Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Imputato “assente” e indici di conoscenza del processo: una lettura virtuosa della Suprema Corte (di Annalisa Mangiaracina, Professore associato di Diritto processuale penale – Dipartimento di Giurisprudenza – Università degli Studi di Palermo)


La Suprema Corte, con una decisione ad ampio spettro, scioglie il nodo sul valore da attribuire agli “indici di conoscenza” codificati all’art. 420-bis, comma 2, c.p.p. Una lettura, in chiave di garanzia, che scongiura il rischio di aprire la strada ad un nuovo contenzioso europeo sul tema del giudizio in “assenza” dell’imputato.

“Absent” defendant and proceedings knowledge indicators: a virtuous reading from the Supreme Court

The Supreme Court, in a wide-ranging judgment, clarifies the meaning of the “knowledge indicators” codified in Article 420-bis, § 2, of the Italian Criminal procedure code. An interpretation “guaranteed-oriented” that prevents the risk of paving the way towards new European proceedings on the trial in absentia of the defendant.

La sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio non è presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza ai sensi dell’art. 420-bis, comma 1, c.p.p. Secondo le Sezioni unite, in relazione alle situazioni precedenti all’introduzione dell’art. 162, comma 4-bis c.p.p. ad opera della legge n. 103 del 2017, la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé idonea per la dichiarazione di assenza di cui all’art. 420-bis c.p.p. Il giudice, infatti, deve in ogni caso verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso. [Omissis]   RITENUTO IN FATTO La Corte di Assise di Genova con sentenza del 31 marzo 2017 condannava in absentia I.D.M., latitante, per i reati di: 1) associazione per delinquere finalizzata a più delitti di introduzione illegale in Italia di cittadini extracomunitari con trasporti via mare; 2) art. 12, comma 3, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, per avere, in data 19 luglio 2014, introdotto in Italia 106 stranieri extracomunitari, trasportandoli via mare dall’Egitto in Sicilia; 3) art. 495, comma 2, c.p., per avere reso il 22 luglio 2014 false dichiarazioni alla Polizia di Stato in ordine alla propria identità. 1.1. Il difensore di ufficio proponeva appello deducendo motivi solo in ordine alla responsabilità. La Corte di Assise di Appello di Genova con sentenza del 17 aprile 2018 dichiarava di ufficio la nullità della sentenza di primo grado ritenendo che si fosse proceduto in assenza dell’imputato fuori dai casi previsti. 2.1. In particolare, osservava: – quattro giorni dopo lo sbarco in Italia, il 22 luglio 2014, l’imputato era sottoposto ad identificazione da parte della Polizia di Stato in Genova ed in tale occasione dichiarava false generalità; – gli veniva rappresentato che sarebbe stato aperto un procedimento nei suoi confronti per la violazione delle norme in tema di ingresso illegale di stranieri e, non avendo difensore di fiducia, gliene veniva nominato uno di ufficio, l’avvocato [Omissis]; – invitato a dichiarare il domicilio, l’imputato eleggeva domicilio presso il difensore di ufficio; – “Tale atto è stato ritenuto (dal giudice di primo grado) – a norma dell’art. 420-bis, comma 2, c.p.p., – prova della conoscenza del procedimento nonché della volontà di sottrarsi alla conoscenza del procedimento medesimo e dei suoi atti”. 2.2. La Corte di Assise di Appello ha, invece, ritenuto erronea tale valutazione della portata dell’e­lezione di [continua..]

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SOMMARIO:

1. La vicenda processuale - 2. L’intervento normativo del 2014: l’assenza e i nuovi rimedi - 3. Le ragioni del contrasto ermeneutico - 4. Gli indici ex art. 420-bis, comma 1, c.p.p.: continuità o discontinuità? - 5. Lo stato di latitanza - 6. L’elezione di domicilio e gli altri indici: una lettura non formalistica - 7. La notifica non a mani proprie: quale certezza della conoscenza? - 8. La sottrazione volontaria agli atti del processo - NOTE


