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Mandato di arresto europeo e BREXIT: quali gli scenari per il futuro?
di Fiammetta Borgia, Ricercatrice confermata di Diritto internazionale - Università di Roma “Tor Vergata”
La sentenza in commento chiarisce gli effetti del recesso del Regno Unito dall’Unione europea in materia di mandato di arresto europeo e procedure di consegna tra Stati membri, in ossequio a quanto già stabilito dalla Corte di giustizia europea nel 2019. In definitiva, la Cassazione ribadisce il concetto secondo il quale fino al termine del periodo transitorio, stabilito dall’Accordo di recesso il diritto dell’Unione europea è pienamente applicabile nel Regno Unito, comprese evidentemente le disposizioni sul MAE.
Tali riflessioni hanno offerto, dunque, lo spunto per esaminare, seppur brevemente, il crescente fenomeno del recesso dai trattati multilaterali e, in particolare, da quelli istitutivi di organizzazioni internazionali, rilevando alcune problematicità riguardo ai rapporti tra disciplina generale e quella speciale prevista eventualmente dagli accordi stessi. Inoltre, inevitabilmente ci si è chiesti quale potesse essere la disciplina applicabile tra Regno Unito e Stati membri dell’Unione alla luce dell’avvenuto recesso. Dopo aver operato una rapida comparazione tra il MAE e le disposizioni in materia, oggi contenute nell’Accordo di commercio e cooperazione tra l’Unione europea e la Comunità europea dell’energia atomica da una parte e il Regno Unito di Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord dall’altra, nonché sui principi ivi richiamati (e non), si è concluso a favore di una certa continuità tra gli istituti giuridici e, dunque, sul grado di tutela dei diritti fondamentali che potranno essere ancora garantiti nell’era post-brexit.
This decision clarifies the effects of the United Kingdom’s withdrawal from the European Union with regard to the European arrest warrant and on the surrender procedures between Member States. It appears to be in compliance with the 2019 decision of the European Court of Justice. In the end, the Corte di Cassazione reiterates the concept according to which, until the end of the transitional period established by the Withdrawal Agreement, EU law is fully applicable in the United Kingdom, including the provisions on EAW.
This has been the starting point for examining, albeit briefly, the growing phenomenon of withdrawal from multilateral treaties and, in particular, from those establishing international organizations, highlighting some problems regarding the relationship between general law and treaty law. Furthermore, this note deals with the potential legal framework between the United Kingdom and the EU member states after Brexit. By offering a fast comparison between the EAW and the provisions, now contained in the TCA, as well as on the principles referred to there (and those that are not), this note concludes in favour of a certain continuity between MAE and EAW and, therefore, leaning towards a sound protection of fundamental rights in the post-brexit era as well.
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La Cassazione ritorna sugli effetti della Brexit sul MAE
L’avvio, da parte della Regno Unito, della procedura per recedere dall’Unione Europea non legittima il rifiuto di un mandato di arresto europeo per la consegna a detto Stato, in quanto, anche a seguito della c.d. “Brexit”, non sussiste il concreto rischio che la persona di cui si chiede la consegna venga privata dei suoi diritti fondamentali. La Brexit, infatti, non mette a rischio i diritti fondamentali anche perché resta ferma, nel Regno Unito, l’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La disciplina del mandato d’arresto europeo, in ogni caso, trova applicazione nei rapporti con tale Stato fino al 31 dicembre di quest’anno (2020).
[Omissis]
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 4 settembre scorso, la Corte di appello di Milano ha dichiarato l’esistenza delle condizioni per l’accoglimento della richiesta di consegna del cittadino italiano (omissis) all’autorità giudiziaria della Gran Bretagna, in esecuzione del mandato di arresto europeo emesso il 1° luglio 2020 dal District Judge Magistrates Court di Londra, fondato sul mandato di arresto interno emesso il 26 giugno precedente dalla Westminster Magistrates Court, per concorso nel delitto di furto con scasso.
