Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Il dies a quo per la pronuncia del giudizio di rinvio cautelare (di Wanda Nocerino, Assegnista di ricerca in Diritto processuale penale – Università di Foggia)


Con la pronuncia in commento, le Sezioni unite tratteggiano l’iter procedimentale del giudizio di rinvio cautelare: in assenza di specifiche indicazioni provenienti dall’esegesi del comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p., i giudici blindano l’opzione per cui il termine di dieci giorni entro cui il giudice ha l’obbligo di decidere decorre dal momento in cui pervengono alla cancelleria del tribunale gli atti nuovamente richiesti all’autorità giudiziaria procedente, secondo l’ordinaria sequenza temporale delineata dall’art. 309, comma 5, c.p.p. con riferimento al giudizio di riesame. La decisione della Corte – per quanto ben articolata e strutturata in punto motivazionale – non convince del tutto circa gli approdi raggiunti, sia per ragioni teleologiche che assiologiche. Al fine di offrire adeguata tutela al complesso di garanzie che sottende il procedimento di rinvio cautelare, si propone una soluzione che consente di contemperare le esigenze di celerità con quelle di completezza.

Terms of appeals against precautionary measures

In this judgement, the Court of Cassation identifies the procedure of the precautionary judgment following the annulment of the order with which the measure was ordered or confirmed. As there isn’t indications from the article 311, comma 5-bis, c.p.p., the judges shall prescribe that the period of ten days for taking a decision shall run from the date on which the documents newly requested get to the judicial authority at the registry of the court, ex art. 309, comma 5, c.p.p. But the Court’s decision does not entirely convince the interpreter. In order to provide adequate protection for the complex of safeguards of the precautionary proceeding, a solution is proposed which makes it possible to balance the need for speed of judgments with those of completeness.

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I termini di decorrenza per la pronuncia del giudizio di rinvio cautelare Nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento di ordinanza che abbia disposto o confermato la misura cautelare personale, il procedimento di riesame si svolge seguendo le stesse cadenze temporali e con le stesse sanzioni processuali previste dall’art. 309, commi 5 e 10, c.p.p., con inizio di decorrenza dei relativi termini dal momento in cui gli atti trasmessi dalla Corte di Cassazione pervengono alla cancelleria del tribunale. [Omissis]   RITENUTO IN FATTO (omissis) ricorreva avverso l’ordinanza del 20 giugno 2019 con la quale il Tribunale di Taranto aveva confermato in sede di riesame l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale del 24 ottobre 2018, dispositiva dell’applicazione, nei suoi confronti, della misura cautelare degli arresti domiciliari – successivamente sostituita dallo stesso giudice, con ordinanza del 9 febbraio 2019, con la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria – per i reati di associazione finalizzata alla commissione di delitti di furto di autovetture, ricettazione di parti di ricambio dei mezzi ed estorsione di somme in danno dei derubati per la restituzione dei veicoli, operante fino al giugno del 2018, e per il concorso nel furto dell’autovettura di (omissis), commesso il 6 marzo 2018. Il provvedimento impugnato era stato pronunciato a seguito di annullamento con rinvio della precedente ordinanza dello stesso Tribunale del 22 novembre 2018, disposto con sentenza della Corte di Cassazione del 30 aprile 2019 con riguardo all’assorbente motivo di ricorso a mezzo del quale era dedotta la mancata risposta all’istanza, presentata dalla difesa al pubblico ministero, di diretto esame delle registrazioni delle intercettazioni e delle videoriprese i cui contenuti sarebbero stati indizianti nei confronti del Colella con riguardo al reato di furto; essendosi osservato in proposito con la sentenza rescindente che, pur potendo rinvenirsi tale risposta nel diretto deposito degli atti delle indagini presso il Tribunale, nel caso di specie la motivazione dell’ordinanza reiettiva della richiesta di riesame, nella quale si era dato genericamente atto del deposito di un dischetto relativo alle registrazioni utili, non consentiva di comprendere se in tale supporto fossero stati riversati i contenuti oggetto dell’istanza difensiva. Il ricorrente proponeva sei motivi. 2.1. Con il primo motivo deduceva violazione di legge e vizio motivazionale sul rigetto dell’eccezio­ne di inefficacia della misura cautelare in conseguenza della tardività della decisione impugnata rispetto al termine di dieci giorni, previsto dall’art. 311, comma 5 bis c.p.p., dalla data del 5 giugno 2019 in cui erano pervenuti al Tribunale gli atti trasmessi dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, e in [continua..]