1. La vicenda processuale

Con la sentenza in commento [1], la Corte di Cassazione, accedendo ad un’interpretazione convenzionalmente orientata, scioglie definitivamente ogni dubbio sul valore degli indici di conoscenza che, ex art. 420-bis, comma 2, c.p.p., legittimano la celebrazione del giudizio in assenza dell’imputato: in particolare, esclude che ci si trovi al cospetto di un nuovo sistema di presunzioni legali [2]. Ancorché la questione ruotasse attorno allo specifico valore dell’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, effettuata prima dell’inserimento del comma 4-bis [3] nell’art. 162 c.p.p., i giudici di legittimità colgono l’occa­sione per un intervento di più ampio respiro che, in un’ottica multilivello, ha un duplice pregio: da un lato, sintetizza in maniera efficace i principi elaborati dalla Corte di Strasburgo sul tema della partecipazione dell’imputato al suo processo [4] e, dall’altro, mostra di tenere conto degli impulsi provenienti dalla direttiva dell’U.E. 2016/343 (sebbene ad oggi non implementata nel nostro Paese) sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza nonché, per quel che qui interessa, sul diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali [5]. Per una migliore ricostruzione della trama argomentativa, non può prescindersi da una sintesi dei fatti. L’imputato, straniero non residente in Italia, quattro giorni dopo lo sbarco sulle nostre coste, prima ancora del formale avvio di un procedimento penale, veniva identificato dalla polizia giudiziaria. Nell’occasione gli veniva nominato un difensore d’ufficio, presso il quale procedeva ad eleggere domicilio; successivamente, si allontanava dalla struttura dove era stato collocato e non veniva più reperito. Ne seguiva la dichiarazione di latitanza ai fini dell’esecuzione del provvedimento cautelare. Il giudice di primo grado, ritenendo l’elezione di domicilio atto idoneo a costituire prova della conoscenza del procedimento, nonché della volontà di sottrarsi alla conoscenza del medesimo e dei suoi atti, celebrava il giudizio in assenza ai sensi dell’art. 420-bis, comma 2, c.p.p. La Corte di assise di appello, aderendo ad un orientamento più garantista, escludeva invece che la consapevolezza della pendenza del procedimento penale potesse desumersi dall’elezione di domicilio [continua ..]


2. L’intervento normativo del 2014: l’assenza e i nuovi rimedi

Il tema della partecipazione, o meglio, dell’assenza dell’imputato dal processo, da sempre, ha rappresentato il “tallone d’Achille” del nostro sistema processuale penale [8]: depongono in tal senso i ripetuti interventi della Corte europea, orientati in modo da prevenire la contumacia e rimuovere gli ostacoli interni al ripristino del pieno diritto al contraddittorio dopo lo svolgimento del processo in absentia. Un percorso lungo, che si snoda dalla storica sentenza Colozza c. Italia [9], fino alla decisione “pilota” resa nella causa Sejdovic c. Italia [10] con la quale si è dato l’input ad un nuovo e più fecondo iter di riforme approdato, da ultimo, nella già richiamata l. n. 67 del 2014. Nell’intento di una ricostruzione sistematica della materia, il legislatore, alla luce delle reiterate indicazioni provenienti dai giudici europei, si è mosso lungo tre direttrici fondamentali: abolizione del rito contumaciale [11]; previsione di regole sul processo in “assenza”, alle quali fa da contrappunto un nuovo sistema di rimedi; introduzione della disciplina sulla sospensione del processo nei confronti dei c.d. irreperibili [12]. Eppure, dietro l’apparente linearità del testo si sono subito manifestate alcune «incongruenze» [13], amplificate dal mancato intervento sulla disciplina delle notificazioni, chiave di volta dei meccanismi atti a ingenerare la conoscenza del processo. Nel nuovo assetto, la sintonia con i principi convenzionali sembra esaurirsi con la previsione della notificazione a mani proprie dell’imputato dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, nonché della rinuncia ad assistere al processo [14]: entrambe le situazioni, denotando una conoscenza effettiva, consentono al giudice di procedere in assenza e di scongiurare al contempo l’attivazione di rimedi postumi. L’elemento di rottura è costituito dai c.d. “fatti sintomatici” [15], declinati nella dichiarazione o elezione di domicilio, nella sottoposizione alla misura precautelare dell’arresto o del fermo, o a misura cautelare in senso ampio, ovvero nella nomina di un difensore di fiducia (art. 420-bis, comma 1, c.p.p.). Dal punto di vista del legislatore, ciò che li accomuna è la loro naturale collocazione nella fase delle indagini preliminari, quasi [continua ..]