2. Avverso tale pronuncia, la difesa dell’interessato propone ricorso per cassazione, sulla base di nove motivi.
2.1. Inapplicabilità della disciplina del mandato d’arresto europeo nei rapporti con il Regno Unito di Gran Bretagna. A seguito della fuoruscita di quest’ultimo dall’Unione Europea (c.d. “brexit”) e delle spinte autarchiche pubblicamente manifestate dal suo Primo Ministro, che ha precisato come, una volta conclusa la relativa procedura, le istituzioni giudiziarie europee non avranno più alcuna giurisdizione sul territorio britannico, non v’è alcuna certezza sul rispetto, da parte di quello Stato, dei fondamentali diritti di difesa giudiziaria riconosciuti ai cittadini degli Stati dell’Unione dalla legislazione sul mandato d’arresto europeo, né, in particolare, sull’osservanza della condizione del rinvio del ricorrente in Italia per l’esecuzione dell’eventuale pena, apposta con la sentenza impugnata, a norma dell’art. 19, lett. e), legge n. 69 del 2005.
2.2. Violazione degli artt. 6, comma 1, lett. f), e 16, legge n. 69 del 2005, per la mancata indicazione nel mandato della pena minima prevista per i relativi reati, non essendo sufficiente - a differenza di quanto si afferma in sentenza - l’indicazione della sola pena massima.
2.3. Violazione degli artt. 2, comma 1, lett. a) e b), legge n. 69 del 2005, in relazione agli artt. 111, comma 7, Cost., e 5, comma 4, CEDU, per la mancata verifica dell’esistenza di un mezzo d’impugnazione del provvedimento restrittivo interno nell’ordinamento dello Stato emittente.
2.4. Violazione dell’art. 18, lett. e), legge n. 69 del 2005, in ragione della mancata indicazione nel mandato dei limiti massimi di durata della carcerazione preventiva.
2.5. Violazione dell’art. 2, comma 3, legge n. 69 del 2005, perché il mandato d’arresto europeo non risulta essere sottoscritto da un giudice, essendo stato emesso da un magistrato onorario e non professionale, qual è il Magistrate Court.
2.6. Violazione degli artt. 18, lett. h), e 2, comma 1, lett. a), legge n. 69 del 2005, perché sussisterebbe il serio pericolo di trattamenti penitenziari inumani o degradanti, in ragione di gravi condizioni di sovraffollamento delle carceri del Regno Unito, secondo quanto documentato da qualificati articoli di stampa, anche specializzata, specificamente indicati in ricorso, dai quali risulta, in particolare, che un tribunale olandese, per tali motivi, ha bloccato una procedura estradizionale; inoltre, risulta già devoluta alla Corte EDU la questione della possibile violazione dell’art. 3 della Convenzione, per effetto dell’estradizione verso un Paese a più alta incidenza dell’epidemia da “covid-19”, come accadrebbe nel caso in esame.
2.7. Violazione dell’art. 18, lett. p), legge n. 69 del 2005, per essere il ricorrente padre di prole d’età inferiore ai tre anni, non potendo tale disposizione intendersi riferita esclusivamente alla madre, come invece erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata; nel caso specifico, peraltro, la madre è impossibilitata a provvedere alla cura del minore, essendo lavoratrice dipendente ed unico soggetto percettore di reddito del nucleo familiare e non potendo avvalersi della collaborazione di altri familiari né di strutture esterne, a causa della situazione economica d’indigenza.
2.8. Violazione dell’art. 18-bis, lett. b), legge n. 69 del 2005, e mancanza di motivazione sul punto. Si addebita al ricorrente anche il delitto di “cospirazione”, assimilabile alla fattispecie interna dell’associazione per delinquere. Considerando la complessità dei furti compiuti, necessariamente implicanti una laboriosa preparazione, e rilevato che costui è giunto in Gran Bretagna soltanto il giorno prima della consumazione del secondo di quei delitti, se ne deve logicamente inferire che il delitto associativo si sia perfezionato sul territorio italiano, nel quale tutti i componenti della banda soggiornano stabilmente od al quale sono comunque collegati. Stando così le cose, risulterebbe integrata la causa di rifiuto della consegna specificamente prevista dalla citata disposizione, ora prevista dal successivo art. 18-bis, lett. b), a seguito della novella n. 117 del 2019.
