa di aggravi di pena e\o revoca di benefici, ma della sola ripresa del processo [continua ..]


3. La disciplina

L’istituto originario è stato esteso [21], consentendo l’accesso alla messa alla prova anche per specifici reati puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, nonché per quelli contemplati all’art. 550, comma 2, c.p.p., che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori da parte dell’autore, compatibili con le finalità dell’istituto, e prevedendo che la proposta di sospensione del procedimento con messa alla prova possa essere avanzata anche dal pubblico ministero. Sono previsti due casi: istanza formulata in udienza (art. 464-bis c.p.p.) [22] o istanza formulata nel corso delle indagini preliminari (art. 464-ter c.p.p.) [23] sulle quali il giudice decide con ordinanza. A seguito di accoglimento è disposta la sospensione del procedimento, l’imputato viene affidato all’ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede come attività obbligatoria e gratuita, l’esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività che può essere svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato [24]. Parte fondante l’istituto è che l’imputato svolga attività riparative, volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato [25]. Il programma di trattamento viene elaborato dall’ufficio di esecuzione penale esterna competente per territorio, su formale richiesta dell’interessato o del suo procuratore speciale e predisposto in base alle specifiche caratteristiche della persona imputata. Al fine di riduzione del rischio di reiterazione del reato, il programma può prevedere l’osservanza di una serie di obblighi relativi alla dimora, alla libertà di movimento e al divieto di frequentare determinati locali, oltre a quelli essenziali al reinserimento dell’imputato e relativi ai rapporti con l’ufficio di esecuzione penale esterna e con eventuali strutture sanitarie specialistiche. La misura può essere concessa dal giudice per non più di una sola volta, o per una seconda, in relazione a reati connessi, ai sensi dell’art. 12, comma 1, [continua ..]


4. Gli effetti processuali

I mediatori e il personale dei Centri per la giustizia riparativa sono tenuti alla riservatezza sulle attività e sugli atti compiuti, sulle dichiarazioni rese dai partecipanti e sulle informazioni acquisite per ragione o nel corso dei programmi di giustizia riparativa, salvo che vi sia il consenso dei partecipanti alla rivelazione, che il mediatore ritenga la rivelazione assolutamente necessaria per evitare la commissione di imminenti o gravi reati ovvero che le dichiarazioni integrino di per sé reato. Le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del programma non possono essere utilizzate nel procedimento penale e nella fase dell’esecuzione della pena (art. 51 d.lgs. n. 150/2022). Al giudice è sottratta la valutazione del programma riparativo nel senso che la valutazione può essere positiva o negativa, ma il mancato raggiungimento dell’esito preventivato non può essere tenuto di nessun conto.


a) La revoca dell’ordinanza e l’esito negativo

La commissione da parte dell’interessato di grave e reiterata trasgressione del programma di trattamento o delle prescrizioni, il rifiuto opposto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità, la commissione durante il periodo di prova di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole di quello per cui si procede, implica che il giudice con ordinanza disponga la revoca dell’ordinanza di sospensione con messa alla prova e la ripresa del procedimento [26]. La disciplina del procedimento nel caso di revoca dell’ordinanza di ammissione o di esito negativo della prova è contenuta nell’art. 464-octies, comma 4, c.p.p. secondo cui «Quando l’ordinanza di revoca è divenuta definitiva, il procedimento riprende il suo corso dal momento in cui è rimasto sospeso e cessa l’esecuzione delle prescrizioni e degli obblighi imposti» e nell’art. 464-septies, comma 2, c.p.p. in base al quale «In caso di esito negativo della prova, il giudice dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso». La sospensione prevede, nell’ipotesi di richiesta dell’interessato formulata al giudice nel corso delle indagini preliminari, che il consenso del pubblico ministero sia sinteticamente motivato e prestato unitamente alla formulazione dell’imputazione. Nel silenzio del legislatore si pone il problema se tale imputazione possa avere valore di esercizio dell’azione penale. Una valorizzazione del dato letterale dell’art. 405 c.p.p., che non ricomprende fra le ipotesi di esercizio dell’azione penale quella prevista dal titolo V-bis del codice di rito, spingerebbe a ritenere che l’im­putazione formulata al momento della prestazione del consenso alla messa alla prova (art. 464-ter c.p.p.), non costituisca esercizio dell’azione penale, dal momento che la richiesta di ammissione interviene prima che il pubblico ministero vi provveda per cui il processo risulterebbe sospeso prima dell’esercizio dell’azione penale. A diversa conclusione si perviene se si ritiene che l’imputazione effettuata in base all’art. 464-ter, comma 3, c.p.p. comporta esercizio dell’azione penale in quanto il processo non potrà in alcun caso regredire alla fase delle indagini preliminari, poiché il magistrato non potrà provvedere nuovamente su adempimenti già svolti. La sistematica [continua ..]


