Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Indagini difensive ed acquisizioni dichiarative dalla persona detenuta (di Pasquale Ventura, Avvocato)


Tramite l’indagine difensiva si può conferire, ricevere una dichiarazione scritta o assumere informazioni anche da una persona a conoscenza dei fatti che sia detenuta; in questo caso il difensore necessita, secondo la previsione dell’art. 391-bis, comma 7, c.p.p., di una specifica autorizzazione del giudice che procede nei confronti del detenuto, il quale provvede dopo avere acquisito il parere del suo difensore e del pubblico ministero.

Il presente lavoro propone di affrontare alcune questioni che la norma citata lascia irrisolte, quali: il contenuto della richiesta di autorizzazione al colloquio; i limiti entro i quali il giudice esercita il potere decisionale; l’esatta interpretazione del riferimento alla "persona detenuta".

Defensive investigations and declarative acquisitions from the detained

Through the defensive investigation it is possible to confer, receive a written declaration or obtain information even from a person about the facts he is detained; in this case the lawyer, according to the provisions of art. 391-bis paragraph 7 c.p.p., there is the needing of a specific authorization of the judge who proceeds against the prisoner, who will do it after the detainee’s lawjer and the prosecutor opinion.

The abstract aims to address some issues that the rule of law leaves unresolved, such as: the authorization request form concerning the interwiew; the judge’s limits about his decision; the correct interpretation of the reference to the “detained person”.

SOMMARIO:

1. L'indagine dalle persone informate dei fatti - 2. Il colloquio col detenuto - 3. La richiesta - 4. Il provvedimento di autorizzazione - 5. La persona “detenuta” - NOTE


1. L'indagine dalle persone informate dei fatti

Una delle attività in cui la difesa tecnica si estrinseca è la ricerca da parte del difensore di elementi idonei a sostenere la ricostruzione dei fatti affermata dall’assistito ed a contrastare quella dell’accusa; nell’ambito di tale attività, disciplinata nel titolo VI-bis del libro V del codice di rito, recante “investigazioni difensive” [1], assume particolare rilievo il colloquio con la persona informata dei fatti oggetto del processo. L’art. 391-bis c.p.p. riconosce al difensore la facoltà di conferire, ricevere una dichiarazione scritta o assumere informazioni da qualunque persona sia «in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa». L’ampiezza della formula consente di includere tra i soggetti escutibili anche: a) la persona offesa, il danneggiato dal reato[2]e, nel corso dell’indagine difensiva suppletiva o integrativa, la parte civile [3]. La persona offesa può rendere informazioni o rilasciare una dichiarazione scritta anche al proprio difensore, come espressamente riconosciuto dalla giurisprudenza [4], «a nulla rilevan­do l’eventuale contrarietà di tale comportamento a regole deontologiche la cui inosservanza può soltanto dare luogo a responsabilità disciplinari» [5]; b) ilcoindagatoo il coimputato nello stesso procedimento o in un procedimento connesso o collegato. Il difensore che intenda conferire, ricevere una dichiarazione scritta o assumere informazioni da una di queste persone, deve avvisare con almeno ventiquattro ore di anticipo il difensore di costei, il quale deve presenziare all’atto. Se la stessa non ha un difensore, l’indagante deve chiedere al giudice di nominargliene uno d’ufficio ai sensi dell’art. 97 c.p.p. (art. 391-bis comma 5 c.p.p.); c) il minorenne. L’art. 391-bis, comma 5-bis, c.p.p.[6]prevede che il difensore, se assume informazioni da minorenni e si procede per i delitti indicati nell’art. 351, comma 1-ter, c.p.p. [7] deve valersi dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, la cui presenza da un lato assicura la correttezza delle modalità di svolgimento dell’esame al fine di ottenere una dichiarazione meno "condizionata" possibile del minore, dall’altro tutela la personalità del minore, per evitare [continua ..]