2.9. Violazione dell’art. 17 comma 4, legge n. 69 del 2005, in ragione della mancata allegazione al mandato d’arresto europeo delle fonti di prova ivi indicate a carico del ricorrente, sì da risultare impedita qualsiasi verifica della loro valenza indiziante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente destituito di fondamento giuridico.
Lo stesso ricorrente è consapevole che, a norma dell’art. 62 dell’Accordo regolatore del ritiro del Regno Unito dall’Unione Europea, la disciplina del mandato d’arresto europeo trova applicazione nei rapporti con tale Stato fino al 31 dicembre di quest’anno.
In ogni caso, dev’essere ribadito il principio già affermato da questa Corte, secondo cui l’avvio, da parte della Gran Bretagna, della procedura per recedere dall’Unione Europea non legittima il rifiuto di un mandato di arresto europeo per la consegna a detto Stato, in quanto, anche a seguito della c.d. “brexit”, non sussiste il concreto rischio che la persona di cui si chiede la consegna venga privata dei suoi diritti fondamentali, anche in considerazione del fatto che permangono le garanzie derivanti dall’adesione dello stato britannico alla CEDU (Sez. 6, n. 3640 del 22/01/2019, Mastrelli, Rv. 275198).
In tal senso, in una fattispecie del tutto analoga a quella in scrutinio, si è espressa altresì la Corte di giustizia U.E., prima sezione, 19 settembre 2018, sulla domanda di pronuncia pregiudiziale propostale dalla High Court della Repubblica d’Irlanda, rilevando che:
- la notifica dell’intenzione di recedere dall’Unione non ha l’effetto di sospendere l’applicazione del diritto dell’Unione nello Stato notificatore e, pertanto, tale diritto, di cui fanno parte le disposizioni della decisione quadro in materia di mandato d’arresto europeo ed i principi della fiducia e del riconoscimento reciproci inerenti a quest’ultima, è pienamente vigente in tale Stato fino al suo effettivo recesso dall’Unione (§ 45);
- in particolare, la notifica dell’intenzione dello Stato britannico di recedere dall’Unione non implica in nessun caso il venir meno del principio fondamentale della reciproca fiducia fra gli Stati membri, non potendo pertanto integrare quella “circostanza eccezionale” che, ai sensi della giurisprudenza della stessa Corte, può giustificare il rifiuto di esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso da uno Stato membro (§ 48);
- il Regno Unito è parte della CEDU ed ha inserito le disposizioni del relativo articolo 3 nel proprio diritto interno; dato che la permanenza della sua partecipazione a tale convenzione non è in alcun modo collegata alla sua appartenenza all’Unione, la decisione di detto Stato di recedere da quest’ultima non incide sul suo obbligo di rispettare l’articolo 3 della CEDU e, di conseguenza, non può giustificare un rifiuto di dare esecuzione a un mandato d’arresto europeo motivato dal fatto che la persona consegnata corre un rischio di trattamento inumano o degradante, ai sensi di tali disposizioni (§ 52).
Pertanto la Corte di Lussemburgo ha concluso affermando il seguente principio di diritto: “l’articolo 50 TUE dev’essere interpretato nel senso che la mera notifica da parte di uno Stato membro della propria intenzione di recedere dall’Unione ai sensi di tale articolo non comporta che, in caso di emissione da parte di tale Stato membro di un mandato d’arresto europeo nei confronti di una persona, lo Stato membro di esecuzione debba rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo o rinviarne l’esecuzione in attesa che venga chiarito il regime giuridico che sarà applicabile nello Stato membro emittente dopo il suo recesso dall’Unione. In mancanza di ragioni serie e comprovate di ritenere che la persona oggetto di tale mandato d’arresto europeo rischi di essere privata dei diritti riconosciuti dalla Carta e dalla decisione quadro a seguito del recesso dall’Unione da parte dello Stato membro emittente, lo Stato membro di esecuzione non può rifiutare l’esecuzione del medesimo mandato d’arresto europeo fintanto che lo Stato membro emittente faccia parte dell’Unione”.
