Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Verso un giusto procedimento di prevenzione. La latitudine applicativa della ricusazione (di Teresa Alesci, Ricercatrice di Diritto processuale penale – Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli)


Le Sezioni Unite estendono l’applicabilità della causa di ricusazione di cui all’art. 37, comma 1, c.p.p., anche al procedimento di prevenzione. In particolare, il tema investe l’idoneità del giudice che abbia in precedenza espresso valutazioni “pregiudicanti” in altra sede giurisdizionale, sia essa penale o preventiva. La sentenza si inserisce in un virtuoso percorso evolutivo che, a partire dal riconoscimento di un vero e proprio “statuto di garanzia costituzionale e convenzionale delle misure di prevenzione personale e patrimoniali”, conduce verso un giusto processo di prevenzione. L’obiettivo, per quanto ambizioso, è però condizionato dalla persistenza di anomalie disfunzionali e lacune normative. Il giusto modello processuale che, a piccoli ma decisivi passi, sembra delinearsi all’orizzonte non può realizzarsi in mancanza di una adeguata riorganizzazione strutturale della giurisdizione di prevenzione.

Towards a fair prevention procedure. The recusal

The Court recognize the applicability of the cause of recusal, ex art. 37, c.1, c.p.p., also to the prevention procedure. In particular, the issue concerns the suitability of the judge who has previously expressed “prejudicial” assessments in another jurisdiction. The decision is part of a virtuous evolutionary path which, starting from the recognition of a real “statute of constitutional and conventional guarantee of personal and property prevention measures”, leads to a fair prevention process. The ambitious goal, however, is conditioned by the persistence of dysfunctional anomalies and regulatory gaps. The right procedural model that, in small but decisive steps, seems to emerge on the horizon, cannot be realized in the absence of an adequate structural reorganization of the preventive jurisdiction.

Al procedimento di prevenzione il motivo di ricusazione previsto dall’art. 37, comma 1, c.p.p. MASSIMA: Secondo le Sezioni unite, al procedimento di prevenzione è applicabile il motivo di ricusazione previsto dall’art. 37, comma 1, cod. proc. pen. – come risultante a seguito dell’intervento additivo della Corte cost., sent. n. 283 del 2000 – nel caso in cui il giudice abbia, in precedenza, espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1. Con istanza presentata in data 11 febbraio 2021, la difesa di L.R. ricusava il Dott. P.G., componente del Collegio chiamato a deliberare, presso la Corte di appello di Potenza, il procedimento di prevenzione a carico del predetto, indiziato per uno dei reati di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 4, lett. b, tra cui è ricompreso del D.L. 306 del 1992, art. 12-quinquies. La ricusazione – preceduta da una richiesta di astensione non accolta – si fondava, ai sensi dell’art. 37 c.p.p., sulla constatata partecipazione del Dott. P. anche al Collegio della Corte di appello di Potenza che, con sentenza del 6 novembre 2020, aveva deliberato, in sede di impugnazione, la condanna del predetto L. per il reato di cui al D.L. 306 del 1992, art. 12-quinquies. 2. La trattazione del procedimento di prevenzione era stata rinviata, in grado di appello, dall’u­dienza camerale dell’8 ottobre 2020 a quella dell’11 febbraio 2021 sulla ritenuta opportunità di “attendere la decisione nel merito della Corte di appello relativamente all’impugnazione proposta da L.R. ed altri avverso la sentenza del GUP di Potenza del 19 ottobre 2016, pendente all’udienza del 6 novembre 2020”: tale decisione era poi sopravvenuta effettivamente il 6 novembre 2020 e nel relativo Collegio giudicante della Corte di appello figurava, come componente, anche il Dott. P.. Così, all’udienza dell’11 febbraio 2021 avanti al giudice della prevenzione in grado di appello, la difesa del L. invitava il Dott. P. all’astensione. A seguito del mancato accoglimento di tale invito, ricusava lo stesso allegando all’i­stanza il decreto n. 4/2020 con cui la Corte di appello di Potenza, nell’accogliere la richiesta della Procura della Repubblica di sospendere l’esecutività del decreto di non convalida del sequestro, precisava che “la proposta nel caso di specie non attiene alla pericolosità sociale ex art. 4 lett. a (...) bensì all’altra ipotesi tipica di pericolosità di cui all’art. 4 lett. b (...) relativa ai soggetti indiziati... del delitto di cui al del D.L. n. 306 del 8 giugno 1992, art. 12 quinquies, comma 1, (...)”, rendendosi necessario un approfondimento, ai fini del giudizio di prevenzione, [continua..]

