La pronuncia mette in luce il carattere soggettivo dell’art. 162-ter c.p. richiamando le diverse regole alle quali la norma sembra essersi ispirata; per la precisione i riferimenti vanno all’art. 62 comma 1, n.6 c.p. e all’art. 35 d.lgs. n. 274/2000. La sentenza fornisce l’opportunità, altresì, di evidenziare le discrepanze tra quanto previsto oggi dalla giustizia riparativa e quanto disposto dall’estinzione del reato per condotte riparatorie. L’indagine si inserisce anche nell’area socio-criminologica dando modo di riflettere sull’effettiva efficacia deflattiva dell’istituto e sulle sue criticità.
The ruling highlights the subjective nature of the art. 162-ter c.p., recalling the various cases to which the provision seems to have been inspired and connected, to be precise, art. 62 comma 1, n.6 c.p. and the art. 35 legislative decree n. 274 of 2000. Also, it provides the opportunity to highlight the discrepancies between what is foreseen today by restorative justice and what is established by the extinction of the crime for restorative conduct. On closer inspection, the investigation also fits into the socio-criminological area, giving the opportunity to reflect on the effective deflationary effectiveness of the institution and on the critical issues connected to it.
1. Incipit - 2. I contenuti dell’art. 162-ter c.p. - 3. Analogie, contaminazioni, differenze: gli artt. 62 n. 6 c.p. e 35 d.lgs. n. 274/2000 - 4. Estinzione del reato per condotte riparatorie e giustizia riparativa: un solco netto - NOTE
Accusato del delitto di cui agli artt. 110 c.p. e 640 c.p. dal Tribunale e dalla Corte d’Appello di Perugia, l’imputato proponeva ricorso in cassazione deducendo, come primo motivo, la violazione dell’art. 162-ter c.p. per «mancata estensione da parte del giudice di merito dell’effetto estintivo del reato a seguito delle condotte riparatorie poste in essere dall’altro imputato» a cui aggiungeva la stigmatizzazione del disposto ex art. 182 c.p. per una lettura in chiave esclusivamente soggettiva che, a dire del ricorrente, sarebbe in netto contrasto con i principi garantiti dagli artt. 3 e 24 Cost. La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso confermando, per quanto concerne il primo motivo, la natura soggettiva della causa estintiva prevista all’art. 162-ter c. p., sicché la condotta riparatoria posta in essere per ottenere l’estinzione del reato, come rilevato più volte anche durante la trattazione, non potrà essere riconosciuta ad altri soggetti in qualità di coimputati [1].
Il commento della sentenza in oggetto richiede diversi approfondimenti; innanzitutto, il contenuto dell’art. 162-ter c.p. e le sue fonti, il collegamento con le garanzie costituzionali e la loro eventuale violazione, le problematicità scaturenti da un raffronto con la giustizia riparativa. Partendo dal primo punto occorre soffermarsi sull’estinzione del reato per condotte riparatorie, un istituto generale, relativamente recente, introdotto dall’art. 1, della l. 23 giugno 2017 n. 103 – poi successivamente modificato dalla l. 4 dicembre 2017, n.172 per risolvere la problematica legata al disvalore della fattispecie degli atti persecutori prefigurandosi un’eventuale monetizzazione dell’offesa – e inserito nel codice penale tra le cause di non punibilità sopravvenuta, dopo le norme sull’oblazione. Le sue fonti risalgono al progetto della cd. Commissione Fiorella, che sosteneva la «necessità di contrarre l’intervento del diritto penale a causa della progressiva dilatazione del ricorso alla sanzione penale, con pregiudizio per la sua natura di extrema ratio» [2] così rispondendo all’esigenza deflattiva già attestata dalla famosa sentenza Torreggiani e altri c. Italia [3]. Volta al contenimento del diritto penale [4] la norma in esame sembra ispirarsi a principi di politica-criminale di stampo riparativo [5], laddove stabilisce che, limitatamente all’ambito dei reati perseguibili a querela soggetta a remissione, «il giudice dichiara l’estinzione del reato quando l’imputato ha riparato interamente il danno con le restituzioni o il risarcimento e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato». Ma la ratio risponde anche alla necessità di risparmiare tempo, evitando il processo, qualora prima dell’inizio del dibattimento l’imputato abbia provveduto a risarcire alla vittima il danno cagionato. Precisamente, il risarcimento prevede il versamento di una somma di denaro pari al pregiudizio causato, mentre nel caso di restituzioni si presuppone la reintegrazione dello stato di fatto preesistente alla commissione del reato. Nonostante i migliori propositi, l’applicazione dell’art. 162-ter c.p. ha presentato sinora scarso successo e un’operatività limitata, essendo del tutto sovrapponibile ai casi di remissione della querela, peraltro, oggi [continua ..]