b) L’esito positivo della prova e l’estinzione del reato

Il giudice, decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova, dopo aver acquisito la relazione conclusiva dell’ufficio penale esterno, fissa l’udienza. Di solito, nei reati procedibili a querela, la condotta riparatoria, che abbia riparato interamente il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, ed abbia eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato, induce il querelante a rimettere la querela, con conseguente estinzione del reato [38]. In questo caso l’istituto raggiunge pienamente “l’effetto di mediazione” tra le parti certificando la remissione della querela l’avvenuta composizione. Il giudice non potrà che prendere atto dell’accordo tra le parti e dell’intervenuta estinzione del reato e non potrà conseguentemente valutare il rispetto delle prescrizioni e la congruità del risarcimento [39]. Nel caso di reato non punibile a querela o che la “persona offesa” non intenda rimettere la querela, il giudice se ritiene che la messa alla prova abbia avuto comunque esito positivo, tenuto conto del comportamento dell’imputato e del rispetto delle prescrizioni imposte e che il danno da esso cagionato è stato interamente riparato art. 162-ter c.p., dichiara con sentenza l’estinzione del reato che certifica l’avvenuta risocializzazione. La scelta di voler addivenire all’esito positivo della messa alla prova prima della pronunzia della sentenza penale di condanna giustifica la collocazione dell’estinzione del reato per condotte riparatorie (art. 162-ter c.p.) fra le cause di estinzione del reato (capo I del titolo VI c.p.) ma apre a una serie di perplessità. Le cause di estinzione del reato [40] unitamente a quelle di estinzione della pena, determinano l’estinzione della punibilità di un fatto integrante illecito penale sia su un piano oggettivo che soggettivo. Mentre le cause di estinzione della pena [41] presuppongono l’emanazione di una sentenza di condanna di cui inficiano l’esecuzione [42], le cause estintive del reato operano sulla punibilità in astratto, antecedentemente rispetto alla sentenza definitiva di condanna eliminando qualsiasi espressione della potestà punitiva evidenziando una rinuncia dello Stato all’accertamento del reato. Il meccanismo operativo dell’istituto [continua ..]


5. La continuazione con il reato già estinto

La necessità di compensare il favor separationis, tipico di un processo penale accusatorio che tende a negare il processo cumulativo, con l’interesse dell’imputato ad usufruire in caso di condanna dei vantaggi della continuazione e quindi, ottenere un trattamento sanzionatorio all’esito di una valutazione globale anziché frazionata, ha portato il legislatore a prevedere l’applicazione dell’istituto in fase esecutiva. La messa alla prova non si sottrae al principio in quanto l’intervento di una causa estintiva non fa venire meno l’interesse del condannato al riconoscimento della continuazione [49], anche nel caso in cui dalla riconsiderazione dei fatti giudicati non derivino immediate e concrete conseguenze rispetto all’en­tità della pena da espiare. L’interesse del condannato a tale riconsiderazione sussiste in ragione di effetti e conseguenze che potenzialmente ne possano derivare [50] soprattutto al fine di escludere o limitare gli effetti penali della condanna in tema di recidiva e di dichiarazione di abitualità o professionalità e di consentire, in assenza di precedenti sentenze divenute definitive, la concessione della sospensione condizionale in caso di un’ulteriore condanna [51]. La disciplina originaria prevedendo che la messa alla prova non potesse essere concessa più di una volta escludeva la possibilità dell’applicazione della disciplina della continuazione. La Corte costituzionale, movendo dalla constatazione dell’irragionevole disparità di trattamento tra l’imputato cui tutti i reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso vengano contestati nell’ambito di un unico procedimento, nel quale egli ha la possibilità di accedere al beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova, e l’imputato nei cui confronti l’azione penale venga inizialmente esercitata solo in relazione ad alcuni di tali reati, e che si veda contestare gli altri, per effetto di una scelta discrezionale del pubblico ministero o di altre evenienze processuali, nell’ambito di un diverso procedimento, dopo che egli abbia già avuto accesso alla messa alla prova, ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 168-bis, comma 4, c.p., nella parte in cui non prevede che l’imputato possa essere ammesso alla sospensione del [continua ..]


