Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Il mutuo riconoscimento dei provvedimenti di congelamento e confisca: il Regolamento (UE) 2018/1805 (di Rosa Maria Geraci, Professore associato di Procedura penale – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


L’affermazione del principio del mutuo riconoscimento in materia di cooperazione giudiziaria penale compie, con il Regolamento (UE) 2018/1805, un significativo salto di qualità: per la prima volta tale canone viene attuato con un atto self-executing, vincolante e direttamente applicabile nei Paesi membri. La disciplina introdotta, volta a rimediare all’inadeguatezza della precedente regolamentazione, non è tuttavia esente da taluni profili problematici, su cui forse non tarderà ad arrivare l’intervento chiarificatore del Giudice di Lussemburgo.

The mutual recognition of freezing orders and confiscation orders: Regulation (EU) 2018/1805

The implementation of mutual recognition principle by Regulation (UE) 2018/1805 marks an improvement in quality. It is the first time a regulation governs an area of mutual recognition in criminal matters, meaning it is intended to resolve issues linked to implementation of the existing instruments, as it will be directly and uniformly applicable in the EU. However, the regulation raises some issues: problaby they will be resolved by the Court of Justice of the European Union.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il quadro normativo di riferimento - 3. L’ambito di applicazione - 4. Le cadenze operative. a) il riconoscimento e l’esecuzione dei provvedimenti di congelamento - 5. (Segue): B) il riconoscimento e l’esecuzione dei provvedimenti di confisca - 6. Gestione e destinazione dei beni confiscati - 7. Obblighi informativi e rimedi impugnatori - 8. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

Il 19 dicembre 2020 è entrato in vigore il Regolamento 2018/1805/UE [1], che ha esteso anche alla cooperazione giudiziaria intracomunitaria in materia di provvedimenti di sequestro («congelamento») [2] e confisca il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie. Novità significativa, l’estensione del canone in discorso – fin dal Consiglio europeo di Tampere del 1999 individuato quale «pietra angolare» su cui erigere la costruzione di uno Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia comune [3] – è avvenuta con un atto self-executing, vincolante e direttamente applicabile negli Stati membri [4]. Chiaro l’intento perseguito dalle istituzioni europee: ovviare alla frammentarietà, parzialità e non omogeneità del quadro normativo previgente, carente di efficacia e non al passo con l’evoluzione legislativa medio tempore realizzatasi in materia. Da un lato, infatti, le decisioni quadro 2003/577/GAI [5] e 2006/783/GAI [6] del Consiglio apparivano settoriali, in quanto limitate solo ad alcune tipologie di provvedimenti ovvero inerenti esclusivamente a gravi forme di criminalità transnazionale; dall’altro, non risultavano aggiornate all’assetto di disciplina introdotto con la direttiva 2014/42/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, che stabiliva norme minime comuni in materia di congelamento e confisca dei beni [7]. Entrambe le menzionate fonti di terzo Pilastro, poi, erano state attuate in modo disomogeneo nei diversi Paesi parte [8]. Ne derivavano una serie di criticità, foriere di incertezze sul piano applicativo: dall’esatta qualificazione delle tipologie di sequestro e confisca, alla puntuale individuazione della base normativa e dello strumento cui ricorrere per eseguire all’estero un provvedimento ablativo, con il risultato di una alquanto limitata cooperazione nel settore considerato. Di qui, la scelta del “regolamento” quale strumento normativo dall’efficacia più cogente ed immediata, volto ad introdurre una disciplina onnicomprensiva e in grado di garantire uniformità applicativa, sgombrando il campo da difformità ed asimmetrie verificabili allorché sia invece necessaria una trasposizione interna della fonte sovraordinata [9]. Opzione, questa – indubbio negarlo – ancora una volta intesa a [continua ..]