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SOMMARIO:

1. I termini della questione - 2. La decisione delle Sezioni Unite: il giudizio di rinvio cautelare quale species del procedimento ordinario di riesame - 3. Le posizioni dicotomiche della giurisprudenza di legittimità - 4. Il complesso coordinamento tra il giudizio di rinvio e il procedimento ordinario - 5. La richiesta “di trasmissione degli atti inoltrata all’autorità procedente: Una “lettura” da ripensare in chiave teleologica - 6. … e in chiave assiologica - 7. Completezza vs speditezza: la ricerca di un adeguato compromesso - 8. Riflessioni per la celerità dei giudizi de libertate - NOTE


1. I termini della questione

Le Sezioni Unite della Suprema Corte dirimono il recente contrasto insorto circa l’individuazione del dies a quo per la decorrenza dei termini relativi alla pronuncia de libertate [1], determinando il corretto iter procedimentale del giudizio di rinvio cautelare: «nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento dell’ordinanza che abbia disposto o confermato la misura cautelare personale, il procedimento di riesame si svolge seguendo le stesse cadenze temporali e con le stesse sanzioni processuali previste dal­l’art. 309, commi 5 e 10, c.p.p. I termini previsti a pena di decadenza, dunque, decorrono dal momento in cui gli atti trasmessi dalla Corte di cassazione pervengono alla cancelleria del tribunale» [2]. In assenza di un riferimento normativo esplicito, i giudici ricorrono ad un’interpretazione finalistico-operativa dell’art. 311, comma 5-bis c.p.p. [3], per cui la fase cautelare di rinvio, lungi dal figurarsi quale istituto autonomo e diverso da quello ordinario, rappresenta una species della procedura di riesame. Di conseguenza, la Corte ritiene possibile adattare al rito de quo il complesso di regole già sperimentate e sedimentate in rapporto al giudizio “tradizionale”, seguendo le regole descritte dai commi 5 e 10 dell’art. 309 c.p.p. Un approccio di questo tipo non pare all’interprete del tutto convincente, scontando un eccessivo pragmatismo che tende ad allontanare il sistema cautelare dai principi sui quali lo stesso si fonda. Dall’esegesi della pronuncia in esame, si evince infatti che il fil rouge che lega il complesso iter motivazionale è rappresentato dalla esigenza di garantire certezza e completezza al procedimento di rinvio cautelare, anche a costo di sacrificare stretta legalità e celerità, principi che pure devono caratterizzare i rimedi de libertate. Ed è proprio sotto questo aspetto che la decisione della Corte offre soluzioni ai problemi che discendono dalla sperimentazione dell’istituto senza invece interrogarsi sulla possibile compressione dei principi sui quali deve fondarsi il sistema cautelare. Anche alla luce di un auspicabile ammodernamento del sistema processuale, non è inimmaginabile propendere per una soluzione più avanzata che consenta di coniugare le esigenze di certezza con quelle di speditezza del procedimento di rinvio, al fine di garantire l’effettività [continua ..]