6. La non menzione nel casellario di sospensione e estinzione

L’iscrizione della condanna nel casellario giudiziale risponde ai requisiti richiesti per essere annoverata tra gli effetti penali della condanna [55], perché è conseguenza immediata di una sentenza di condanna penale, che non necessita della mediazione di un provvedimento amministrativo discrezionale, ed è una conseguenza di natura indubbiamente sanzionatoria [56]. Il legislatore, al fine di scongiurare effetti penali pregiudizievoli, ha previsto nel Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale [57] che nel certificato del Casellario richiesto dall’interessato non debba figurare alcuna traccia delle iscrizioni dei provvedimenti che dispongono la sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 464-quater c.p.p.) e delle sentenze che dichiarano estinto il reato per esito positivo della messa alla prova (art. 464-septies c.p.p.) [58]. Sul punto ha avuto modo di pronunciarsi anche la Corte costituzionale [59] che ha di fatto anticipato il contenuto del d.lgs. n. 122/2018, che sarebbe poi entrato in vigore a fine ottobre 2019. L’intento è stato quello di razionalizzare il sistema delle iscrizioni prevedendo l’oscuramento parziale delle indicazioni sulla messa alla prova nelle certificazioni rilasciate su richiesta dell’interessato superando le irragionevoli disparità di trattamento e la violazione del principio rieducativo della pena; l’in­serimento dei provvedimenti sulla messa alla prova nei certificati del casellario si è rivelato, infatti, pregiudizievole per i soggetti che hanno beneficiato della misura creando una disparità tra il patteggiamento e la messa alla prova. Pur essendo entrambi procedimenti diretti ad assicurare all’imputato un trattamento più vantaggioso di quello del rito ordinario nel caso del patteggiamento si prevedeva la non menzione nel casellario, mentre per chi affrontava un percorso di messa alla prova adempiendo agli obblighi risarcitori e riparatori in favore della persona offesa e della collettività, per effetto di una scelta volontaria tale beneficio non era previsto. La disparità era aggravata dalla circostanza che mentre per la generalità dei casi esiste la possibilità di beneficiare della non menzione della condanna nei certificati qualora si sia ottenuta la riabilitazione, nel caso dei provvedimenti relativi alla [continua ..]


7. Effetti della estinzione del reato e la confisca

La confisca è una misura di sicurezza patrimoniale tendente a prevenire la commissione di nuovi reati, mediante l’espropriazione a favore dello Stato di beni che restando nella disponibilità del reo, manterrebbero in vita l’attrattiva al reato, riconoscendo ad essa natura di prevenzione, che mantiene la sua efficacia anche quando il reato, per qualsiasi causa, dovesse estinguersi. La confisca può essere facoltativa od obbligatoria. Si qualifica facoltativa la confisca applicata alle cose che sono servite o che sono state destinate a commettere il reato, ovvero alle cose che ne sono il prodotto o il profitto. Essa può essere applicata dal giudice solo nel caso di sentenza di condanna sulla base della accertata pericolosità della cosa relativa all’uso che il reo può farne avendone la disponibilità. L’estinzione del reato preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, perché, in tale ipotesi, difetta il presupposto richiesto dalla norma (la condanna dell’imputato), ma non anche della confisca di cui al n. 2) del secondo comma, avente ad oggetto le «cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato», che possono essere confiscate anche se non è stata pronunciata condanna [63]. La confisca di cui all’art. 474-bis c.p., che viene in rilievo in termini di obbligatorietà presuppone una sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta, alle quali non può essere equiparata la sentenza di proscioglimento per esito positivo della messa alla prova di cui all’art. 464-septies c.p.p., non essendo tale decisione idonea ad esprimere un compiuto accertamento sul merito dell’accusa e sulla responsabilità [64]. Il principio vale anche per quanto riguarda la violazione delle disposizioni sulla caccia e la confisca delle armi. La l. 11 febbraio 1992, n. 157, Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, prevede all’art. 28, comma 2, che, in caso di condanna [65] per le ipotesi di reato di cui all’art. 30, comma 1, lettere a), b), c), d) ed e), le armi ed i mezzi di caccia siano in ogni caso confiscati [66]. L’art. 30, comma 3, prevede che salvo quanto espressamente previsto dalla stessa legge, “continuano ad applicarsi le disposizioni di legge e di [continua ..]


