Mancata tutela della persona offesa e vittimizzazione secondaria
(Corte e.d.u., 27maggio 2021, J.L. c. Italia)
Il caso in esame riguarda un procedimento penale contro sette uomini accusati di violenza sessuale di gruppo, all’esito del quale veniva resa sentenza di proscioglimento.
La Corte di Strasburgo ha ritenuto che i diritti e gli interessi della persona offesa, ricorrente ai sensi dell’articolo 8 Cedu, non fossero stati adeguatamente tutelati alla luce sentenza della Corte d’Appello di Firenze.
In particolare, l’autorità nazionale non avrebbe apportato le necessarie tutele per evitare all’istante la "vittimizzazione secondaria" durante l’intero procedimento, soprattutto nelle battute finali della vicenda giudiziaria, dato l’intrinseco carattere pubblico della decisione. Tra i vari punti, la Corte ha considerato i commenti dell’autorità nazionale in sede di decisione, riguardanti la bisessualità della vittima e le proprie abitudini sessuali, come non giustificati e pertinenti all’aspetto giuridico.
Scendendo nello specifico dei fatti, la ricorrente presentava denuncia alle autorità italiane, sostenendo di essere stata sottoposta a stupro di gruppo, affermando che, alla fine di una festa alla quale era stata invitata da uno dei suoi presunti aggressori, era stata obbligata ad avere rapporti sessuali, in macchina, con sette uomini, mentre era sotto l’effetto dell’alcol. La ricorrente, successivamente, identificava i sospetti, i quali sono stati posti in custodia cautelare.
Nel maggio 2010 i sette indagati venivano rinviati a giudizio davanti al Tribunale di Firenze, che condannava sei di loro, nel gennaio 2013, per aver indotto la persona offesa in uno stato di incapacità fisica e psichica al fine di compiere o conformarsi ad atti di natura sessuale (reato punibile dal codice penale nostrano, ai sensi del 609-bis c.p., combinato con l’articolo 609-octies c.p.). Il settimo imputato fu assolto, poiché l’inchiesta aveva dimostrato che, sebbene fosse stato presente durante la serata, non aveva lasciato la festa con gli altri e non aveva partecipato alla violenza sessuale.
Il tribunale riteneva che lo stato in cui la ricorrente si era trovata nel momento dei fatti, dovesse essere qualificato come «condizione di inferiorità» sia fisica che psichica. Precisava, inoltre, che in materia di violenza sessuale la nozione di inferiorità non è necessariamente legata a una patologia mentale della vittima, ma può derivare da diversi fattori, a condizione che la loro incisività sia quanto meno in grado di viziare il consenso.
Gli imputati decidevano quindi di adire la Corte d’appello di Firenze contro la decisione del Tribunale di primo grado.
Con sentenza del 4 marzo 2015, depositata il 3 giugno 2015, il giudice distrettuale assolveva i sei imputati condannati.
In primo luogo, la [continua..]