2. Il quadro normativo di riferimento

Il compendio delle fonti sovraordinate che compongono il quadro giuridico vigente in materia di congelamento e confisca dei proventi di reato può scindersi in due macrocategorie generali: quelle volte a perseguire l’obiettivo di un’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia, e quelle preordinate ad attuare nel settore il principio del mutuo riconoscimento [10]. Tra le prime si annoverano la decisione quadro 2001/500/GAI, del 26 giugno 2001, in tema di riciclaggio di denaro, individuazione, rintracciamento, congelamento o sequestro e confisca degli strumenti e dei proventi di reato, intesa a ravvicinare le normative nazionali soprattutto in materia di confisca diretta e per equivalente [11]; la decisione quadro 2005/212/GAI, del 24 febbraio 2005, sulla confisca di beni, strumenti e proventi di reato, che ha disciplinato dettagliatamente la confisca “estesa” ed ha esperito un tentativo volto a livellare le discipline domestiche in tema di confisca nei confronti dei terzi [12]; la direttiva 2014/42/UE, del 3 aprile 2014, che ha previsto norme minime per il congelamento, la gestione e la confisca dei beni di origine criminosa, parzialmente sostitutiva delle precedenti fonti quadro, che ha cercato di omogeneizzare le legislazioni degli Stati membri rispetto a tutte le forme di confisca esistenti: diretta, per equivalente, estesa, nei confronti dei terzi e finanche senza condanna [13]. Tra le seconde, oltre alle cià citate decisioni quadro 2003/577/GAI e 2006/783/GAI, può invece essere ascritto proprio il Regolamento in esame, il cui obiettivo di fondo di reductio ad unitatem del frammentato sistema di fonti europee in tema di sequestro e confisca emerge con evidenza dal tenore del­l’art. 39. Ai sensi di tale norma, infatti, il nuovo atto normativo va a sostituire la decisione quadro 2003/577/GAI per quanto concerne il “congelamento” dei beni e la decisione quadro 2006/783/GAI per quanto riguarda la “confisca”. Ciò, naturalmente, limitatamente alla disciplina dei rapporti tra Stati membri vincolati dal Regolamento medesimo (ossia, in pratica, tutti i Paesi parte dell’Unione ed il Regno Unito, con esclusione invece di Irlanda e Danimarca (cfr. i considerando nn. 55, 56 e 57): le fonti di terzo Pilatro citate, dunque, continueranno a regolare i rapporti tra Stati vincolati al Regolamento e Paesi ad esso non vincolati, oltre che i rapporti [continua ..]


3. L’ambito di applicazione

Nelle intenzioni del legislatore europeo, l’area di operatività del Regolamento in esame è tendenzialmente onnicomprensiva: essa dovrebbe, infatti, includere tutti i provvedimenti di congelamento e confisca [16] emessi dagli Stati membri «nel quadro di un procedimento in materia penale» («within the framework of proceedings in criminal matters») [17], espressione, questa, ben più lata rispetto a quella originariamente contemplata nella Proposta di Regolamento avanzata dalla Commissione nel 2017 – «nel quadro di un procedimento penale» («criminal proceedings») [18] – e, come tale, idonea a ricomprendere anche i provvedimenti emessi nell’ambito del procedimento di prevenzione italiano [19], in ordine ai quali tante difficoltà sul piano dell’esecuzione extra moenia si erano registrate in passato in ragione della mancata previsione di misure analoghe da parte di diverse legislazioni nazionali estere [20]. La menzionata modifica testuale – fortemente sollecitata dalla rappresentanza italiana in sede di negoziato sul testo proposto, mirava in effetti proprio a tale risultato, consentendo dunque una cooperazione transnazionale estesa anche a forme di non-conviction based confiscation [21]. Conseguentemente, oggi pure le misure di prevenzione patrimoniali adottate nel nostro Paese, sebbene non previste dalle legislazioni di altri Stati vincolati all’osservanza del Regolamento 2018/1805, dovrebbero essere riconosciute ed eseguite all’estero, in ottemperanza al principio del mutuo riconoscimento [22]. Quello di «procedimento in materia penale» – afferma la stessa fonte eurounitaria – è infatti «un concetto autonomo del diritto dell’Unione» interpretato dalla Corte di Giustizia UE, idoneo a ricomprendere «tutti i tipi di provvedimenti di congelamento e provvedimenti di confisca emessi in seguito a procedimenti connessi ad un reato e non solo i provvedimenti che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/42/UE»; «esso contempla inoltre altri tipi di provvedimenti emessi in assenza di una condanna definitiva». Benché gli stessi «possano non esistere nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, lo Stato membro interessato dovrebbe essere in grado di riconoscere ed eseguire tali provvedimenti [continua ..]