Come sottolineato dalla pronuncia, l’istituto in esame pare ispirarsi alla circostanza attenuante comune di cui all’art. 62 comma 1, n. 6 c.p. che dispone una diminuzione di pena qualora prima del giudizio venga «riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni», attraverso un comportamento spontaneo ed efficace per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato. Inoltre, le condotte riparatorie previste dal codice penale sembrano riprendere quanto disposto dall’art. 35, d.lgs. 28 agosto, n. 274 che regolamenta una simile disposizione estintiva. Riguardo al collegamento tra l’art. 162-ter c.p. e l’art. 62 comma 1, n. 6 c.p. si rileva una criticità attinente alla natura della circostanza attenuante su cui si era già pronunciata la Consulta [21]. La Corte costituzionale, in merito al risarcimento del danno ad opera di un terzo, classificava l’art. 62 n. 6 c.p. come attenuante di stampo oggettivistico [22], in quanto ispirata ad una parità di trattamento tra danneggianti e a finalità solidaristiche, negando la presenza di un legame con il ravvedimento del reo e ammettendo il risarcimento da parte del terzo [23]. Quindi, nel caso in cui il fatto di reato sia causalmente riconducibile a più autori, anche il risarcimento, teoricamente, dovrebbe essere riconducibile a tutti i colpevoli che invocano l’applicazione dell’attenuante i quali, in questo modo, concorrono nella riparazione del danno, in base all’applicazione del principio di solidarietà ai sensi dell’art. 187 comma 2 c.p. [24]. Successivamente, però, le Sezioni Unite pur confermando l’impostazione della Consulta circa l’assenza di ravvedimento nell’attenuante in discussione, negavano che la riparazione effettuata da un concorrente potesse giovare anche agli altri, sottolineando la natura soggettivistica dell’art. 62 comma 1, n.6 c.p. [25]. Per quanto concerne, invece, il raffronto tra l’art. 162-ter c.p. e l’art. 35 d.lgs. n. 274/2000, se entrambe le previsioni sembrano ammettere come requisito imprescindibile la spontaneità [26], nell’art. 162-ter c.p. sembrerebbe mancare una valutazione circa l’idoneità delle condotte riparatorie [27]. L’audizione delle parti e della persona offesa sarebbe, [continua ..]
È evidente che la positiva condotta dell’imputato e la possibilità per la persona offesa di ottenere un risarcimento stanno alla base della ratio dell’art. 162-ter c.p., previsione che, pertanto, intende rispondere in primis, alla necessità di ridurre il carico giudiziario. Inquadrata in questo meccanismo di deflazione la norma sembra aggiungersi alla sospensione del procedimento con messa alla prova, ex art. 168-bis c.p. e all’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis c.p., pensati in un’ottica di economia processuale [29]. La collocazione dopo le norme dedicate all’oblazione ne evidenzia, in particolare, l’effetto estintivo successivo alla condotta riparatoria che già si era auspicato, nel 1999, durante i lavori della commissione Grosso per la riforma del codice penale, quando si era proposto di attribuire rilievo proprio ai comportamenti riparatori successivi alla commissione del reato riprendendo modelli come quello dell’art. 74 c.p. portoghese e della Wiedergutmachung [30]. Tuttavia, è opportuno precisare che mentre l’oblazione si applica a fattispecie in cui è predominante l’interesse dello Stato che rinuncia alla pretesa punitiva ritenendo preferibile privilegiare la deflazione dei procedimenti rispetto alla punizione del colpevole, nel caso dell’art. 162-ter c.p. la norma impone alla vittima, che ha querelato, di “accontentarsi” della condotta riparatoria per una veloce definizione del processo [31]. L’ambito applicativo dell’istituto, limitato ai soli reati procedibili a querela rimettibile, e caratterizzato per lo più da una conflittualità privata, non sembra rientrare nelle impostazioni attuali della giustizia riparativa [32]. In effetti, pur manifestando una funzionalità di tipo specialpreventivo, oltre che adoperarsi per il superamento del binomio reato-pena, la norma appare priva di un effetto risocializzante se, segnatamente, si considera l’assenza di mediazione tra le parti ovvero di quell’individuazione del rapporto autore-vittima fondato su un consenso libero ed informato. Elementi, questi ultimi, che contraddistinguono l’attuale giustizia riparativa, espressione di una concreta modalità alternativa alla gestione dei conflitti, che trova le sue origini nella multifattorialità [continua ..]