3. Le ragioni del contrasto ermeneutico

Così abbozzato il sistema normativo di riferimento, occorre delineare le ragioni del contrasto interpretativo che hanno determinato la rimessione alle Sezioni Unite della quaestio iuris prima identificata [40]. Un indirizzo giurisprudenziale, seppure minoritario, recepito dai giudici di appello nel presente caso, ha escluso che la conoscenza dell’esistenza del procedimento possa essere tout court desunta dall’e­lezione di domicilio presso il difensore d’ufficio. In particolare ha negato che ciò possa accadere quando quest’ultima sia stata compiuta in sede di identificazione da parte della polizia giudiziaria nell’imme­diatezza del controllo, operato d’iniziativa dalla polizia medesima, anteriormente alla formale instaurazione del procedimento [41]. In questo filone si iscrivono altre pronunce che, richiamando principi elaborati rispetto all’istituto della restituzione in termini ex art. 175 comma 2 c.p.p., ante l. n. 67 del 2014, hanno affermato che l’effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di “vocatio in iudicium”: e tale non può ritenersi quella inserita nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari [42]. Questa lettura si riflette sui margini applicativi della rescissione ex art. 629-bis c.p.p. in ragione della unicità del presupposto della effettiva conoscenza della celebrazione del processo. In senso contrario, un più corposo orientamento ha ammesso la possibilità di procedere in assenza, a fronte degli indici declinati all’art. 420-bis c.p.p.: fa da sfondo a queste pronunce la considerazione che la norma abbia codificato delle presunzioni legali di conoscenza, superabili soltanto qualora si dimostri che l’assenza stessa è dovuta ad impossibilità assoluta di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento [43]. L’elezione di domicilio, sia presso il difensore di fiducia o d’ufficio, pure effettuata nel corso delle prime attività della polizia giudiziaria (e quindi anteriormente alla formale iscrizione nel registro delle notizie di reato), al pari delle altre situazioni codificate integra una di queste presunzioni. Ne deriva un onere, in capo all’imputato, di attivarsi per tenere i contatti con il proprio difensore sullo sviluppo del procedimento. In [continua ..]


4. Gli indici ex art. 420-bis, comma 1, c.p.p.: continuità o discontinuità?

Uno degli snodi fondamentali del percorso argomentativo tracciato dalla Corte attiene alla decodificazione degli indici di conoscenza di cui all’art. 420-bis, comma 1, c.p.p. Si tratta di un passaggio rilevante perché la mancanza delle condizioni fissate dalla norma impone al giudice di percorrere una strada alternativa: rinviare l’udienza, disponendo che l’avviso sia notificato all’imputato “personalmente” a mezzo della polizia giudiziaria; oppure, qualora ciò non sia possibile, sospendere il processo ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p. Mancherebbe, infatti, quella conoscenza piena della vocatio in ius che sola può permettere di proseguire oltre nell’accertamento in assenza del suo principale protagonista. Prima di addentrarsi nell’analisi, la Corte avverte l’esigenza di sgomberare il campo da quegli equivoci interpretativi che hanno portato a collocare la “nuova” disciplina sull’assenza in una sorta di ideale continuità con il sistema legale delle notifiche, della contumacia e della restituzione nel termine ante riforma del 2005 [45]. Una scelta prospettica non immune da conseguenze sul versante applicativo. Considerare gli indici di conoscenza del processo come delle “presunzioni” legali significa spostare le lancette dell’orologio in un momento addirittura anteriore al codice del 1988: ci troveremmo così a confrontarci con presunzioni “assolute”, non potendo la parte limitarsi a dimostrare – qualora ad esempio abbia eletto domicilio presso il difensore in un momento iniziale del procedimento – che la notifica, formalmente regolare, non abbia avuto effetto, ma dovrebbe fornire la prova che un accadimento ulteriore gli ha precluso la conoscenza. Per dimostrare l’impraticabilità di quel tracciato, nelle pieghe del ragionamento seguito dai giudici di legittimità si inserisce il confronto con la disciplina pregressa e, anzitutto, con il quadro delineato dal d.l. n. 17 del 2005, che ha segnato un punto di non ritorno per il legislatore italiano. Come si è già detto, con la modifica del comma 2 dell’art. 175 c.p.p. il contumace aveva acquistato il diritto incondizionato alla restituzione nel termine per impugnare la sentenza, salva la prova contraria, a carico dell’accusa, dell’effettiva conoscenza della vocatio in iudicium [46]. Peraltro, [continua ..]