2. La decisione delle Sezioni Unite: il giudizio di rinvio cautelare quale species del procedimento ordinario di riesame

La quaestio sottoposta al vaglio delle Sezioni unite da parte del giudice remittente è posta nei seguenti termini: «[S]e, in tema di misure cautelari personali, nel caso di giudizio di rinvio a seguito di ordinanza che abbia risposto confermato la misura, il termine di 10 giorni dalla ricezione degli atti, previsto per la decisione dall’art. 311, comma 5-bis c.p.p., decorra dalla data dell’invio alla cancelleria del tribunale del fascicolo relativo al ricorso per cassazione, comprendente la sentenza rescindente e gli atti allegati, ovvero dalla data in cui il tribunale riceva nuovamente dall’autorità giudiziaria procedente gli atti ad essa richiesti a norma dell’art. 309, comma 5 c.p.p.» [4]. Al fine di fornire adeguate risposte alla questione, la Corte affronta il tema de quo in maniera alquanto schematica, scomponendo la formulazione declinata dal remittente in due “sotto-quesiti”: il primo, ha ad oggetto l’individuazione degli atti dalla cui ricezione decorre il termine per la decisione sulla richiesta di riesame in sede di rinvio; il secondo, concerne l’identificazione dell’ufficio giudiziario competente per l’invio degli atti la cui ricezione determina la decorrenza dei termini della pronuncia. Prima di affrontare le problematiche sottese ai temi così individuati, i giudici delimitano i termini della questione, chiarendo che il contrasto verte non tanto sull’individuazione del momento di decorrenza del termine per la decisione di riesame in fase di rinvio – che invero rappresenta un aspetto consequenziale della soluzione al precedente enigma – quanto sul profilo che attiene propriamente alla «configurazione della sequenza procedurale del particolare giudizio di rinvio di cui si discute» [5]. Così, la Corte coglie l’occasione per delineare il corretto itinerario, scandendolo in tre momenti inscindibilmente connessi: annullamento dell’ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva e trasmissione del fascicolo da parte della Corte di cassazione al giudice del rinvio (come si evince dal combinato disposto dagli artt. 311, comma 5-bis c.p.p. e 623, comma 1, lett. a, c.p.p.); ulteriore richiesta all’autorità giudiziaria procedente di trasferimento degli atti presentati a norma dell’art. 291, comma 1, c.p.p., nonché di tutti gli elementi sopravvenuti a favore della [continua ..]


3. Le posizioni dicotomiche della giurisprudenza di legittimità

L’intervento delle Sezioni Unite muove dal recente contrasto insorto circa la corretta ermeneutica dell’art. 311 c.p.p., in rapporto all’individuazione del termine di dieci giorni entro i quali deve pronunciarsi il giudice del rinvio: mancando, infatti, una disciplina espressa relativa alla «modalità di riassunzione del procedimento di impugnazione cautelare» [11], il dibattito ruota intorno alla criptica interpretazione della locuzione “ricezione degli atti” contenuta nel comma 5-bis della disposizione in parola; atti che assumono rilevanza ai fini del meccanismo sanzionatorio introdotto dal legislatore del 2015. Per comodità espositiva, proprio seguendo lo schema motivazionale della decisione de qua, si procede ad analizzare separatamente la complessa produzione giurisprudenziale stratificatasi con riferimento al termine di decorrenza per la decisione del giudice del rinvio a seguito di annullamento dell’ordi­nanza impugnata e all’individuazione dell’ufficio giudiziario “competente” alla ricezione. Con riguardo al primo aspetto, le strade astrattamente percorribili dalla giurisprudenza sono segnate da binari paralleli: scegliere la via “sicura” del dato letterale della disposizione di cui al comma 5 bis dell’art. 311 c.p.p., oppure avventurarsi nel sentiero della interpretazione sistematica e analogica, adattando al procedimento di rinvio a seguito di impugnazione cautelare le medesime regole che governano la procedura ordinaria, ex art. 309, comma 5, c.p.p. Nel primo caso, si deve ritenere che il termine per la decisione decorra dal momento in cui giunge, presso il tribunale del riesame, la motivazione della sentenza della Corte di cassazione di annullamento con rinvio; nel secondo, invece, che il dies a quo debba essere rappresentato dalla trasmissione di tutti gli atti del procedimento a seguito di una successiva richiesta all’autorità giudiziaria procedente. In effetti, quale naturale riflesso delle alternative, le posizioni della giurisprudenza risultano polarizzate in due schieramenti antitetici. Secondo un primo e minoritario indirizzo [12], al quale l’ordinanza di remissione aderisce [13], il termine di dieci giorni indicato nell’art. 311, comma 5-bis, c.p.p. decorre dalla data in cui il fascicolo relativo al ricorso per cassazione, comprendente la sentenza rescindente munita di motivazione, [continua ..]