8. Gli effetti nei rapporti tra giudizi

Il codice dalla configurazione unitaria della giurisdizione deduce la parità e originarietà dei diversi ordini, con la conseguente, sostanziale autonomia e separazione dei giudizi [72]. Questa scelta di principio trova un limite nell’esigenza di evitare la contraddittorietà dei giudicati che si realizza con l’attribu­zione di un valore preclusivo al giudicato penale, in particolari, specificate ipotesi, che riguardano le sentenze di condanna (art. 651), di proscioglimento per particolare tenuità del fatto (art. 651-bis), di assoluzione (art. 652), rispetto ai giudizi civili o amministrativi di danno, nei giudizi disciplinari (art. 653), negli altri giudizi civili o amministrativi, diversi da quelli di danno (art. 654). Si tratta di disposizioni sottoposte ad un doppio condizionamento: il primo, ripetutamente richiamato nella giurisprudenza costituzionale e fatto proprio dalle direttive 22-25 dell’art. 2 della l.d. n. 81/1987, impone il rispetto del diritto di difesa e di contraddittorio [73]; il secondo le vincola ad una interpretazione restrittiva, ponendosi come eccezioni al principio di autonomia dei diversi ordini giurisdizionali [74]. Per quanto concerne la possibile influenza, seppur non vincolante, del giudicato penale su altro procedimento penale, l’art. 238-bis consente l’acquisizione, in dibattimento, delle sentenze penali emesse da un giudice italiano, divenute irrevocabili, alle quali è riconosciuta l’idoneità a provare il fatto in esse accertato, purché corroborate da ulteriori elementi di prova, in tal caso, la prova del fatto non può essere desunta esclusivamente dalla sentenza acquisita, ma deve trovare conferma in altre risultanze. La circostanza che la sentenza di estinzione del giudizio per messa alla prova non sia equiparabile ad una sentenza di condanna non accertando fatti fa sì che operi il principio di autonomia e separazione di giurisdizione.


a) La parte civile

Dalla autonomia e separazione dei giudizi deriva che nell’ipotesi in cui l’azione civile per le restituzioni o il risarcimento sia esercitata in sede civile in pendenza di un processo penale per lo stesso fatto, non operando la regola della pregiudizialità penale il processo civile prosegue autonomamente (art. 75, comma 2, c.p.p.) [75], e la sentenza penale irrevocabile di assoluzione non ha efficacia di giudicato nel processo civile se il danneggiato ha esercitato l’azione in sede civile a norma dell’art. 75, comma 2, c.p.p. (art. 652, comma 1, c.p.p.). Nell’ipotesi in cui la domanda risarcitoria sia proposta con la costituzione di parte civile nel processo penale, i rapporti tra azione civile e poteri cognitivi del giudice penale sono informati al principio dell’”accessorietà” dell’azione civile rispetto a quella penale, principio che trova fondamento nelle «esigenze, di interesse pubblico, connesse all’accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi», e che ha come conseguenza quella che l’azione civile, se esercitata nel processo penale, «è destinata a subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura» di tale processo [76]. L’accessorietà trova la sua espressione nel principio che vuole che il giudice penale quando pronuncia sentenza di condanna (art. 538, comma 1, c.p.p.) decida sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta con la costituzione di parte civile. La condanna penale, dunque, costituisce il presupposto indispensabile del provvedimento del giudice sulla domanda civile: se emette sentenza di proscioglimento, tanto in rito (sentenza di non doversi procedere: artt. 529 e 531 c.p.p.) quanto nel merito (sentenza di assoluzione: art. 530 c.p.p.), il giudice non deve provvedere sulla domanda civile; se invece pronuncia sentenza di condanna (art. 533 c.p.p.), provvede altresì sulla domanda restitutoria o risarcitoria, accogliendola o rigettandola. Questa regola generale trova applicazione senza deroga alcuna nel giudizio penale di primo grado: il giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno se emette sentenza di condanna dell’imputato, soggetto debitore quanto alle obbligazioni civili risarcitorie o restitutorie. La subordinazione della concessione della messa alla prova all’impegno [continua ..]