Nello specifico, i timori rassegnati dal ricorrente, fondati su affermazioni non ufficiali e su comportamenti non univocamente concludenti di organi di governo del Regno Unito, non integrano “ragioni serie e comprovate”, attestanti un concreto rischio del mancato rispetto dei suoi diritti fondamentali da parte dell’autorità giudiziaria di quello Stato.
2. Anche il secondo motivo è privo di qualsiasi fondamento giuridico. Da tempo, infatti, questa Corte ha già avuto modo di precisare che, in tema di mandato d’arresto europeo, ai fini della valutazione della completezza delle informazioni contenute nel m.a.e. processuale relativamente all’indicazione della pena minima e massima stabilita dalla legge dello Stato di emissione, deve aversi riguardo non alla pena minima, bensì solo all’indicazione della pena detentiva edittale massima, l’unica rilevante ai fini della decisione sulla consegna, sia nella decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, che nella legge n. 69 del 2005 (Sez. 6, n. 45364 del 01/12/2011, Piatek, Rv. 251187).
3. Generica, invece, è la terza doglianza. È pacifico che, all’art. 2, la citata legge n. 69 recepisca e faccia propri, quale nucleo di princìpi ineludibile, i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU e dalla nostra Carta costituzionale; così come non v’è dubbio che l’art. 5, comma 4, della predetta Convenzione riconosca il diritto di ogni persona privata della libertà di ricorre ad un giudice, affinché decida della legittimità di siffatta detenzione.
Nello specifico, però, come già accennato dianzi, il Regno Unito è parte della Convenzione ed ha inserito le relative norme di principio nel proprio diritto interno; per contro, il ricorrente neppure allega l’assenza di adeguate procedure di controllo della legittimità dei provvedimenti privativi della libertà personale.
Infine, va evidenziato come l’indicazione di quelle non sia prevista dall’art. 6 della medesima legge n. 69 tra i contenuti necessari del mandato d’arresto.
4. Il quarto motivo di ricorso è anch’esso manifestamente infondato.
È stato già precisato dalla Corte di cassazione che non ricorre l’ipotesi prevista dall’art. 18, lett. e), della legge n. 69 del 2005, che impone il rifiuto della consegna qualora la legislazione dello Stato membro di emissione non preveda limiti massimi della carcerazione preventiva, se l’ordinamento processuale di quello Stato contempli un limite massimo di custodia cautelare coincidente con il termine di svolgimento del giudizio di primo grado ed eventualmente prorogabile dal giudice sulla base di condizioni espressamente previste dalla legge, così come previsto nel Regno Unito (Sez. 6, n. 48777 del 14/12/2012, Crepuljar, Rv. 254012).
5. Altrettanto dicasi per la quinta doglianza.
In tema di mandato di arresto europeo, la nozione di “autorità giudiziaria emittente” comprende anche le autorità di uno Stato membro che, pur non rivestendo la qualifica di organi giurisdizionali, partecipino all’amministrazione della giustizia penale di tale Stato ed agiscano in modo indipendente nell’esercizio delle proprie funzioni, a condizione che sia assicurato il sindacato giurisdizionale sulla decisione relativa all’emissione del mandato (da ultimo, fra molte altre conformi, Sez. 6, n. 15922 del 21/05/2020, Lucaci, Rv. 278934).
È, dunque, irrilevante la fonte d’investitura della funzione del magistrato, purché essa sia conforme all’ordinamento giudiziario dello Stato emittente il mandato.
