Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


La messa alla prova per gli enti al vaglio delle Sezioni unite: ultimo atto? (di Giulio Garuti, Professore ordinario di Diritto processuale penale – Università di Modena e Reggio Emilia)


Dopo essere stata vivacemente dibattuta dalla dottrina e da alcuni magistrati di merito, la questione relativa all’ammissibilità della sospensione del procedimento con messa alla prova nel rito che si celebra nei confronti delle persone giuridiche è approdata dinanzi alle Sezioni unite, che hanno optato per la tesi restrittiva. Il contributo ripercorre gli orientamenti della giurisprudenza in materia e rileva alcune criticità nella pronuncia della Suprema corte, manifestando infine un auspicio per il futuro.

Probation for corporations referred to the Joint Chambers: last act?

After having been lively debated by scholars and courts of merit, the possibility for corporations to request the suspension of proceedings pending probation came before the Joint Chambers of the Court of Cassation, which opted for the restrictive thesis. The article recalls the orientations of the case law on the subject, notes some critical points in the Supreme Court’s ruling and, at the end, expresses a hope for the future.

SOMMARIO:

1. Processo penale de societate e formante giurisprudenziale - 2. Le posizioni della giurisprudenza di merito sulla praticabilità del probation - 3. L’intervento delle Sezioni unite e un auspicio per il legislatore futuro - NOTE


1. Processo penale de societate e formante giurisprudenziale

In un contesto in cui l’esigenza di dedicare attenzione ai c.d. modelli differenziati di accertamento risulta sempre più pressante a causa di una proliferazione normativa in continua evoluzione, la scelta di soffermarsi a valutare – a distanza di poco più di venti anni dalla sua introduzione – lo stato dell’arte del processo penale agli enti, se per un verso aiuta certamente l’interprete a rendersi conto di quelli che, nella pratica, sono i punti più problematici della disciplina, per altro verso consente di enucleare alcune valutazioni di sistema. Muovendo da tali premesse, non si può non rendersi subito conto del ruolo predominante assunto, in questa materia più che in altre, dal formante giuri­spru­denziale. A voler offrire un bilancio sulla reale efficacia del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, si dovrebbe anzitutto dar conto della difficoltà con cui il sistema punitivo ideato dal legislatore di inizio millennio è stato attuato dalla magistratura, che – ovviamente con le dovute eccezioni – ha rivelato più o meno consapevoli resistenze alla sua applicazione (lato requirente) e non è apparsa pienamente in grado di affrontare le questioni tecniche sottese a questo tipo di responsabilità (lato giudicante). Questo stato di cose ha determinato non solo ingiustificate disparità di trattamento sanzionatorio in relazione a situazioni delittuose analoghe, ma anche ripercussioni di varia natura, chiamate a manifestarsi vuoi all’interno vuoi all’esterno del processo che vede coinvolte la sola persona fisica o la persona fisica e quella giuridica. Certo, è innegabile che, dall’avvento della responsabilità “amministrativa” degli enti ad oggi, la situazione sia migliorata, registrandosi un numero maggiore, rispetto al passato, di uffici giudiziari attivi sotto questo profilo e ben attrezzati da un punto di vista organizzativo nonché strumentale, ma, vista nel suo complesso, la situazione rimane pur sempre «“a macchia di leopardo”» [1], a causa di un elevato numero di Procure della Repubblica che si muovo o stanno silenti a seconda della sensibilità, in capo al singolo procuratore o ai suoi sostituti, circa i profili giuridici riconducibili al d.lgs. n. 231/2001. Peraltro, la quantitativamente esigua elaborazione giurisprudenziale cui si è assistito [continua ..]


