Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Particolare tenuità del fatto e reato continuato: le sezioni unite optano per la compatibilità (di Francesco Nigro Imperiale, Dottorando di ricerca in Diritto e impresa – Università di Roma “Luiss Guido Carli”)


Le sezioni unite intervengono a definire la vexata quaestio relativa all’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. al reato continuato, esprimendosi in senso favorevole alla compatibilità fra i due istituti. Dopo aver esaminato gli orientamenti che si sono confrontati sul tema, il contributo analizza le argomentazioni chiave della pronuncia, che hanno portato il Massimo Consesso ad adottare una soluzione che risulta coerente con la lettera della legge, con le finalità degli istituti coinvolti e con motivazioni di ordine logico-sistematico ad essi sottese. Si sottolineano, infine, gli aspetti più innovativi che emergono dalla decisione in esame.

Parole chiave: reato continuato – particolare tenuità del fatto – causa di non punibilità.

Particular tenuousness of the offense and continued crime: the Joint Sections of the Supreme Court establish their compatibility

The Joint Sections of the Supreme Court settle the debated issue concerning the applicability of the art. 131-bis c.p. to the continued crime, deciding in the sense of the compatibility between the two legal institutes. After having examined the different points of view on the matter, the article analyzes the key arguments of the judgment, which led the Supreme Court to adopt a decision which is coherent with the provisions of law, the aim of the involved institutes and logical-systematic reasons. The Author also points out the most innovative topics emerging from the ruling of the Court.

Tenuità del fatto e reato continuato MASSIMA: La pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis c.p., salve le ipotesi in cui il giudice la ritenga idonea, in concreto, ad integrare una o più delle condizioni tassativamente previste dalla suddetta disposizione per escludere la particolare tenuità dell’offesa o per qualificare il comportamento come abituale; in presenza di più reati unificati dal vincolo della continuazione, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto può essere riconosciuta dal giudice all’esito di una valutazione complessiva della fattispecie concreta, che, salve le condizioni ostative previste dall’art. 131-bis c.p., tenga conto di una serie di indicatori, rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall’entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall’intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 12 maggio 2020 la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Ancona il 17 aprile 2018, ha dichiarato la responsabilità di U.U. in ordine al delitto di violenza privata continuata di cui agli artt. 81 c.p., comma 2, art. 610 c.p., sostituendo, alla pena detentiva di giorni venti di reclusione irrogatagli all’esito del primo giudizio, la corrispondente pena pecuniaria di Euro cinquemila, con la conferma nel resto della decisione impugnata. La Corte territoriale ha ritenuto l’imputato responsabile del delitto ascrittogli per avere, nel periodo ricompreso fra il 19 marzo ed il 19 aprile (Omissis), ripetutamente parcheggiato la propria autovettura sulle corsie di accesso e di uscita dall’area del distributore di carburante gestito dal fratello, così impedendo o comunque rendendo difficoltoso ai clienti l’utilizzo del servizio di rifornimento. Nel confermare la decisione di primo grado, la Corte ha ritenuto di non accogliere la richiesta, formulata ai sensi dell’art. 131-bis c.p., di declaratoria della non punibilità per la particolare tenuità del fatto, sul rilievo che il riconoscimento del vincolo della continuazione tra condotte reiterate e di eguale indole, poste in essere dall’imputato nell’arco temporale di un mese, avesse carattere ostativo ai fini dell’applicazione della [continua..]

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SOMMARIO:

1. La questione controversa - 2. Gli orientamenti in campo: la tesi dell’incompatibilità fra i due istituti - 3. La tesi dell’apertura a determinate condizioni - 4. La decisione delle sezioni unite - 5. Considerazioni conclusive - NOTE


1. La questione controversa

Le sezioni unite della Cassazione, con la sentenza qui in commento, hanno risolto il contrasto originatosi in merito all’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati avvinti dal vincolo della continuazione. La Quinta Sezione, infatti, aveva rimesso la questione all’attenzione del Massimo Consesso affinché si pronunciasse sul fatto se, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., fosse di per sé ostativa la continuazione tra reati e, qualora la risposta al primo quesito risultasse di segno negativo, a quali condizioni potesse ritenersi operante la particolare tenuità al reato continuato [1]. Come noto, la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è stata introdotta nel nostro ordinamento dal d.lgs. n. 28/2015 con un’evidente finalità di deflazione processuale: obiettivo dell’i­stituto, infatti, è realizzare la c.d. depenalizzazione in concreto, riservandosi l’irrogazione della sanzione penale solamente alle vicende effettivamente meritevoli della stessa. L’art. 131-bis c.p. affida questo compito all’organo giudicante, il quale è chiamato a valutare se, alla luce dei criteri indicati dalla legge e in armonia con i principi di extrema ratio e proporzionalità, il fatto commesso sia dotato di una carica offensiva così esigua che anche l’irrogazione di una pena nel minimo edittale risulterebbe inadeguata [2]. Il reato particolarmente tenue, dunque, è un fatto tipico, dotato di una sua carica offensiva, antigiuridico e colpevole che, tuttavia, aggredisce in misura minima il bene giuridico tutelato e, per tale ragione, si ritiene debba essere espunto dall’area della punibilità [3]. Muovendo dalla premessa che il reato sia un’entità graduabile, si afferma che l’oggetto della particolare tenuità sia rappresentato dai c.d. reati bagatellari impropri, vale a dire fattispecie criminose che, pur essendo assistite da cornici edittali anche elevate, possono presentare in concreto un disvalore esiguo [4]. Ai fini dell’operatività della causa di non punibilità in esame occorre che il reato sia sanzionato in astratto con una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni e che, in concreto, l’offesa risulti [continua ..]