6. Anche il sesto motivo non supera il preliminare vaglio di ammissibilità, in ragione della sua aspecificità.
In tema di mandato di arresto europeo, il motivo di rifiuto della consegna di cui all’art. 18, comma 1, lett. h), legge n. 69, cit., in caso di “serio pericolo” che la persona ricercata venga sottoposta a pene o trattamenti inumani o degradanti non è integrato dalla mera prospettazione dell’esistenza, nello Stato richiedente, di una condizione di sovraffollamento carcerario, laddove tale assunto non sia corredato dalla dimostrazione del livello di pericolo derivante da quanto rappresentato, né da elementi concreti sulla reale situazione nelle carceri di quello Stato (Sez. 6, n. 43537 del 15/10/2014, Florin, Rv. 260448).
E la Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenze 5 aprile 2016, C404/15, Aaranyosi e C659/15, Caldararu) ha precisato che il relativo accertamento dev’essere condotto dallo Stato di esecuzione sulla base di “elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati” sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato emittente, i quali dimostrino la presenza di carenze sia sistemiche o comunque generalizzate, sia limitate ad alcuni gruppi di persone o a determinati centri di detenzione. A tal fine - ha spiegato quella Corte - costituiscono fonti qualificate le decisioni giudiziarie internazionali, in particolare le sentenze della Corte EDU, le decisioni giudiziarie dello Stato membro emittente, nonché le decisioni, relazioni ed altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d’Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite.
Nello specifico, invece, l’assunto difensivo, oltre ad essere generico nei contenuti, poggia su non meglio verificate e suffragate notizie di stampa, peraltro riferite ad informazioni risalenti al 2017.
7. Non è fondato, sebbene non manifestamente, neppure il settimo motivo. In tema di mandato di arresto europeo, la limitazione della previsione del rifiuto di consegna di cui all’art. 18, comma 1, cit., alla sola madre trova giustificazione, non irrazionale, nell’assoluta peculiarità del rapporto tra la donna e la prole di tenera età (così, tra molte altre, Sez. 6, n. 8555 del 24/02/2015, G., Rv. 262504).
Seppur nella diversa materia dell’estradizione, nella quale manca un’analoga disposizione espressa, ma che è assimilabile a quella in rassegna, trattando entrambe della collaborazione giudiziaria tra Stati, si registrano tuttavia pronunce di respiro più ampio, nelle quali viene in rilievo anche la figura paterna, sempre nella prospettiva della maggior tutela possibile dei figli di tenera età.
Si è affermato, pertanto, che la circostanza che la persona richiesta in consegna sia padre di prole di età inferiore a tre anni, con lui convivente, può costituire condizione ostativa all’accoglimento della domanda estradizionale, ma soltanto qualora la prole non possa beneficiare delle cure della madre. A tal fine, l’onere dimostrativo dell’assoluta impossibilità di quest’ultima di accudire la prole grava sull’interessato, non essendo sufficiente a tal fine la mera circostanza dell’impegno lavorativo di costei, essendo necessario verificare, caso per caso, se esistano strutture di sostegno e di assistenza sociale, ovvero se sia disponibile l’assistenza di altri familiari che possano, all’occorrenza, sostituire la madre (Sez. 6, n. 14428 del 14/01/2020, Carni, Rv. 278847).
Nello specifico, tale onere dimostrativo non risulta soddisfatto, essendosi la difesa ricorrente limitata a comprovare lo svolgimento di attività lavorativa da parte della compagna del (omissis), nulla adducendo sulla natura di essa e sul relativo impegno orario, nonché rimanendo meramente asserita l’impossibilità, da parte di costei, di avvalersi di parenti o di rivolgersi a strutture pubbliche di assistenza.
8. Non può trovare accoglimento neppure l’ottavo motivo.
I fatti di reato si sono svolti interamente nel territorio dello Stato richiedente. Per “conspiracy”, infatti, non s’intende una situazione assimilabile alla fattispecie dell’associazione per delinquere dell’ordinamento italiano, ma piuttosto al concorso di persone nel reato. Ragione per cui risulta manifestamente destituito di fondamento il presupposto su cui la doglianza si fonda.