2. Le posizioni della giurisprudenza di merito sulla praticabilità del probation

Interpellata per la prima volta sulla possibilità di estendere la disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova agli enti collettivi, la giurisprudenza di merito ha promosso una interpretazione restrittiva. Ci si riferisce all’ordinanza del Tribunale di Milano, la cui motivazione ha preso le mosse dalla impossibilità di scorgere nel codice penale, nel codice di rito penale e nel d.lgs. n. 231 del 2001 un addentellato da cui desumere il diritto in capo alla persona giuridica di aderire alla ipotesi di diversion. Per il giudicante, detto vuoto dispositivo non può essere colmato mediante analogia, inibita, nel rispetto del principio della riserva di legge, con riguardo ad un congegno che «si manifesta, dal punto di vista afflittivo, attraverso lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, rientra[nte] a pieno titolo nella categoria delle sanzioni penali» [3]. Pur rammentando la dimensione ibrida dell’istituto – al contempo causa di estinzione del reato (artt. 168-bis ss. c.p.) e procedimento speciale (artt. 464 bis ss. c.p.p.) –, il magistrato investito della questione ha dunque esaltato la sola componente penalistica. A conclusioni non dissimili è pervenuto anche il Tribunale di Bologna, che ha tuttavia seguito un differente percorso argomentativo [4]. In particolare, qui si è insistito sulla fisionomia delle previsioni dettate dalla l. n. 67/2014, che mal si attaglierebbero ai soggetti “immateriali”. Discostandosi dalle affermazioni piuttosto tranchant contenute nella motivazione del Tribunale di Milano, il giudice bolognese non ha inoltre riconosciuto una portata afflittiva ovvero retributiva al lavoro di pubblica utilità. Pur prendendo le distanze dal primo arresto giurisprudenziale in materia, il Tribunale di Bologna è stato comunque radicale nel ritenere indebita l’operatività dell’istituto in discorso nel rito per l’accertamento della responsabilità da reato dei soggetti collettivi, sul presupposto che i due sistemi non condividerebbero l’«eadem ratio» [5]. In seguito, tale asserzione è stata ulteriormente sviluppata da una ordinanza di rigetto del Tribunale di Spoleto, che si è spinta perfino ad affermare che «l’istituto della messa alla prova non [è] compatibile con la fisionomia e gli scopi del diritto e del processo penale [continua ..]


3. L’intervento delle Sezioni unite e un auspicio per il legislatore futuro

Nell’ambito di una vicenda giudiziaria che vedeva imputata una società a responsabilità limitata per lesioni colpose commesse con violazione della normativa infortunistica ex art. 25-septies d.lgs. n. 231/2001, il Tribunale di Trento disponeva la sospensione del procedimento con messa alla prova nei confronti vuoi della persona fisica vuoi di quella giuridica. Avendo quest’ultima provveduto a risarcire il danno cagionato, a rivedere il proprio modello organizzativo nonché a svolgere un lavoro di pubblica utilità, consistito nella fornitura, a favore di un organismo religioso, di calzature di propria produzione [22], veniva successivamente emessa una pronuncia di non doversi procedere per estinzione dell’ille­ci­to addebitato alla persona giuridica. Avverso la sentenza del giudice di merito, ricorreva per Cassazione il Procuratore generale presso la Corte d’appello, lamentando, per quel che qui importa, l’estensione all’ente dell’istituto di cui agli artt. 168-bis ss. c.p. e 464-bis ss. c.p.p. La Quarta sezione della Suprema corte, destinataria del ricorso, rilevato un contrasto interpretativo circa la legittimazione del Procuratore generale a impugnare, rimetteva la questione alle Sezioni unite, cui chiedeva «[s]e il procuratore generale [fosse] legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, l’ordinanza che ammette l’imputato alla prova (art. 464-bis c.p.p.) e in caso affermativo per quali motivi» e «[s]e il procuratore generale [fosse] legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, la sentenza di estinzione del reato pronunciata ai sensi dell’art. 464-septies c.p.p.». Una volta offerta una risposta a entrambi i quesiti, la Suprema corte si è dedicata alla questione maggiormente “attesa” dagli studiosi e dagli operatori pratici, quella, cioè, concernente l’applicabilità della messa alla prova nel rito de societate [23], ritenendo di privilegiare la tesi restrittiva anticipata dai Tribunali di Milano, Bologna e Spoleto. L’apparato motivazionale finalizzato a giustificare l’inoperatività del congegno deflativo-premiale nell’ambito del circuito giurisdizionale di cui al d.lgs. n. 231/2001 ruota intorno a due principali nuclei argomentativi. I giudici di legittimità hanno in primis ripercorso gli approdi della giurisprudenza costituzionale e di [continua ..]


NOTE