2. Il colloquio col detenuto

Una particolare disciplina opera allorché il difensore intenda conferire, ricevere una dichiarazione scritta o assumere informazioni da una persona a conoscenza dei fatti che sia detenuta; in questo caso egli necessita di una “specifica” autorizzazione del giudice che procede nei confronti di costei, il quale provvederà dopo avere acquisito il parere del suo difensore [13] e del pubblico ministero [14]. La suddetta autorizzazione [15] va concessa, prima dell’esercizio dell’azione penale, dal giudice per le indagini preliminari che ha disposto la misura; dopo tale esercizio, dal giudice dell’udienza preliminare, del dibattimento o dalla corte d’appello, a seconda della fase in cui il processo contro la persona in vinculis si trova. Per assumere informazioni dalla persona sottoposta ad una misura di sicurezza personale detentiva ex art. 215 c.p., applicata in via provvisoria ai sensi dell’art. 312 c.p.p., è necessaria l’autorizzazione del giudice che ha disposto la misura; mentre, se la persona è detenuta in forza di un titolo esecutivo, il difensore necessita dell’autorizzazione del magistrato di sorveglianza da individuarsi, ai sensi dell’art. 677 c.p.p., in quello che ha giurisdizione sull’istituto di prevenzione o di pena in cui il detenuto si trova all’atto della presentazione della richiesta. Se il detenuto è sottoposto a più procedimenti cautelari, occorre l’autorizzazione di tutti i giudici procedenti [16]; mentre, se la persona è detenuta in forza contemporaneamente di un provvedimento cautelare e di una sentenza di condanna irrevocabile, riteniamo che l’autorizzazione al colloquio vada concessa sia dal giudice di cognizione sia dal magistrato di sorveglianza [17]. Quanto al soggetto che può svolgere il colloquio con il detenuto, il riferimento al “difensore” non esclude che costui possa nominare un sostituto; ed invero, come si ricava dal combinato disposto di cui agli artt. 102 e 391-bis c.p.p., il sostituto gode degli stessi diritti e doveri del difensore sostituito e in particolare, come questo, può svolgere l’esame della persona a conoscenza dei fatti o farsi rilasciare da questa una dichiarazione scritta [18]. Mentre la peculiare situazione in cui la persona informata versa, in quanto privata della [continua ..]


3. La richiesta

La richiesta del difensore, di essere autorizzato al colloquio col detenuto, deve anzitutto indicare il titolo che lo legittima allo svolgimento di tale attività di indagine, vale a dire il riferimento al procedimento in cui la persona assistita è parte [20] e all’imputazione elevata in esso [21]. Il riferimento all’imputazione, da indicare nella richiesta di autorizzazione, merita di essere chiarito. Se l’indagine viene svolta nell’interesse dell’indagato o dell'imputato, è sufficiente richiamare il contenuto dell’imputazione a carico di costui, come cristallizzata in uno degli atti contestativi dell’accusa [22] o di impulso processuale [23]. Invece se l’indagine difensiva viene svolta dal difensore della persona offesa, del danneggiato dal reato o della parte civile, è necessario che il difensore nella richiesta indichi l’addebito mosso all’in­da­gato o all’imputato e le ragioni per le quali il suo assistito assume di essere offeso o danneggiato dal reato. Il problema si pone nello svolgimento della c.d indagine preventiva ex art. 391-nonies c.p.p., cioè prima e «per l’eventualità che si instauri un procedimento penale»; quindi in un momento in cui, non essendo instaurato un procedimento penale, non vi è (ancora) un’imputazione. La richiesta di audizione del detenuto avanzata nel corso di tale indagine, non potendo indicare l’imputazione, dovrà fare riferimento al “mandato” a svolgere l’indagine preventiva il quale, oltre a contenere la nomina del difensore, indica i fatti cui l’incarico si riferisce e che potrebbero determinare l’insorgere di un procedimento penale [24]. Tale mandato ha una ampiezza diversa a seconda che venga rilasciato dal potenziale imputato o dalla persona offesa: nel primo caso, è sufficiente che contenga un’esposizione sintetica dell’accadimento storico, cui ancorare l’indagine difensiva, perché un’indicazione troppo specifica e dettagliata del fatto stesso potrebbe risultare dannosa per l’indagante, potendo offrire lo spunto per investigazioni a suo carico da parte dell’autorità giudiziaria [25]. Nel secondo caso, deve ritenersi che il limite di indicare i fatti in modo sintetico non opera; la persona offesa, [continua ..]