9. Infine, si rivela destituito di qualsiasi fondamento anche l’ultimo motivo, in punto di gravità indiziaria.
Riguardo ai “gravi indizi di colpevolezza” richiesti dall’art. 17, comma 4, della legge n. 69 del 2005, le Sezioni unite di questa Corte hanno ormai da tempo statuito che il requisito della motivazione del provvedimento cautelare, in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso ed al quale è subordinato l’accoglimento della domanda di consegna, non può essere parametrato alla nozione ricavabile dalla tradizione giuridica italiana, che richiede l’esposizione logico-argomentativa del significato e delle implicazioni del materiale probatorio, ma è sufficiente che l’autorità giudiziaria emittente abbia “dato ragione” del provvedimento adottato.
A tal fine, non è necessaria la allegazione al mandato della documentazione degli specifici elementi di prova su cui si fonda l’accusa (verbali, immagini, filmati od altri documenti), essendo sufficiente la puntuale indicazione delle evidenze fattuali a carico della persona di cui si chiede la consegna (Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramaci, Rv. 235349; sulla necessità - e sufficienza - della puntuale specificazione delle evidenze fattuali a carico della persona di cui si chiede la consegna, tra molte altre conformi, Sez. 6, n. 15935 del 15/04/2015, Rv. 263086; in termini sovrapponibili, Sez. 6, n. 44911 del 06/11/2013, Rv. 257466, in cui si esplicita che la valutazione della gravità indiziaria delle fonti di prova allegate è riservata all’autorità giudiziaria del paese emittente).
L’autorità giudiziaria italiana, in altri termini, ai fini della riconoscibilità del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, deve limitarsi a verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa, fondato su un compendio indiziario che l’autorità giudiziaria emittente abbia ritenuto seriamente evocativo di un fatto-reato attribuibile alla persona di cui si chiede la consegna, e che di ciò abbia fornito ragioni nel provvedimento adottato (Sez. 6, n. 28281 del 06/06/2017, Rv. 270415).
Nell’ipotesi in rassegna, tali requisiti risultano ampiamente soddisfatti.
Nel mandato è contenuta, infatti, una dettagliata descrizione del fatto, con indicazione quant’altre mai specifica, in relazione a ciascuno dei soggetti ritenuti coinvolti, dei risultati delle attività investigative, per lo più di tipo tecnico (riprese video, rilievi tecnici su apparecchi telefonici, utilizzo di carte elettroniche, biglietti aerei ed altro) e, come tali, se non oggettive, certamente con una componente valutativa discrezionale più limitata.
10. Per tutte le ragioni sin qui esposte, il ricorso dev’essere respinto e le spese del giudizio debbono conseguentemente essere poste a carico del proponente, a norma dell’art. 616, cod. proc. pen.
[Omissis]
Corte di cassazione, sez. VI, 9 ottobre 2020, n. 28228 − Pres. Petruzzellis; Rel. Rosati
Sommario:
1. La linea di “continuità” della Corte di cassazione e la base per gli sviluppi successivi - 2. La questione “intercettata” dalla Corte: il problema del recesso dai trattati multilaterali e la c.d “brexit” - 3. Mandato di arresto europeo e BREXIT: quali gli scenari per il futuro? - NOTE
1. La linea di “continuità” della Corte di cassazione e la base per gli sviluppi successivi
La sentenza in esame, pur non essendo particolarmente innovativa, offre l’occasione di sviluppare alcune - seppur brevi - riflessioni, soprattutto nella prospettiva interconnessa del diritto internazionale e del diritto dell’Unione europea. Il commento, dunque, si concentrerà su tali aspetti tralasciando gli altri più propriamente processualistici. La Corte di cassazione penale italiana ha qui intercettato la questione della portata e degli effetti del recesso di uno Stato dai trattati multilaterali [1], affrontando in particolare la questione relativa agli effetti dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea sul mandato di arresto europeo (in seguito anche “MAE”) e sulle procedure di consegna tra Stati membri. In particolare, la sesta sezione penale, con la sentenza del 9 ottobre 2020, n. 28228, ha chiarito - ancora una volta - che la Brexit non impedisce l’esecuzione di un mandato di arresto europeo da parte dell’Italia [2], almeno fino all’effettiva uscita del Regno Unito dall’Unione europea. La Corte, infatti, ha ribadito il principio già espresso con sentenza n. 3640 del 22 gennaio 2019 secondo cui l’avvio, da parte del Regno Unito, della procedura per recedere dall’Unione europea non legittima il rifiuto di un mandato di arresto europeo per la consegna a detto Stato. Posizione questa mantenuta in seguito, nella sentenza n. 300006, depositata dalla medesima [continua ..]