4. Il complesso coordinamento tra il giudizio di rinvio e il procedimento ordinario

Accade spesso che le modifiche normative siano incomplete o parziali, che i testi di legge lasciano dei vuoti di sistema e che gli interpreti sono chiamati a colmarli. È quanto emerge nella pronuncia in commento con riferimento alla l. n. 47 del 2015 [24], che interviene sul sistema de libertate con l’intento di «affrontare in maniera unitaria la tematica delle impugnazioni cautelari» [25], soprattutto nella «prospettiva rimediale delle vecchie consuetudini arbitrarie dilatorie che, nonostante le continue censura, caratterizzavano in negativo il giudizio di rinvio» [26]. In effetti, come si è avuto modo di anticipare nelle pagine precedenti, la quaestio sottesa alla pronuncia in esame trae origine proprio dalle aporie normative generate della riforma dell’istituto delle impugnazioni cautelari. Tra le innumerevoli novità apportate al sistema, l’art. 13 della legge introduce un nuovo comma 5 bis all’art. 311 c.p.p., per cui, nell’ipotesi di annullamento con rinvio di un provvedimento coercitivo, il tribunale della libertà deve assumere la propria decisione entro il termine perentorio di dieci giorni «dalla ricezione degli atti» e depositare la motivazione entro trenta giorni. Dunque, se la Corte di Cassazione annulla con rinvio (rispettivamente al giudice che ha disposto la misura o al tribunale del riesame che l’ha confermata), il giudice designato deve osservare i termini perentori stabiliti per la decisione (dieci giorni dalla ricezione degli atti da parte della Corte di Cassazione) e per il deposito dell’ordinanza in cancelleria (trenta giorni dalla decisione). Se i termini prescritti non vengono rispettati, l’ordinanza che ha disposto la misura coercitiva perde efficacia e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata. L’iniziale fervore con cui la dottrina ha salutato l’introduzione di un meccanismo ad hoc per il giudizio di rinvio cautelare «ancorandolo a tempi ben precisi» [27], si trasforma gradualmente nell’insoddisfa­zione degli operatori del diritto che lamentano l’assenza di una disciplina di raccordo tra il giudizio di rinvio e quello ordinario, mancando una norma che regoli la procedura di trasmissione degli atti dalla Suprema Corte al giudice del rinvio [28]. Per un evidente difetto di coordinamento, infatti, la [continua ..]


5. La richiesta “di trasmissione degli atti inoltrata all’autorità procedente: Una “lettura” da ripensare in chiave teleologica