2. Gli orientamenti in campo: la tesi dell’incompatibilità fra i due istituti

Una prima tesi (risalente e maggioritaria) sostiene l’incompatibilità del reato continuato con la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto [21]. La giurisprudenza ha escluso in radice l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. alla continuazione fra reati in forza dell’assunto per cui quest’ultima configurerebbe un’ipotesi di comportamento abituale ostativa ex se al riconoscimento del beneficio, in quanto «la reiterazione delle condotte penalmente rilevanti» costituirebbe «il segno di una devianza non occasionale» dell’agente [22]. Questo principio di diritto era già stato espresso in precedenti pronunce, le quali asserivano che la continuazione, seppur alla presenza di un’unitaria spinta volitiva, darebbe vita a una progressione criminosa incompatibile con i requisiti dell’occasionalità e della non reiterazione delle condotte richiesti dall’art. 131-bis c.p. e non eliderebbe la circostanza dell’oggettiva reiterazione di condotte penalmente rilevanti, principale motivo di ostacolo al riconoscimento del beneficio [23]. Questa opinione è stata ribadita anche successivamente, soprattutto con riferimento a reati continuati commessi in un lungo arco temporale [24]. Il filo conduttore evidenziato dalle sentenze appena indicate è dato, quindi, dall’oggettiva reiterazione delle condotte che caratterizza la continuazione e che renderebbe impraticabile la strada della concessione del beneficio [25]. Sembrerebbe, pertanto, che la giurisprudenza citata inquadri il reato continuato, nell’economia dell’art. 131-bis c.p., nella fattispecie dei reati aventi ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Sotto un diverso profilo, in altre sentenze la Suprema Corte ha stabilito che la fattispecie ostativa fosse la pluralità di reati della stessa indole, poiché tale condizione può comprendere nel suo raggio d’azione – come abbiamo visto [26] – anche una pluralità di violazioni sorrette da una medesima ratio che devono essere valutate in un unico procedimento. Pertanto, sarebbe la dimensione plurima del reato continuato a rendere incompatibile tale istituto con la particolare tenuità, perché il terzo comma dell’art. 131-bis c.p. considera il fatto grave nella sua complessità, a prescindere dai [continua ..]


3. La tesi dell’apertura a determinate condizioni

Un secondo filone interpretativo, seppur più recente e apparentemente minoritario, afferma, a determinate condizioni, la compatibilità del reato continuato con l’art. 131-bis c.p. [29]. L’assunto di fondo da cui si muove è dato dalla considerazione secondo cui il riconoscimento della continuazione non preclude automaticamente l’applicazione della causa di non punibilità, in quanto non è indicativa ex se di comportamenti espressivi di abitualità criminosa. La Suprema Corte specifica, infatti, che il concetto di non abitualità sarebbe diverso da quello di mera occasionalità nel reato, in quanto sintomatico della volontà del legislatore di attribuire all’art. 131-bis c.p. un più esteso ambito di operatività, escludendo solamente i comportamenti indici di una serialità criminosa. Pertanto, l’autorità giudicante sarà chiamata a soppesare tutti gli aspetti della continuazione (a titolo esemplificativo, la natura degli illeciti, il numero di disposizioni violate, la gravità del fatto, le modalità della condotta, l’intensità del coefficiente psicologico) al fine di stabilire se nel caso concreto il fatto risulti particolarmente tenue [30]. In definitiva, ad avviso delle sentenze iscritte in questo indirizzo, il giudice potrà negare la concessione del beneficio se le violazioni esecutive del medesimo disegno criminoso siano in numero tale da esprimere una serialità nel delinquere, oppure appaiano sintomatiche di un dolo particolarmente intenso, non conciliabile con la tenuità dell’offesa richiesta dalla norma. Al contrario, risulterà applicabile la causa di non punibilità alle condotte espressione di situazioni episodiche che ledano in misura minima l’interesse tutelato [31]. In alcune pronunce si precisa che, qualora la condotta criminosa sia posta in essere in un contesto unitario, cioè nelle medesime circostanze di tempo e di luogo (c.d. continuazione sincrona) e nei confronti di una stessa persona, si può considerare l’azione sorretta da una singola deliberazione criminosa e, dunque, sostanzialmente unica. In questo senso, l’estemporaneità della condotta del reo sarebbe pienamente compatibile con la non abitualità del comportamento richiesta dall’art. 131-bis c.p., in quanto consentirebbe di [continua ..]