5. Lo stato di latitanza

Sgomberato il campo da ogni equivoco interpretativo, prima di offrire la chiave di lettura delle situazioni contemplate al comma 2 dell’art. 420-bis c.p.p., la Corte coglie l’occasione per fare chiarezza anche sul tema della latitanza semplice, ex art. 296 c.p.p., escludendo che da tale status si possa fare derivare la consapevolezza dell’esistenza e del contenuto del procedimento [52]. Inevitabile, anche su questo versante, il confronto con la giurisprudenza europea. In tal senso, non può non rammentarsi come, già nel leading case Sejdovic c. Italia [53], la Corte di Strasburgo avesse rilevato l’incompatibilità con l’art. 6 Cedu, sia della presunzione di conoscenza del processo da parte del latitante, non qualificata da elementi oggettivi, sia dell’attribuzione all’imputato non comparso dell’onere di provare l’assenza di volontà di sottrarsi al giudizio e, dunque, la forza maggiore che ha impedito la costituzione nel processo. Ancora, successivamente, si è precisato [54] come la rinuncia a difendersi non possa essere dedotta dalla semplice qualità di «latitante», fondata su una presunzione priva di base fattuale sufficiente. Se trasferiamo questi principi al piano concreto, ne ricaviamo che il giudice, prima di dichiarare l’as­senza dell’imputato “latitante”, in carenza di altri indici – quale potrebbe essere la nomina di un difensore di fiducia, ma non anche di uno d’ufficio – deve potere riconsiderare gli elementi posti alla base del decreto di latitanza, valutando la completezza e accuratezza delle ricerche compiute e che l’im­pos­sibilità di dare esecuzione alla misura cautelare sia stata effettivamente determinata dalla volontà del ricercato [55]. L’esito negativo di questa verifica schiuderà le porte alla disciplina sulla sospensione del processo ex art. 420-quater c.p.p. [56].


6. L’elezione di domicilio e gli altri indici: una lettura non formalistica

A questo punto del percorso, è tempo per i giudici di chiarire la portata delle situazioni tipizzate al comma 2 dell’art. 420-bis c.p.p.: la scelta, a rime “convenzionali”, è nel senso di privilegiare una lettura sostanzialistica. Su questo versante, l’indagine muove anzitutto dalla situazione di più agevole riscontro nella prassi, dalla quale peraltro sono derivati i maggiori dubbi di compatibilità con il diritto di difesa: è il caso dell’elezione di domicilio effettuata, come nel caso di specie, presso il difensore d’ufficio, soggetto talvolta del tutto sconosciuto alla parte [57]. Al riguardo è da segnalare che la Corte tace del tutto sull’opportunità di affidare alla scelta del domicilio, ancorché proveniente dal diretto interessato, il ruolo di indicatore circa la effettiva consapevolezza del processo. E forse non avrebbe potuto fare diversamente. Il giudice di legittimità concentra quindi la propria analisi sulle caratteristiche che l’atto deve presentare. Nello specifico, affinché l’ele­zione di domicilio possa dirsi “seria” e “reale”, occorre spostare l’attenzione sul rapporto che intercorre tra il soggetto e il luogo presso il quale dovrebbero essere indirizzati gli atti. In questo senso, una prospettiva è offerta dal comma 4-bis dell’art. 162 c.p.p., che ha previsto l’inefficacia dell’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio se l’autorità non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l’as­senso del domiciliatario. Disposizione che ha subìto l’influenza di quanto affermato dalla Corte costituzionale [58]. Quest’ultima – pur dichiarando l’inammissibilità della questione di legittimità degli artt. 161 e 163 c.p.p., nella parte in cui non prevedono che si debba effettuare la notifica personale dell’atto introduttivo del giudizio penale, nei casi di elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio – aveva offerto utili indicazioni di metodo, nel privilegiare l’effettività del rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’imputato, quale condizione per potere dedurre l’esistenza di un canale comunicativo tra le parti. Se l’approccio è corretto, è da escludere che si possa configurare un [continua ..]