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SOMMARIO:

1. Una premessa di contesto: le resistenze culturali - 2. Lo statuto di garanzia del sistema di prevenzione - 3. Alla ricerca del decalogo delle incompatibilità del giudice della prevenzione - 4. L’andamento sinusoidale della giurisprudenza sull’ammissibilità della ricusazione - 5. Le Sezioni unite e la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 37 c.p.p. - 6. Il sistema delle impugnazioni tra lacune e supplementi interpretativi. Alcuni rilievi - NOTE


1. Una premessa di contesto: le resistenze culturali

Per individuare le criticità sottese alla decisione delle Sezioni unite è necessario inquadrare il tema in un contesto più ampio che riflette la persistenza di ostacoli valoriali al riconoscimento di un sistema di prevenzione orientato al rispetto dei principi costituzionali. La decisione rappresenta un (ulteriore) tassello del più complesso mosaico di creazione giurisprudenziale volto al riconoscimento dei principi espressione del giusto processo nell’ambito del sistema della prevenzione. Il cammino, lungo e a volte tortuoso, verso una progressiva giurisdizionalizzazione, infatti, ha origine in orientamenti interpretativi che, seppur con altalenanti interventi, cercano di individuare delle linee di intersezione tra quelli che, storicamente, vengono considerati due procedimenti paralleli. Il riconoscimento dell’ammissibilità della ricusazione nel procedimento di prevenzione misura la distanza che ancora separa il procedimento di prevenzione dal giusto processo, come declinato nel codice di rito. Alla base di una apparente velata diffidenza per una totale equiparazione tra i due procedimenti, quanto al rispetto delle garanzie, vi è un pregiudizio interpretativo [1] che esalta il rapporto di autonomia tra il procedimento di prevenzione ed il processo penale. Senza dubbio contribuisce ad avvalorare siffatta impostazione anche la sovrapposizione tra il principio di legalità sostanziale e quello processuale [2]. La “confusione”, infatti, rischia di neutralizzare la portata del principio di legalità processuale, già notoriamente più debole quanto a cogenza [3], che cede di fronte alle istanze di prevenzione. La tanto profusa impermeabilità del rito di prevenzione rispetto alle regole del processo ordinario trova fondamento nella particolare, e discutibile, natura di questo rito, simulacro di un “intervento penale che propende dal fatto all’autore” (o al tipo criminologico d’autore), costruito quale “giurisdizione senza fatto”, alla base di “misure disposte praeter probationem delicti”, sì da eludere ogni problema di tassatività e di determinatezza, con conseguente diversa base epistemologica per l’intervento penale [4]. È utile ricostruire, seppur sinteticamente, il contesto ideologico in cui si sviluppa il sistema della prevenzione. Storicamente, si è [continua ..]


2. Lo statuto di garanzia del sistema di prevenzione

Per superare l’empasse interpretativo e rimuovere l’ostacolo rappresentato dalla natura del procedimento di prevenzione, è necessario orientare lo sguardo al rispetto dei principi costituzionali. In questa prospettiva, funge da premessa concettuale per l’applicabilità della disciplina prevista dal codice di procedura penale il riconoscimento del carattere giurisdizionale. Già solo questa consapevolezza neutralizza qualsiasi idea di impermeabilità del procedimento di prevenzione al sistema di garanzie. La declinazione di un vero e proprio “statuto di garanzia costituzionale e convenzionale delle misure di prevenzione personale e patrimoniali” [27] rappresenta la sintesi interpretativa di un virtuoso percorso evolutivo. La Corte costituzionale ha, di recente, confermato che le misure di prevenzione “pur non avendo carattere sanzionatorio o repressivo, incidono pesantemente sui diritti di libertà di movimento, di proprietà o di iniziativa economica, tutelati a livello costituzionale”. E, dunque, esse “dovranno soggiacere al combinato disposto delle garanzie cui la Costituzione e la stessa Convenzione edu subordinano la legittimità di qualsiasi restrizione ai diritti in questione, tra cui la necessità che la sua applicazione sia disposta in esito ad un procedimento che – pur non dovendo necessariamente conformarsi ai principi che la Costituzione e il diritto convenzionale dettano specificatamente per il processo penale – deve tuttavia rispettare i canoni generali di ogni giusto processo garantito dalla legge (artt. 111, primo, secondo e sesto comma, Cost., e 6 Conv. EDU, nel suo volet civil), assicurando in particolare la piena tutela al diritto di difesa (art. 24 Cost.), di colui nei cui confronti la misura sia richiesta”. È nel solco di questo processo di conversione che si inserisce anche l’opera interpretativa della giurisprudenza di legittimità che, in linea, e talvolta anticipando le aperture della Corte costituzionale, ha inciso sul sistema della prevenzione, avvicinandolo al modello processuale. La tecnica di implementazione delle regole del processo penale risulta però seguire lo schema descritto; il valore costituzionale applicato al sistema della prevenzione con corrispondente verifica di compatibilità delle regole previste per il processo penale. In questo senso si legge a) [continua ..]