4. Le cadenze operative. a) il riconoscimento e l’esecuzione dei provvedimenti di congelamento

Sul piano procedurale, le dinamiche di funzionamento della cooperazione interstatuale volta a contrastare i fenomeni cd. “lucrogenetici” introdotte dal Regolamento ripetono i tratti caratteristici degli strumenti attuativi del riconoscimento reciproco: rapporti diretti tra autorità nazionali competenti, svilimento del ruolo dell’autorità politica, standardizzazione del contenuto della richiesta volta ad instaurare la cooperazione, tassativi e limitati motivi di rifiuto. Più esattamente, per quanto concerne innanzitutto i provvedimenti di congelamento, si prevede che l’autorità emittente possa essere anche un’autorità non giudiziaria [38], esigendosi tuttavia che previamente alla trasmissione all’autorità di esecuzione, il provvedimento medesimo sia convalidato nello Stato di emissione da un organo giurisdizionale, un tribunale o un pubblico ministero [39]. Il provvedimento di congelamento va trasmesso attraverso la compilazione di un modello standard (il cd. “certificato di congelamento”), allegato al Regolamento (All. I) [40], che contiene, inter alia, le informazioni relative all’autorità emittente, ai soggetti colpiti, alle caratteristiche del bene attinto, ai motivi posti a fondamento della misura, all’eventuale sussistenza di ragioni di urgenza o dell’opportunità di rispettare uno specifico limite temporale ovvero determinate formalità per la sua esecuzione, nonché alla necessità di mantenere la riservatezza circa le informazioni contenute nell’atto stesso. Scopo del modello è fornire al destinatario tutte le informazioni necessarie, trasmettendogliele in un formato standardizzato che riduca al minimo le possibilità di errore e consenta di identificare facilmente i beni da colpire, evitando così, per quanto possibile, testi liberi, e riducendo conseguentemente anche i costi di traduzione. Solo nel caso in cui il Paese di esecuzione ne abbia fatto espressa richiesta ai sensi del­l’art. 4, par. 2, insieme al certificato deve esser trasmesso dall’autorità emittente anche il provvedimento di congelamento originale o una sua copia autenticata [41]. Il certificato viene inviato direttamente all’autorità di esecuzione o, eventualmente, all’autorità centrale designata dallo Stato membro ex art. 24, par. 2, con [continua ..]


