Con la pronuncia in commento, la S.C. ha chiarito che l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, intervenuta in qualunque fase o grado del giudizio, si estende anche alle attività difensive che si rendono necessarie nella fase esecutiva della sentenza di condanna sino alla scadenza del termine per formulare le richieste di cui all’art. 656, comma 5, c.p.p, nonché al successivo giudizio dinanzi al Tribunale di sorveglianza.
The Supreme Court helps to clarify that admission to legal aid, intervened at any stage or degree of the proceedings, also extends itself to the defensive activities that are necessary in the executive phase of the sentence until the expiry of the term for formulating the requests pursuant to article 656, paragraph 5, of the Code of Criminal Procedure, and to the subsequent proceedings before the surveillance Court too.
Keywords: legal aid – implementation
Articoli Correlati: gratuito patrocinio - fase esecutiva
1. Premessa - 2. La fase dell’esecuzione - 3. Il Patrocinio a spese dello Stato - 4. Considerazioni conclusive - NOTE
Pur non distinguendosi per novità, la sentenza in commento [1] propone come aspetto controverso, già oggetto di precedente contrasto giurisprudenziale [2], l’individuazione dell’Autorità competente a provvedere alla liquidazione degli onorari del difensore nell’ambito dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato. Tuttavia, lascia irrisolto il dibattito circa la necessità di presentare una nuova istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nella fase dell’esecuzione, nonostante il condannato sia stato già ammesso nel corso del procedimento volto ad accertare la sua responsabilità penale. Nel caso di specie, il tema appare complicato per due ragioni. In primo luogo, la richiesta di liquidazione del difensore si inseriva in un momento procedimentale che potrebbe definirsi di “transizione” – ordine di esecuzione e decreto di sospensione – in cui effettivamente l’Autorità giurisdizionale (in funzione di giudice dell’esecuzione o magistratura di sorveglianza) non è ancora intervenuta, seppur già individuabile in ragione dei criteri di competenza dettati dal codice di rito. La pronuncia in esame l’ha ritenuta pienamente rientrante nella fase dell’esecuzione in ragione della collocazione codicistica delle relative norme che la disciplinano: in effetti, tale segmento, se sulla base di una mera interpretazione letterale sia facilmente inquadrabile nel comma 2 dell’art. 75, d.p.r. n. 115 del 2000 (fase dell’esecuzione e processi di competenza del Tribunale di sorveglianza), potrebbe rientrare anche nella definizione di cui al comma 1 della medesima norma (ogni grado e fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse). In secondo luogo, in entrambi i casi, la norma non prescrive la necessità di dover presentare una nuova istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato per l’imputato già ammesso in precedenza; pertanto, la conclusione cui giunge il Tribunale di Foggia («l’istanza per la liquidazione dei compensi non può che essere formulata al Tribunale di sorveglianza chiamato a decidere sulla concessione della misura, previa presentazione di nuova richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato») sembra essere il risultato di una valutazione che confonde due momenti, che, al [continua ..]
Il corretto inquadramento della questione postula una, pur rapida, disamina della poliedrica fisionomia che assume il segmento attuativo del dictum giurisdizionale. Ai sensi dell’art. 650 c.p.p., le sentenze e i decreti penali di condanna divengono esecutivi solo quando sono divenuti irrevocabili [4], con la conseguenza che l’accertamento sulla responsabilità può considerarsi tendenzialmente definitivo e il provvedimento emanato acquisisce l’idoneità ad essere eseguito. Se diversi sono gli attori che intervengono nella fase dell’esecuzione – una fase che, negli ultimi anni, ha conosciuto un rinvigorimento, in ragione della sempre maggiore effettiva giurisdizionalizzazione [5], così come, del resto, era negli intenti del legislatore del codice riformato – l’ufficio del pubblico ministero assume un ruolo primario. L’art. 73, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 prescrive, infatti, il «dovere di fa eseguire i giudicati ed ogni altro provvedimento del giudice». Tale potere trova conferma nell’art. 655 c.p.p., secondo cui «salvo che sia diversamente disposto, il pubblico ministero presso il giudice indicato nell’art. 665 cura di ufficio l’esecuzione dei provvedimenti». Dalla disposizione si ricava, dunque, la regola generale della legittimazione in executivis dell’ufficio del pubblico ministero presso il giudice dell’esecuzione. In conformità alla direttiva n. 96 legge delega, anche la fase dell’esecuzione deve essere assistita dalle garanzie della giurisdizione; pertanto, il legislatore ha previsto un controllo “eventuale” affidato al giudice dell’esecuzione, cui è demandato ogni aspetto che riguarda l’efficacia esecutiva del provvedimento giurisdizionale al fine di assicurare adeguate garanzie ai diritti fondamentali dell’interessato, lambiti dall’esecuzione stessa. Pertanto, il giudice competente è, ai sensi dell’art. 665 c.p.p., il medesimo che ha emanato il provvedimento [6], collegandosi all’assunto per cui l’accertamento della responsabilità è, oramai, da ritenersi concluso [7]. Il controllo sulla funzionalità ed efficienza della pena in relazione al fine della rieducazione del condannato ed all’accertamento della pericolosità del soggetto [8] è, invece, affidato alla magistratura [continua ..]