3. Alla ricerca del decalogo delle incompatibilità del giudice della prevenzione

Se non può dubitarsi dell’applicabilità del principio di imparzialità al procedimento di prevenzione, quale momento di manifestazione della giurisdizione, l’indagine deve riguardare il grado di resistenza del rito di prevenzione rispetto al principio. Ricercare ipotesi di incompatibilità nel tessuto del codice antimafia può risultare operazione vana, eppure è significativa dell’assenza di situazioni di incompatibilità che possono investire il giudice della prevenzione. Per superare le “sacche di resistenza” [42] alla compiuta omologazione del procedimento di prevenzione ai canoni del giusto processo, rappresentate dalla eccessiva rigidità interpretativa delle regole che assicurano il principio di imparzialità e tassatività, il ricorso alle regole processuali risulta determinante. Sullo sfondo si pone la tutela del principio di terzietà e di imparzialità previsto dall’art. 25 Cost. [43]; l’indagine è, però, circoscritta all’individuazione di situazioni che minano l’idoneità del giudice della prevenzione, al ricorrere di elementi e fattori che possano alterare la sua apparente genuinità cognitiva in relazione a precedenti valutazioni già espresse. I deficit di cui il sistema del processo di prevenzione soffre in punto di garanzia dell’imparzialità del giudice dovuta ad incompatibilità di esso sono diversi. Sintomatiche, appaiono, in via di prima approssimazione, alcune situazioni: a) relative alla partecipazione al giudizio di prevenzione del giudice che ha emesso atti valutativi nel corso dello stesso processo; b) relative alla partecipazione al giudizio di prevenzione del giudice che ha emesso decisioni (direttamente o indirettamente) pregiudizievoli nei confronti del soggetto proposto, in un processo penale o in altro processo di prevenzione, anche nei confronti di altri soggetti. Se le ipotesi di incompatibilità denunciabili nel contesto della prevenzione sono eterogenee, la soluzione non può essere unidirezionale. Si tratta di coordinare e bilanciare la tutela del principio di imparzialità con le peculiarità che contraddistinguono il procedimento di prevenzione. In relazione al primo caso, in linea con il principio di derivazione codicistica, ex art. 321 c.p.p., secondo cui l’incompatibilità non si estende [continua ..]


4. L’andamento sinusoidale della giurisprudenza sull’ammissibilità della ricusazione

In relazione al “grado di resistenza” del giudizio di prevenzione rispetto al procedimento penale e all’individuazione dei presupposti al ricorrere dei quali il giudizio di prevenzione è in grado di condizionare, o essere condizionato, da quello ordinario o cautelare, si è stratificato un contrasto giudiziario [47]. Il profilo è reso complesso dalla pronuncia additiva della Corte costituzionale, n. 238 del 2000, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 37 c.p.p. “nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto [48]. Un primo orientamento esclude qualsiasi forma di “condizionamento”, sul procedimento di prevenzione, del precedente giudizio di colpevolezza di cui al processo principale o del giudizio cautelare, potendo essere al più considerata situazione pregiudicante [49]. Osservando le ricadute di tale ricostruzione, se ne ricava che il giudice, che ha statuito nel rito ordinario o in sede cautelare o in una altra sequenza di prevenzione, può prendere parte, successivamente, al collegio di prevenzione essendo inibito solo il contrario. Nel contesto disciplinato dal codice antimafia, dunque, risulterebbero applicabili esclusivamente i motivi di incompatibilità di cui agli artt. 34, comma 1, e 35, c.p.p., con corrispondente facoltà di astensione e ricusazione nelle ipotesi di cui all’art. 36, comma 1, lett a-h, e 37, comma 1, lett. a), c.p.p.; nessuna rilevanza assume, invece, il dubbio circa l’idoneità in concreto del magistrato per aver già apprezzato la colpevolezza dell’agente. L’individua­zione di alcuni attributi ineliminabili della “giurisdizionalità” [50] al procedimento di prevenzione riposa sulla necessità di assicurare il principio in tutte le ipotesi in cui la persona chiamata a giudicare si trovi in una delle condizioni di “appannamento” della suddetta condizione di cui all’art. 36, lett a) – f. Sarebbe, infatti, evidente in questo caso l’applicabilità dell’istituto della ricusazione in ipotesi di mancato esercizio del dovere di astensione. A conclusioni [continua ..]