5. (Segue): B) il riconoscimento e l’esecuzione dei provvedimenti di confisca

Cadenze operative analoghe connotano la procedura di cooperazione finalizzata al riconoscimento e all’esecuzione dei provvedimenti di confisca. Anch’essa, infatti, è avviata tramite trasmissione diretta da parte dell’autorità di emissione all’auto­rità di esecuzione (o all’autorità centrale dello Stato di esecuzione) di un certificato standard di confisca (quello di cui all’Allegato II del Regolamento) e, di regola, si incanala in un binario “monodirezionale”, essendo avviata con un solo Paese di esecuzione per volta, salvo le deroghe espressamente previste legittimanti una trasmissione contemporanea duplice o plurima a più di uno Stato di esecuzione [59]. Peculiarità si registrano, tuttavia, per ciò che concerne il momento genetico del provvedimento ed i motivi ostativi al riconoscimento dello stesso. Per un verso, infatti, la misura ablativa deve necessariamente essere adottata «da un organo giurisdizionale» [60]; per un altro, il novero delle cause di rifiuto appare più articolato rispetto a quello concernente i provvedimenti di congelamento, comprendendo anche ipotesi specificamente volte a tutelare la posizione dei soggetti colpiti dalla misura. Tra queste, più precisamente, rilevano i motivi finalizzati a garantire i loro diritti («i diritti dei soggetti colpiti renderebbero impossibile, a norma del diritto dello Stato di esecuzione, l’esecuzione del provvedimento di confisca») [61], ovvero ad assicurare, per i procedimenti in absentia, il rispetto degli standards del fair trial (il soggetto colpito «non è comparso personalmente al processo che ha dato luogo al provvedimento di confisca legato ad una condanna definitiva», sempre che il certificato di confisca non attesti la ricorrenza di una delle tre circostanze derogatorie contemplate anche dall’art. 4-bis della decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato d’arresto europeo) [62]. Appaiono inoltre calibrate sulle peculiarità dello strumento de quo le distinte cadenze temporali previste per il suo riconoscimento e la sua esecuzione: l’autorità ricevente vi provvede «senza indugio» e comunque «entro 45 giorni dal ricevimento del certificato di confisca» [63], adottando le «misure concrete» a tal fine necessarie [64]. Resta comunque salva la [continua ..]


6. Gestione e destinazione dei beni confiscati

Il Regolamento delinea anche una disciplina specifica in merito alla gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati [70]. A tal fine, il considerando n. 47 invita innanzitutto preliminarmente «ciascuno Stato membro» a «valutare la possibilità di istituire un ufficio nazionale centralizzato responsabile della gestione» degli stessi, sottolineando l’esigenza di adottare quale opzione prioritaria di assegnazione «progetti di contrasto e di prevenzione della criminalità organizzata», nonché «altri progetti di interesse pubblico e di utilità sociale» [71]. Quanto alla regolamentazione concreta, si stabilisce in primo luogo la regola della lex loci: ai fini in questione, si applica infatti la legge dello Stato di esecuzione, su cui grava l’obbligo fondamentale di evitare la diminuzione di valore dei predetti beni. Per scongiurare un’evenienza del genere, si consente che tale Paese possa – anche in conformità all’art. 10 della direttiva 2014/42/UE – vendere o trasferire gli stessi e che, in ogni caso, i beni congelati e le somme ricavate dalla eventuale alienazione restino nello Stato di esecuzione fino alla presentazione di un certificato di confisca o alla sua esecuzione, fatta salva la possibilità di restituzione alla vittima dei beni congelati prevista dall’art. 29 [72]. A questo proposito, nel presupposto che «i diritti delle vittime al risarcimento e alla restituzione non dovrebbero essere pregiudicati nei casi transfrontalieri», dovendo dunque, «nella destinazione dei beni sequestrati e confiscati […] darsi priorità alle legittime pretese di queste» [73], si statuisce che qualora l’autorità emittente o altra autorità competente del Paese a quo abbia adottato, in conformità al proprio diritto nazionale, una decisione in tal senso, di cui ha reso edotto con apposita informazione inserita nel certificato o con comunicazione successiva, lo Stato di esecuzione, quest’ultimo deve adottare le misure necessarie per garantire, nel caso in cui i beni siano congelati, l’ottemperanza tempestiva al decisum, sempre che tuttavia ricorrano talune condizioni: il titolo della vittima sui beni non sia contestato [74], i beni non costituiscano elementi di prova in un procedimento penale nello Stato di esecuzione e non siano [continua ..]