Dall’esegesi della pronuncia in commento, si evince che il fil rouge che lega il complesso iter motivazionale è rappresentato dall’esigenza di proteggere un principio considerato dalla Corte come “primario” nelle logiche del sistema della cautela, ossia quello di completezza del materiale probatorio sul quale si fonda la nuova decisione del giudice del rinvio, sul presupposto per cui anche a quest’ultimo debbano essere garantite le stesse conoscenze delle quali godeva quello del provvedimento annullato. Seguendo un approccio finalistico-operativo [30], i giudici sembrano anche disposti a sacrificare il complesso di valori che pure devono caratterizzare i procedimenti de libertate, come il principio di stretta legalità e l’esigenza di celerità. In prima analisi, può dirsi che le resistenze all’impostazione prescelta dalla Suprema Corte derivano dal mancato confronto con il valore testuale delle norme relative al giudizio di rinvio cautelare, funzionale a garantire il rispetto del principio di stretta legalità in materia de libertate. Come anticipato, il nodo interpretativo da sciogliere concerne la corretta ermeneutica della laconica disposizione di cui all’art. 311, comma 5-bis, c.p.p., da cui dipende la determinazione della sequenza procedurale da seguire nel giudizio di rinvio cautelare. La quaestio può ritenersi circoscritta alla risoluzione dell’enigma fondato sul binomio complementarietà/autonomia del giudizio “speciale” de libertate rispetto a quello di riesame: se si propende per la prima opzione, allora potranno trovare cittadinanza nel sistema cautelare interpretazioni analogiche; nella seconda, ipotesi, si dovrà ritenere che l’assenza di una normazione espressa possa suonare come un’esclusione. Diverse sono le ragioni che spingono l’interprete a propendere per quest’ultima soluzione. Intanto, è opportuno confrontarsi con il dato letterale della previsione più volte evocata, al fine di circoscrivere l’ambito applicativo dell’istituto, verificando la presenza di margini di discrezionalità nel­l’interpretazione del dictum. Limitandosi ad una valutazione prettamente linguistica, emerge che la protasi introduttiva del comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p. individua il thema decidentum, ossia l’oggetto della disciplina (rappresentato dal momento [continua ..]


6. … e in chiave assiologica

Su un altro versante, la posizione sostenuta dai giudici di legittimità appare indocile anche con riguardo al complesso i principi che sorreggono il sistema della cautela. In effetti, come già anticipato nelle pagine precedenti, nel delicato bilanciamento tra l’esigenza di garantire a tale organo la disponibilità di tutte le risultanze investigative su cui si era fondato il provvedimento annullato e quella di celerità dei giudizi de libertate, la Suprema Corte predilige la prima, nella convinzione che solo tale prerogativa sia in grado di tutelare i diritti del soggetto in vinculis. In questo senso, la pronuncia sembra mancare di un approccio globale che consente di garantire il rispetto di tutti i precetti che involgono la materia cautelare e che, di fatto, non possono considerarsi esauriti nella sola esigenza di completezza del materiale probatorio utile su cui si fonda la decisione del giudice del rinvio. Oltre a questo fondamentale principio, infatti, i procedimenti cautelari devono assicurare la celerità della procedura, in modo tale da evitare eccezionali restrizioni alla libertà personale, definendo, nel minor tempo possibile, la posizione di un soggetto che si trova ancora sottoposto a regime restrittivo [43]. Più nel dettaglio, la necessità di rendere celeri i giudizi cautelari risulta coerente con l’esigenza di garantire – nella sua massima estensione – la tutela della libertà personale, ossia «quel diritto che trae la sua denominazione tradizionale dall’habeas corpus» [44] e che inerisce perciò essenzialmente «alla libertà della persona in senso fisico, ossia dagli arresti e, nella sua maggiore estensione, dalla sottoposizione a specifiche coercizioni fisiche» [45]. Così, la riduzione dei termini per le decisioni cautelari si traduce nella volontà di tutelare l’”invio­la­bilità” della libertà personale (art. 13 Cost.), comportando il diritto per ogni individuo soggetto a limitazioni di ricorrere innanzi all’autorità giudiziaria “entro brevi termini” (art. 5, § 4 CEDU) e “senza indugio” (art. 9, § 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici) contro un provvedimento che affermi la legalità dell’ordinanza cautelare e/o la liberazione dell’imputato in vinculis. In altri [continua ..]