7. La notifica non a mani proprie: quale certezza della conoscenza?

Chiarito come debbano essere interpretati gli indici di conoscenza, lo sguardo si sposta sul sistema delle notificazioni all’imputato dell’atto di vocatio in ius in forma diversa dalla consegna brevi manu: snodo critico rispetto al quale vi era il rischio di riportare in vita la vecchia “contumacia”, per la quale era sufficiente l’accertamento sulla regolarità formale della notificazione in ossequio alle scansioni codicistiche [67]. Ma la Corte di legittimità, anche in questo ambito, soppesando gli interessi in gioco, valorizza il ruolo del giudice nelle dinamiche dell’accertamento in senso sostanziale delle notifiche. Sullo sfondo il riconoscimento del valore che assume la conoscenza effettiva del processo. Le previsioni legali raffigurate all’art. 420-bis, comma 2, c.p.p., dovrebbero infatti facilitare il decidente in questo accertamento, nei casi in cui la notifica, purché regolare, sia stata effettuata in forma diversa da quella a mani proprie, ma adeguata a garantire la conoscenza: tali sono quelle delineate dall’art. 157 c.p.p., sino al comma 7 – con esclusione del deposito presso la casa comunale – ovvero quelle presso il domicilio eletto, purché sia “effettivo” o, ancora, presso il difensore di fiducia secondo le varie disposizioni di legge, inclusa quella relativa al latitante. In questo caso, in ragione della stretta relazione intercorrente tra l’imputato e colui che, per esso, ha ricevuto l’atto, è ragionevole ritenere che il primo ne sia venuto a conoscenza. L’assunto di partenza è che la notifica a persona diversa sia stata regolare: così, se l’imputato risulti sloggiato dal domicilio eletto non si potrà procedere in assenza nel caso di notifica quale irreperibile o presso la casa comunale; ancora, risultare irreperibile non consentirà che la pur valida notifica ai sensi dell’art. 161, comma 4, c.p.p., possa prevalere sul dato sostanziale della non conoscenza; allo stesso modo l’avere nominato un difensore di fiducia che poi abbia rinunciato o sia stato revocato. I giudici ritengono opportuno fare ulteriori precisazioni, muovendo dal distinguo, rintracciabile nel sistema delle notificazioni, tra notifica possibile – tale da rendere l’atto conoscibile alla parte – e notifica “impossibile”: quest’ultima, pur formalmente aderente al [continua ..]


8. La sottrazione volontaria agli atti del processo

In chiusura del suo argomentare, la Corte non manca di dedicare un accenno alla clausola generale, contenuta al medesimo art. 420-bis, comma 2, c.p.p., che, in difesa del sistema dai “finti inconsapevoli”, permette di dichiarare l’assenza nei casi di “volontaria sottrazione” alla conoscenza del procedimento o di atti dello stesso. La mancanza di una specificazione normativa consente ai giudici di aprire alle garanzie. Si esclude pertanto che vi si possano fare rientrare automaticamente situazioni quali l’irre­pe­ribilità, il domicilio eletto: anche in questo caso – sembrano volere dire i giudici – occorre restituire spazi di discrezionalità all’organo decidente così che possa valutare, senza rigidi automatismi, ma con le ordinarie cautele del ragionamento indiziario, l’effettiva sottrazione alla conoscenza [74]. In questa linea, si spiega perché la manifesta mancanza di diligenza informativa o, finanche l’indicazione di un domicilio falso, potranno essere oggetto di valutazione in concreto, ma giammai determinanti sul piano astratto. Esasperare la mancata diligenza al punto da trasformarla, secondo un automatismo, nella volontà di evitare la conoscenza degli atti, significherebbe regredire alle vecchie presunzioni, di dubbia compatibilità convenzionale. L’impostazione recepita in sentenza, frutto di un armonioso dialogo tra Corti, scongiura il rischio di aprire le maglie ad un nuovo contenzioso europeo in un ambito, da sempre, sotto speciale osservazione da parte della Corte di Strasburgo. Spetta adesso ai giudici di merito recepire le indicazioni dell’organo di legittimità: l’auspicio è che ne facciano una corretta applicazione, privilegiando sempre l’effettività della conoscenza del processo prima di potere considerare l’imputato “assente”, situazione che se non costituisce frutto di una libera scelta potrà avere dei contraccolpi significativi sul diritto di difesa. Ciò nell’attesa che il legislatore rimetta mano alla disciplina sulle notificazioni [75].


NOTE