b) Le sanzioni amministrative accessorie della confisca del veicolo e della sospensione della patente

L’estinzione del reato per esito positivo della prova non pregiudica l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, della confisca del veicolo e della sospensione della patente [84]. Il codice della strada in materia di guida in stato di ebbrezza prevede all’art 186, in base al tasso alcolemico rilevato, tre diverse forme di illecito, uno amministrativo e due penali [85]. Le sanzioni sono raddoppiate se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale (art. 186, comma 2-bis, c. str.). Il successivo comma 9-bis prevede che la pena detentiva e pecuniaria, se non si è provocato incidente stradale, può essere sostituita se non vi è opposizione da parte dell’imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità [86] consistente nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività, da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale. Tale beneficio non può essere concesso più di una volta. Il procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative accessorie della sospensione e della revoca della patente e quello di applicazione delle sanzioni amministrative accessorie della confisca amministrativa e del fermo amministrativo in conseguenza di ipotesi di reato (artt. 224 e 224-ter c. str.) prevedono che la declaratoria di estinzione del reato per morte dell’imputato importa l’estinzione della sanzione amministrativa accessoria (art. 224, comma 3, e art. 224-ter, comma 6, c. str.). Nel caso di estinzione del reato per altra causa, il prefetto procede all’accertamento della sussistenza delle condizioni di legge per l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria (artt. 218 e 219 c. str.) e all’applicazione della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida (artt. 213 e 214 c. str.) in quanto compatibili, all’applicazione della sanzione accessoria della confisca, stabilendo, altresì, che l’estinzione della pena successiva alla sentenza irrevocabile di condanna non ha effetto sull’ap­plicazione della sanzione amministrativa accessoria. All’interno di questo quadro normativo si è posto il problema degli effetti dell’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, che ha spinto a due pronunce di illegittimità costituzionale per quanto riguarda la [continua ..]


c) Gli abusi edilizi

L’ordine di demolizione di cui all’art. 31, comma 9, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, per interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, costituisce l’esplicitazione di un potere sanzionatorio attribuito dalla legge al giudice penale e prevede che questi, con la sentenza di condanna ordini la demolizione delle opere abusive se non sia stata ancora eseguita [92]. Si tratta una sanzione amministrativa di tipo ablatorio [93] irrogata con provvedimento giurisdizionale in forza dell’organo istituzionale al quale è attribuita l’applicazione a seguito di “sentenza di condanna” [94], e come tale soggetta all’esecuzione nelle forme previste dal codice di procedura penale. Conseguentemente richiede come presupposto indefettibile che il giudice abbia pronunciato sentenza di condanna o di applicazione di pena concordata [95]. Ne deriva che il giudice penale non potrà ordinare la demolizione in conseguenza e come effetto della declaratoria di estinzione per esito positivo del procedimento di sospensione con messa alla prova, pronuncia che non può essere equiparata alla “sentenza di condanna” [96] richiesta come presupposto [97]. Così, come avviene in tema di violazioni al codice della strada, l’ordine di demolizione non rimane irrimediabilmente precluso dall’intervenuta estinzione del reato, perché in forza dell’espressa previsione dell’art. 168-ter c.p. potrà e dovrà essere irrogato, ricorrendone i presupposti di legge, dall’autorità amministrativa [98]. La concessione del beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova, ai sensi dell’art. 168-bis c.p., è rimessa al potere discrezionale del giudice e postula un giudizio volto a formulare una prognosi positiva riguardo all’efficacia riabilitativa e dissuasiva del programma di trattamento proposto e alla gravità delle ricadute negative sullo stesso imputato in caso di esito negativo [99]. Nel caso di reati edilizi comporta, oltre il possibile il risarcimento del danno cagionato, l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare [continua ..]