4. Il provvedimento di autorizzazione

Presentata la richiesta di autorizzazione, il giudice decide dopo avere acquisito il parere [28] del difensore del detenuto [29] e del pubblico ministero del procedimento pendente contro lo stesso. La previsione di questi pareri conforta la tesi per cui il giudice può valutare discrezionalmente la richiesta, accogliendola o rigettandola [30]; il problema è di individuare i limiti entro i quali esercita tale potere decisionale. Al giudice va riconosciuto sicuramente un potere di controllo sull’“ammissibilità” della richiesta. La declaratoria di inammissibilità si impone se l’audizione non è consentita dalla legge; per esempio, se la persona detenuta risulta incompatibile a norma dell’art. 197, comma 1, lett. c) e d), c.p.p.; se la sua testimonianza è stata già chiesta dal pubblico ministero o da un’altra parte privata in sede di incidente probatorio, nell’integrazione probatoria ex art. 422, comma 2, c.p.p., nella lista ex art. 468 c.p.p. o è stata ammessa dal giudice a norma dell’art. 507 c.p.p. (art. 430-bis c.p.p.); se nei suoi confronti il pubblico ministero ha emesso il decreto di segretazione ai sensi dell’art. 391-quinquies c.p.p. La richiesta va dichiarata inammissibile anche quando all’indagato in vinculis è imposto il divieto di conferire con il proprio difensore ai sensi dell’art. 104 c.p.p. [31], oppure è sottoposto ad isolamento per ragioni di tutela delle indagini ai sensi dell’art. 33 comma 1, n. 3, ord. penit., con conseguente impossibilità di intrattenere rapporti con altri detenuti e con familiari e conoscenti; diversamente opinando, se la persona ristretta potesse comunicare con i terzi in costanza dei suddetti divieti, questi risulterebbero vanificati. Gli elementi per decidere sull’ammissibilità della richiesta saranno forniti al giudice dal difensore e dal pubblico ministero; per esempio, informandolo dell’esistenza del decreto di segretazione ex art. 391-quinquies c.p.p., oppure del divieto di comunicazione ai sensi dell’art. 104 c.p.p. Per quanto concerne il “merito” della richiesta, il giudice non ha alcun potere di valutare l’utilità o la rilevanza della prova da assumere con l’indagine difensiva [32]. Come è [continua ..]


5. La persona “detenuta”

Il riferimento dell’art. 391-bis, comma 7, c.p.p. alla “persona detenuta” va interpretato non in senso ampio, cioè riferito anche al condannato o all’imputato il quale si trovi ad espiare la pena o a subire la misura coercitiva fuori della struttura carceraria, ma in senso restrittivo, e quindi limitato alla persona reclusa in un istituto penitenziario. Pertanto la norma in esame non può trovare applicazione nei confronti dei soggetti sottoposti a forme di limitazione della libertà personale diverse dalla detenzione in carcere; infatti il detenuto che si trova legittimamente fuori dal carcere ad espiare la pena o la misura coercitiva, subisce indubbie limitazioni della propria libertà di movimento ma non soffre “di regola” limitazioni nelle comunicazioni. Del resto il legislatore, se avesse ritenuto necessaria l’autorizzazione per conferire con il detenuto che si trovi fuori del carcere, avrebbe incluso negli avvertimenti di cui all’art. 391-bis, comma 3, c.p.p. anche l’obbligo per costoro di dichiarare tale status, come previsto per la persona informata che ha l’obbligo di dichiarare al difensore indagante se è sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento o in un procedimento connesso o collegato. Quindi l’autorizzazione non è richiesta qualora il difensore intenda, per esempio, conferire, assumere informazioni o ricevere una dichiarazione scritta: a) dall’imputato agli arresti domiciliari, a meno che tale misura sia corredata dal divieto di «comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono» (art. 284, comma 2, c.p.p.)[43]; b) dal condannato ammesso a forme di esecuzione della pena alternative al carcere, come l’affi­da­mento in prova ai servizi sociali a sensi degli artt. 47ord.penit. e 94 d.p.r. n. 309 del 1990, la detenzione domiciliare [44], sempre che al condannato non sia imposto il divieto di comunicare con persone diverse da quelle che coabitano con lui o che lo assistono (art. 47-ter, comma 4 ord. penit.), o la semilibertà ex  48 ord. penit., che si sostanzia nella possibilità per il condannato o l’internato di uscire giornalmente dall’istituto penitenziario per un tempo limitato; c) dal condannato, la cui pena detentiva è stata sostituita con la semidetenzione o la [continua ..]


NOTE