Siffatto procedimento è espressamente richiamato dall’art. 75, comma 2, d.p.r. n. 115 del 2002: s’intende assicurare a chi non abbia i mezzi economici necessari, la difesa tecnica in un momento procedimentale deputato all’assunzione di decisioni direttamente incidenti sul bene fondamentale della libertà personale [11], come, del resto, la Suprema Corte ha avuto modo di ribadire nella pronuncia in commento in forza del quadro costituzionale di riferimento [12]. L’esigenza sottesa rinviene saldo ancoraggio anche nelle disposizioni sovranazionali operanti nello Stato: il riferimento è all’art. 6, comma 3 Cedu [13], all’art. 14, par. 3, lett. d) del Patto Internazionale sui diritti civili e politici e, più di recente, all’art. 47, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [14]. Da un punto di vista normativo, la l. n. 217 del 1990 [15] – sostituita dal t.u.s.g. – ha costituito il primo esempio di inserimento del patrocinio a spese dello Stato in favore delle persone che, oggi, hanno un reddito annuo [16] non superiore ad euro 11.746,68 [17]. L’art. 1, comma 1 (per quanto i soggetti beneficiari) e l’art. 3, l n. 217 del 1990 (per le fasi procedimentali in cui opera l’istituto) stabilivano che legittimati ad accedere al «patrocinio a spese dello Stato nel procedimento penale ovvero penale militare per la difesa del cittadino non abbiente» fossero soltanto l’imputato, la persona offesa dal reato, il danneggiato che intendesse costituirsi parte civile nonché il civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Accanto agli originari beneficiari del patrocinio, l’art. 2, comma 1, l. 29 marzo 2001, n. 134, ha inoltre previsto l’esplicita menzione dell’indagato e del condannato. Tuttavia, in dottrina si osservò come la modifica apparisse priva di effetti novativi sotto il profilo sostanziale, in quanto, oltre all’operatività della generale regola di cui all’art. 61, comma 1, c.p.p., la legittimazione ad accedere al beneficio dell’indagato come del condannato era ricavabile in via interpretativa dalle previsioni contenute negli artt. 7 e 15, l. n. 217 del 1990 [18]: con specifico riferimento al condannato, l’art. 15 già estendeva alla fase di esecuzione e di revisione l’applicabilità [continua ..]
Se, in base al quadro normativo, non è controversa la competenza giurisdizionale a decidere sull’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, più dibattuta, invece, sembra essere la competenza a decidere sulla liquidazione degli onorari spettanti al difensore, o meglio l’indispensabilità o meno di una nuova istanza di ammissione [35]. Pur rigettando il ricorso, la Suprema Corte, pur non ribadendo la necessità di ripresentare una nuova istanza, si limita a richiamare le fonti normative dalle quali emergerebbe la competenza del giudice che deve emettere il decreto di pagamento, con ciò confermando – seppur indirettamente – che l’istanza di liquidazione andava depositata al Tribunale di sorveglianza – e non al Tribunale ordinario –, non necessitando una previa (ed ulteriore) nuova richiesta di ammissione. La prorogatio cui fa riferimento la Corte – e che reputa non estendibile al procedimento dinnanzi al Tribunale di sorveglianza – inerisce, in realtà, alla difesa tecnica implicante una nuova nomina ai sensi dell’art. 71, l. n. 354 del 1975 [36] e non già all’estensione del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio. Tale estensione, quindi, non può ritenersi esclusa con certezza. Inoltre, ad essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato è, comunque, la persona assistita, non già il difensore – sia esso confermato anche per la fase dell’esecuzione o appositamente nominato –, sicché, premesso che sussistano i requisiti richiesti dalla legge, non si comprende perché il condannato dovrebbe presentare una nuova istanza di ammissione; e ciò contrariamente all’indirizzo prevalente che, invece, pretende una specifica istanza di ammissione relativa al processo di competenza del Tribunale di sorveglianza, distinto da quello di esecuzione, stante le differenze tra due procedure che esigono separate istanze ed autonomi provvedimenti di ammissione. Seppur risalente, è da ritenersi ancora condivisibile quanto statuito dalla sentenza n. 139 del 23 aprile 1998 [37] con cui la Consulta, chiamata a pronunciarsi sull’eventuale contrasto con l’art. 24 Cost., dell’art. 15, l. 217 del 1990, ha evidenziato come proprio la locuzione “fase dell’esecuzione” non possa essere interpretata restrittivamente, per [continua ..]