7. Obblighi informativi e rimedi impugnatori

Il Regolamento si preoccupa anche di assicurare ai soggetti colpiti una piena ed effettiva tutela giurisdizionale. A tal fine, pone innanzitutto a carico dell’autorità di esecuzione specifici obblighi informativi: fatte salve esigenze di riservatezza volte a tutelare indagini in corso [77], questa deve informare «senza indugio» i soggetti colpiti di cui ha conoscenza dell’esecuzione del provvedimento di congelamento o della decisione di riconoscere ed eseguire la confisca, rendendo noti altresì l’autorità che ha adottato la misura, i motivi sia pur succinti posti a base della stessa, nonché i mezzi di impugnazione attivabili ai sensi del diritto del Paese di esecuzione [78]. I soggetti attinti dalle misure de quibus dispongono di una duplice via di controllo delle stesse: nel Paese emittente, ai sensi della lex fori, contestando nel merito le ragioni alla base della loro adozione; nel Paese di esecuzione, secondo la lex loci, impugnando la decisione sul riconoscimento e l’esecuzione dei provvedimenti di congelamento e confisca, essendo sancito a loro favore il «diritto di avvalersi di mezzi di impugnazione effettivi» in tale Stato, attivando un rimedio «dinanzi a un organo giurisdizionale» [79]. Si tratta di una impostazione coerente con l’assetto della cooperazione improntata al mutual trust, che vede la coesistenza di un duplice livello di vaglio: “interno”, sulla legittimità del provvedimento ablativo ed “esterno”, sulla correttezza della cooperazione prestata e sulla possibilità di darvi ulteriore seguito. Naturalmente, nell’ottica di una costante interlocuzione e collaborazione tra le autorità coinvolte, si prevede che l’autorità del Paese di emissione sia informata di qualsiasi mezzo di controllo invocato nello Stato di esecuzione [80].


8. Conclusioni

L’analisi del Regolamento in oggetto consente di apprezzare la significativa evoluzione registratasi in tema di affermazione del principio del mutuo riconoscimento negli ultimi anni. Non v’è dubbio, infatti, che l’entrata in vigore nel 2009 del Trattato di Lisbona abbia rappresentato un “salto di qualità” nella consacrazione di tale canone, marcando altresì una significativa cesura quanto a tutela dei diritti fondamentali. Per un verso, infatti, l’espressa previsione ad opera del Trattato (artt. 67 e 82 TFUE) ha comportato la relativa “comunitarizzazione” del principio, ossia la sua stabilizzazione a livello di legislazione primaria dell’UE, conferendogli dunque un peso ben diverso rispetto al passato, assurgendo adesso lo stesso a “parametro di legalità” dell’ordinamento europeo [81]. Inoltre, se in precedenza la sua operatività era stata realizzata per il tramite di decisioni quadro – atti privi di efficacia diretta e bisognosi di un recepimento interno non di rado rivelatosi nella pratica non del tutto in linea con lo spirito e la lettera della fonte sovraordinata – ora, invece, come avvenuto nell’ipotesi in analisi, può essere affidata anche a fonti normative dotate di efficacia diretta negli ordinamenti nazionali, con conseguente recupero di quella cogenza ed omogeneità applicativa in passato risultata non di rado deficitaria. Per altro verso, il Trattato di Lisbona ha segnato una significativa linea di discontinuità anche dal punto di vista della tutela delle garanzie. Nel periodo antecedente – e, in particolare, nel decennio 1999-2009, sotto l’egida del Trattato di Amsterdam – era prevalsa nell’uso dello strumento penale (e processual penale, in ispecie) una strategia eminentemente securitaria, che aveva privilegiato le istanze di difesa sociale, accentuando le finalità repressive degli strumenti di cooperazione giudiziaria e di polizia [82]. Ne era risultata una accentuazione del volto securitario dell’UE, i cui sforzi apparivano prevalentemente protesi ad arginare i fenomeni criminosi di dimensione transnazionale, secondo una prospettiva che efficacemente si è definita «monoculare», più attenta a “reprimere” che a “garantire” [83]. Il 2009, però, segna uno spartiacque [continua ..]


NOTE
Fascicolo 5 - 2021