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2. La questione “intercettata” dalla Corte: il problema del recesso dai trattati multilaterali e la c.d “brexit”
La sentenza in commento offre lo spunto per svolgere qualche osservazione in merito al crescente fenomeno del recesso dai trattati multilaterali e, in particolare dai trattati istitutivi di organizzazioni internazionali. Il fenomeno del recesso degli Stati da trattati multilaterali, infatti, ha trovato recentemente applicazione in diversi ambiti del diritto internazionale, inserendosi in un’attuale dinamica più ampia di “disengagement” degli Stati dalla cooperazione internazionale [13]. Al di là delle ragioni e delle conseguenze politiche che la stessa idea di recesso da ogni trattato è in grado di generare sul piano internazionale, è dunque innegabile che la c.d. Brexit (dalla crasi delle parole inglesi Britain + exit) abbia sicuramente avuto effetti dirompenti sui rapporti tra gli Stati europei e all’interno dell’Unione europea [14]. L’ormai avvenuto recesso del Regno Unito dai Trattati sull’Unione Europea, ai sensi dell’art. 50 del TUE, ha segnato, infatti, una significativa involuzione nel processo di integrazione europea e, per quanto riguarda il futuro, l’impatto della Brexit comporterà certamente conseguenze ancora non del tutto prevedibili, non solo sul piano giuridico, ma anche su quello economico-finanziario e geopolitico [15]. Di fronte a questo scenario, il diritto internazionale e dell’Unione europea, pur muovendosi secondo dinamiche [continua ..]
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3. Mandato di arresto europeo e BREXIT: quali gli scenari per il futuro?
Il 24 dicembre 2020, solo pochi giorni prima della fine del periodo di transizione, il Regno Unito e l’UE hanno concordato i termini dell’Accordo di commercio e cooperazione tra l’Unione europea e la Comunità europea dell’energia atomica da una parte e il Regno Unito di Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord, dall’altra parte [24]. L’Accordo prevede - al titolo VII della parte III - disposizioni relative alla consegna dei cittadini tra il Regno Unito e l’UE. Queste nuove disposizioni sostituiscono in sostanza negli effetti la decisione quadro 2002/584 GAI sul mandato d’arresto europeo nei rapporti tra il Regno Unito e l’UE a 27, instituendo nuovamente l’estradizione, anche se con una procedura più “snella”. Molti sono i punti di contatto con la precedente disciplina prevista dal sistema del MAE. L’Accordo prevede, infatti, un sistema accelerato di estradizione, noto come “consegna”, che sostituisce il MAE e riproduce in larga misura l’accordo tra l’UE e l’Islanda/Norvegia in materia. Ci sembra, tuttavia, interessante accennare qui alle principali differenze con il MAE: i) gli Stati possono rifiutarsi di eseguire un mandato per reati politici; ii) gli Stati possono rifiutarsi di consegnare i propri cittadini o farlo solo a determinate condizioni [25]; iii) per l’estradizione è richiesta la doppia [continua ..]
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