Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Il diritto dell'ente di beneficiare della messa alla prova (di Giulio Garuti)


Tra gli interrogativi che, negli ultimi anni, hanno maggiormente agitato la dottrina e la giurisprudenza di merito, una posizione di rilievo occupa la possibilità per la persona giuridica, imputata ex d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. Dopo aver ripercorso le argomentazioni utilizzate vuoi dall’orientamento restrittivo vuoi da quello estensivo, cui si ritiene di aderire, il contributo si sofferma sugli sviluppi che potranno, anche in un futuro molto prossimo, riguardare tale delicata questione interpretativa.

Corporate right to request the suspension of proceedings pending probation

In recent years, scholars and courts have often discussed the possibility for corporations to request the suspension of proceedings pending probation. Having examined the arguments used by both the restrictive and the extensive approach, the article focuses on the developments that may, even in the near future, concern this delicate issue.

L’“incompiutezza” della disciplina processuale del d.lgs. n. 231 del 2001  Animata dalla volontà, da un lato, di superare l’impronta carcerocentrica del nostro sistema penale e, dall’altro lato, di ridimensionare l’ormai insostenibile carico giudiziario, la l. 28 aprile 2014, n. 67 ha introdotto, agli artt. 168 bis ss. c.p. e 464 bis ss. c.p.p., la sospensione del procedimento con messa alla prova per adulti[1]. Da allora, l’imputato maggiorenne ha il diritto di chiedere, per fattispecie di reato di medio-bassa gravità, la sospensione delle attività procedimentali, per sottoporsi a un programma di reinserimento sociale che prevede alcune attività, come la rimozione delle conseguenze dannose o pericolose della condotta criminosa, il risarcimento del danno cagionato, ove possibile, e lo svolgimento di un lavoro di pubblica utilità. Al pari dell’omonimo e più risalente meccanismo dedicato ai minorenni (artt. 28 e 29 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448)[2], cui l’istituto de quo è senza dubbio ispirato, nella eventualità in cui le richiamate prescrizioni vengano correttamente espletate, il reato si estingue; all’opposto, il processo riprende il suo regolare corso. Tra le questioni di maggiore interesse che il c.d. probation ha posto agli studiosi e agli operatori pratici, una posizione di rilievo occupa il dibattito relativo alla sua applicabilità nel rito preordinato all’accertamento della responsabilità “amministrativa” delle persone giuridiche. Come noto, d’aiuto non risulta certo la l. n. 67 del 2014, le cui previsioni tacciono sul punto. Occorre subito rilevare come la nascita di questioni interpretative di questo tipo sia determinata dalla incompiutezza della disciplina dedicata, dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, all’iter procedurale di cui sono protagonisti i soggetti «metaindividuali»[3]; incompiutezza su cui vale la pena soffermarsi preliminarmente. Consapevole dell’antieconomicità di una disciplina codicistica volta a regolare il rito di pertinenza degli enti in ogni suo aspetto, il legislatore si è limitato a prevedere che l’accertamento debba avvenire nell’osservanza delle norme richiamate al capo III (artt. 34-82) del d.lgs. n. 231 del 2001, nonché «secondo le disposizioni del codice di procedura penale e del decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271», in quanto compatibili (art. 34). Non solo. All’impresa si applicano pure – con il limite della compatibilità in concreto – «le disposizioni processuali relative all’imputato» (art. 35). Se per un verso non può sfuggire come il rinvio operato in chiave integratrice alle disposizioni del codice di rito – rinvio che non può prescindere dall’osservanza dei principi costituzionali ad esso sottesi [continua..]

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