7. Completezza vs speditezza: la ricerca di un adeguato compromesso

Pur se condivisibili sotto il profilo teleologico ed assiologico, le riflessioni or ora condotte potrebbero destare perplessità sul versante operativo. Si potrebbe, infatti, obiettare – come pure è stato fatto [52] – che l’esigenza di celerità, funzionale a tutelare la libertà personale, mal si concili con il dovere di completezza del materiale probatorio su cui il giudice del rinvio cautelare deve decidere. Come sostenuto [53], non ottemperare alla regola di cui all’art. 309, comma 5, c.p.p., determinerebbe un vulnus al principio di completezza, non consentendo all’autorità giudiziaria, nuovamente investita della questione a seguito di annullamento in cassazione, di godere del medesimo apporto conoscitivo di cui si è avvalso il giudice in prima istanza. E una simile impostazione deriva dalla “parzialità” della trasmissione alla Corte di cassazione di soli atti necessari a decidere l’impugnazione, secondo il disposto dell’art. 100 disp. att. c.p.p. Tuttavia, il principio di speditezza non deve necessariamente ritenersi incompatibile con il requisito di completezza, ben potendo coesistere. Intanto, la trasmissione “a spezzoni” è il frutto di una prassi giudiziaria deviata, funzionale ad evitare onerosi spostamenti di carte da un ufficio giudiziario all’altro [54] ma che certamente non trova la sua ragion d’essere nel rigore del codice di rito [55]. Dal combinato disposto degli artt. 100 disp. att. c.p.p. e 625, comma 1, c.p.p., si evince che la navetta che conduce gli atti necessari a decidere sull’impugnazione alla Corte di cassazione e che li riporta al giudice competente nel caso di annullamento con rinvio deve considerarsi completa [56]. Aderendo ad un’interpretazione sistematica dell’art. 100 disp. att. c.p.p., gli atti soggetti a trasmissione alla Suprema Corte sono proprio quelli che devono essere inviati al tribunale della libertà in sede di riesame cautelare ai sensi dell’art. 309, comma 5, c.p.p., ovvero quelli cui la richiesta di misura cautelare si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell’imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate [57]. In maniera del tutto complementare, l’art. 625, comma 1, c.p.p., sancisce il dovere per la cancelleria della Corte di cassazione di trasmettere gli atti del [continua ..]


8. Riflessioni per la celerità dei giudizi de libertate

Alla luce delle considerazioni svolte, avanzare proposte de jure condendo e intravedere soluzioni adeguate a contemperare le esigenze di completezza, celerità e tutela delle prerogative individuali, non è cosa agevole, perché si rischia di scivolare in una realtà poco realistica. Probabilmente, gli espedienti praticabili oscillano tra “modernità” e “tradizione”: da una parte, si ritiene necessario un rinnovamento “in chiave tecnologica” del sistema giustizia che consenta di snellire l’appesantita macchina burocratica senza rinunciare al complesso di valori sui quali lo stesso si fonda; dall’altro, sarebbe auspicabile un “ritorno al passato”, ricorrendo a quei rimedi che hanno già offerto risposte ai mali che attanagliavano il “vecchio” sistema cautelare. In primis, non si ritiene inadeguata la strada della digitalizzazione delle informazioni quale strumento di velocizzazione degli scambi documentali da un ufficio all’altro, nell’ottica di un’accelerazione dei tempi della giustizia e di un’ottimizzazione delle risorse disponibili. In questo senso, il binomio celerità/completezza del procedimento di rinvio cautelare ben potrebbe essere rispettato attraverso modalità telematiche di trasmissione e di deposito degli atti giudiziari; soluzione, questa, che consentirebbe di fornire risposte adeguate sia al problema legato all’impraticabile spostamento fisico tra gli uffici di una mole troppo cospicua di atti, sia alla necessità di completezza del materiale “sopravvenuto”, trasferibile a prescindere dalla disponibilità materiale di spazi di contenimento [62]. Una simile soluzione non sembra nemmeno richiedere al sistema un eccessivo sforzo evolutivo, risultando già in voga nel circuito procedimentale la prassi di trasmettere gli atti processuali mediante supporti informatizzati [63], ovvero tramite e-mail [64], nonché anche attraverso l’impiego della posta elettronica certificata (P.E.C.) [65]. Ma non basta. Perché il ricorso alla tecnologia non può da solo risolvere le disfunzioni di un sistema privo di riferimenti temporali certi. A questo proposito, sono condivisibili le riflessioni già esposte in rapporto alle anomalie del giudizio cautelare ordinario [66] che hanno sollecitato il legislatore ad introdurre [continua ..]


NOTE