4. La decisione delle sezioni unite

Le sezioni unite sposano il secondo orientamento e affermano il seguente principio di diritto: «La pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione può risultare ostativa alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. non di per sé, ma soltanto se è ritenuta, in concreto, dal giudice idonea ad integrare una o più delle condizioni previste tassativamente dalla suddetta disposizione per escludere la particolare tenuità dell’offesa o per qualificare il comportamento come abituale» [38]. La sentenza si compone di una pars destruens e di una pars construens. Nei primi passaggi della motivazione l’argomentazione è proiettata a confutare il primo indirizzo giurisprudenziale. A parere dei Giudici di legittimità, infatti, dal dato testuale della disposizione non è possibile trarre alcuna indicazione preclusiva alla potenziale applicabilità della causa di non punibilità al reato continuato, poiché la continuazione non si può inquadrare, secondo un’interpretazione letterale, all’interno delle tassative ipotesi di comportamento abituale indicate nel comma 3 dell’art. 131-bis c.p. [39]. In primo luogo, non si può sovrapporre la nozione di continuazione a quella di abitualità, in quanto quest’ultima non coincide con la oggettiva reiterazione delle condotte, ma richiede una ripetizione di comportamenti espressivi di un’inclinazione a delinquere dell’agente e di un’abitudine a violare la legge. Richiamando alcuni precedenti [40], la Corte chiarisce la linea di demarcazione tra continuazione e abitualità: la prima consiste nella previa rappresentazione e unitaria deliberazione di una serie di reati sotto l’insegna del medesimo disegno criminoso; al contrario, la seconda si identifica in uno stile di vita delinquenziale, mosso da un impulso criminoso reiterato nel tempo che spinge l’agente a commettere una serie non predeterminata di illeciti [41]. In secondo luogo, le sezioni unite smentiscono la coincidenza tra il reato continuato e la pluralità di reati della stessa indole, affermando che nella realtà dei fatti si possono riscontrare reati di indole diversa avvinti dalla continuazione. Il disegno criminoso, infatti, potrà avere ad oggetto fattispecie lesive di beni giuridici [continua ..]


5. Considerazioni conclusive

La sentenza qui commentata ha il merito di risolvere un contrasto interpretativo da tempo esistente nella giurisprudenza di legittimità adottando una soluzione pienamente in linea con la lettera della legge, con il microcosmo delineato dall’art. 131-bis c.p., con considerazioni di ordine logico-sistematico e con le finalità che entrambi gli istituti intendono perseguire. La pronuncia ha anche il pregio di individuare definitivamente la portata della nozione di abitualità, soprattutto chiarendo il significato dell’espressione reati aventi ad oggetto “condotte plurime, abituali e reiterate” su cui si erano concentrati i maggiori dubbi interpretativi. Sciogliere questo nodo ermeneutico, infatti, si è rivelato di fondamentale importanza per poter dare una soluzione al quesito sottoposto. Alla luce della strada battuta dalle sezioni unite, solamente l’autorità giudicante – al cui prudente apprezzamento la sentenza fa più volte rinvio – potrà stabilire la meritevolezza della pena nel caso di specie, procedendo a valutazioni casistiche e rifuggendo da ogni automatismo. Proprio al fine di orientare la discrezionalità del giudice, le sezioni unite si preoccupano di fornire una serie di indicatori sintomatici della tenuità dell’offesa del reato continuato. Questa impostazione è del tutto coerente con la scelta del legislatore del 2015 di voler attribuire al giudice parametri discrezionali di valutazione della particolare tenuità del fatto, in base all’assunto per cui solamente dalle specificità del caso concreto è possibile desumere, nell’ottica di proporzionalità ed extrema ratio, la necessità di irrogare o meno la sanzione penale [66]. Tuttavia, ad un’attenta analisi di questi indicatori, sembra emergere che il maggior ostacolo all’applicazione della particolare tenuità del fatto al reato continuato risieda nella tenuità dell’offesa. Infatti, parametri quali la gravità e la natura degli illeciti, l’entità delle disposizioni violate, la tipologia di beni protetti, le modalità della condotta e l’intensità del dolo evidenziano marcatamente la componente oggettiva del giudizio relativo alla causa di non punibilità in questione. Anche gli eventuali comportamenti susseguenti al reato, ad avviso della stessa Corte, [continua ..]


NOTE
Fascicolo 6 - 2022