d) La confisca nei reati tributari

L’art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 prevede che in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p. per un qualsiasi delitto tributario, la confisca obbligatoria dei beni che ne costituirono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato (confisca diretta); quando la confisca diretta del prezzo o profitto del reato non risulti possibile prevede sia ordinata la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto (confisca per equivalente) [102]. La confisca per equivalente prevede l’impossibilità di individuare direttamente il prezzo o profitto del reato da sottoporre a confisca diretta e la disponibilità da parte del reo dei beni da sottoporre a confisca. Opera, pertanto, su beni estranei al fatto di reato, perseguendo lo scopo di sottrarre al reo il lucro ottenuto dalla commissione dell’illecito penale [103]. Persegue finalità afflittive e general-preventive discostandosi dalla funzione special-preventiva caratterizzante la confisca diretta. La giurisprudenza ha evidenziato la natura sanzionatoria della confisca per equivalente con la conseguente sottrazione al regime delle misure di sicurezza e la soggezione al regime giuridico delle pene [104]. Conseguentemente sia per espressa previsione normativa, che tenuto conto della sua natura può essere disposta soltanto con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta, art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 [105]. La declaratoria di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, ai sensi degli artt. 168-ter c.p. e 464-septies c.p.p., che prescinde da un accertamento di penale responsabilità, non può consentire la confisca per equivalente [106].


9. Gli effetti dell’impugnazione del procuratore generale

Le Sezioni Unite chiamate a dirimere la questione se il procuratore generale sia legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, l’ordinanza che ammette l’imputato alla messa alla prova (art. 464-bis c.p.p.), e in caso affermativo, per quali motivi, hanno affermato che il Procuratore generale è legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, per i motivi di cui all’art. 606 c.p.p., l’ordinanza di ammissione alla prova ritualmente comunicatagli, e, in caso di omessa comunicazione della stessa, ad impugnare quest’ultima unitamente alla sentenza di estinzione del reato per esito positivo della prova [107]. Il collegio afferma che il procedimento di messa alla prova, in cui si svolge «un vero e proprio esperimento trattamentale, autonomo rispetto all’ordinario processo di cognizione, sia con riferimento ai requisiti di ammissibilità, che alla fase di esperimento del trattamento, durante il quale si dà corso ad una fase procedimentale alternativa rispetto a quella principale sulla base di una prognosi di astensione dell’imputato dalla commissione di futuri reati», non può essere considerato un procedimento incidentale, essendo esso sempre collegato a quello principale, che si chiude o con la declaratoria di estinzione del reato, in caso di esito positivo della prova, o con la ripresa dell’accertamento penale, se la prova ha avuto esito negativo o viene revocata [108]. Quanto ai vizi deducibili, individuando l’art. 464-quater, comma 7, c.p.p., il rimedio del ricorso per cassazione, vi è implicito rinvio ai motivi di ricorso indicati dall’art. 606, comma 1, c.p.p. e, dunque, ai vizi di violazione di legge e di motivazione, e ciò presuppone che, a monte, egli, in quanto parte del procedimento, abbia diritto, ai sensi dell’art. 128 c.p.p., ad avere tempestiva comunicazione dell’ordinanza [109]. La presa di posizione della cassazione apre ad una pronuncia che coinvolgendo tanto la sentenza di estinzione del procedimento quanto l’ordinanza di sospensione può travolgere il cumulo delle prescrizioni concernenti la eliminazione delle conseguenze dannose e pericolose del reato, espressamente previste dall’art. 168-bis, comma 2, c.p., producendo effetti sull’intero procedimento. Nel caso in cui al procuratore generale non sia stata comunicata l’ordinanza quest’ultimo potrebbe [continua ..]


NOTE