5. Le Sezioni unite e la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 37 c.p.p.

Particolarmente preziosa la premessa argomentativa delle Sezioni unite, secondo cui il riconoscimento di uno statuto costituzionale del sistema della prevenzione non può che estendersi anche alla dimensione applicativa e procedimentale [69]. Nel condividere il secondo orientamento, che estende l’applicabilità della causa di ricusazione alla prevenzione, la Corte ripercorre l’itinerario argomentativo intriso di pregiudizi ermeneutici e diffidenza che nel tempo ha “allontanato” il modello processuale della prevenzione da quello ordinario. La manifestata consapevolezza quanto al gap che ha profondamente segnato il rapporto tra procedimento di prevenzione e processo penale si colloca, idealmente, in quel virtuoso meccanismo di avvicinamento al giusto processo. Nel confutare la tesi restrittiva, la Corte segnala errori di metodo e miopie cognitive che rappresentano le premesse su cui si fondano le decisioni di segno contrario. E dunque, quanto alla presunta assenza di separazione di fasi nel contesto della prevenzione, l’assunto poggia su presupposti errati. Le misure anticipatorie adottate in sede di prevenzione non attengono alla cautela personale ma a quella patrimoniale, eppure anche nel processo ordinario il giudizio sulla cautela reale non è “pregiudicante”, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione. Priva di adeguata argomentazione è anche l’affermazione secondo la quale il rapporto pregiudicante/pregiudicabile sarebbe stato fissato dalla nota sentenza n. 283 del 2000 della Corte costituzionale – in termini testuali ed inequivoci – come unidirezionale, nel senso che la decisione sulla prevenzione potrebbe pregiudicare quella successiva di merito e non viceversa. Secondo le sezioni unite, invece, è stato espressamente riconosciuto che il pregiudizio per l’im­parzialità-neutralità del giudicante può verificarsi anche nei rapporti tra il procedimento penale e quello di prevenzione ed è suscettibile di diverse forme di manifestazione. Si pensi alla valutazione pregiudicante espressa in sede di accertamento dei gravi indizi di colpevolezza, quale condizione di applicabilità delle misure cautelari [70]. Ancora. Il pregiudizio può emergere anche quando il rapporto di successione temporale tra attività pregiudicante e funzione pregiudicata è invertito, quando il [continua ..]


6. Il sistema delle impugnazioni tra lacune e supplementi interpretativi. Alcuni rilievi

Nel complesso, la disciplina del procedimento di prevenzione evidenzia alcune lacune normative in punto di regolamentazione della sequenza procedimentale. Se “lo snodo in cui maggiormente si avvertono le disparità di trattamento tra processo penale e processo di prevenzione” [78] è rappresentato dal giudizio di primo grado, insidie applicative si annidano anche nella previsione (o mancata previsione) della disciplina dei rimedi. Se è apprezzabile l’opera di restyling che il legislatore ha operato sul sistema delle impugnazioni con la l. n. 161/2017, residuano problemi applicativi e variabili procedimentali che pongono in crisi l’effettività del sistema. Rispetto ai successivi gradi di giudizio, interrogarsi sulla compatibilità tra la disciplina e le regole del giusto processo è ancora attuale. L’esame delle prassi non è utile e non appare risolutiva la tecnica del rinvio, in quanto applicabile, alla disciplina processuale per rimuovere anomie applicative. Ne è un esempio la disciplina delle misure di prevenzione patrimoniali [79], articolata su diversi livelli normativi. Si rinvia alle norme che disciplinano le impugnazioni delle misure di prevenzione personale (art. 27, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 che rinvia all’art. 10), che a loro volta rinviano a quelle relative alla impugnazione delle misure di sicurezza (art. 10, comma 4) e, infine, da tali norme a quelle relative alle impugnazioni in generale (art. 680, comma 2, c.p.p.). L’ampliamento dello spettro di indagine anche al profilo delle impugnazioni si rende necessario nel contesto della ricerca ivi condotta in quanto è possibile intravedere ripercussioni sulla tenuta del principio di imparzialità. Il riferimento corre al filone interpretativo che affida la competenza funzionale all’applicazione della misura del controllo giudiziario al Tribunale di primo grado, anche nell’ipotesi in cui la misura venga disposta nel giudizio di secondo grado. Tema già affrontato [80] quanto al sistema dei controlli e, sebbene le evoluzioni siano ancora in corso [81], si è riconosciuta l’impugnabilità del provvedimento di rigetto della richiesta di applicazione del controllo giudiziario, di cui all’art. 34-bis cod. antimafia [82]. Tuttavia, l’estensione in via pretoria [83] non chiarisce le modalità del giudizio di [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2023