Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La “illusione” del sistema accusatorio: tre stagioni di crisi (di Angelo Zampaglione, Ricercatore di Procedura penale – Università di Cassino e del Lazio Meridionale)


L’autore analizza alcuni aspetti critici che hanno portato progressivamente al declino del processo accusatorio o, forse, che attestano la dimensione illusoria del medesimo.

The “illusion” of the accusatory system: 3 seasons of crisis

The author analyzes some of critical aspects that have progressively led to the decline of the accusatory process or, perhaps, which attest its illusionistic dimension.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La stagione inquisitoria (1992-1998): la cedevolezza del principio del contraddittorio - 3. La stagione dell’efficientismo processuale: il ridimensionamento dell’immediatezza ad opera della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite - 4. La stagione dell’emergenza: dal dibattimento a distanza alla smaterializzazione del processo - 5. L’illusione del sistema accusatorio - NOTE


1. Premessa

Il carattere personalistico della Costituzione, che colloca i diritti inviolabili della persona al centro dell’ordinamento giuridico, ha fortemente influenzato le declinazioni dei rapporti tra Autorità e libertà. Questo cambiamento epocale non poteva non avere un forte impatto anche sul processo penale, considerato da sempre «il luogo istituzionale più sensibile al mutare dei rapporti tra Autorità e libertà» [1]. Ciò ha inevitabilmente reso inadeguato il vecchio codice rispetto alla nuova tavola di valori consacrata nelle scelte dell’Assemblea costituente e, conseguentemente, si è avvertita la necessità di approvare un nuovo e profondamente diverso codice di rito penale [2]. Ad accompagnare la gestazione ed il parto del nuovo codice, alcuni significativi slogan come “la pro­va si forma in dibattimento” o, ancora, “le indagini sono una fase che non conta e non pesa”. Sulla scorta di tale paradigma e nella ferma convinzione [3] che il dibattimento sarebbe stato il luogo dove far valere il sistema di garanzie sovraordinate, si è finito per lasciare sostanzialmente sguarnita da regole e garanzie la fase delle indagini preliminari [4]. La scelta di fondo effettuata dal legislatore, al momento del varo del nuovo codice, è stata infatti quella di fondare il nuovo corpus di norme sul principio della separazione delle fasi [5], designando il dibattimento a “luogo naturale di formazione della prova” [6]. Una sede prioritaria per la elaborazione della prova, in particolare della prova dichiarativa, con tendenziale inutilizzabilità ai fini della decisione degli elementi acquisiti altrove [7]. Prima del dibattimento gli elementi di prova sono elementi di conoscenza che aspettano ancora la verifica dibattimentale per poter assumere qualche significato ai fini dell’affermazione della responsabilità [8]. Anche sul piano “scenografico” il dibattimento rappresenta indubbiamente la fase più interessante dell’intero processo, non foss’altro perché in esso trovano la massima estrinsecazione i caratteri tipici del «duello» giudiziario, nel quale il continuo confronto dialettico tra le parti davanti al giudice terzo ed imparziale, trova modo di manifestarsi nel contesto di una solennità di forme [continua ..]


2. La stagione inquisitoria (1992-1998): la cedevolezza del principio del contraddittorio

I primi segni del declino del processo accusatorio [16] non sono tardati ad arrivare, anzi, si sono manifestati, e pure con forza, già nei primi anni dalla entrata in vigore del nuovo codice [17], quando, al fine di contrastare due gravi emergenze criminali – quella della criminalità organizzata (mafia) e quella della criminalità economica (Tangentopoli) – l’impermeabilità della prova dibattimentale, rispetto alle acquisizioni dichiarative raccolte nel corso delle indagini, veniva decisamente ridimensionata da alcune pronunce di incostituzionalità, relative agli artt. 195 c.p.p. (n. 24 del 1992), 500 c.p.p. (n. 255 del 1992) e 513 c.p.p. (n. 254 del 1992). In particolare, della pronuncia n. 255 del 1992 [18] restano indelebili: 1) l’affermazione che «il fine primario ed ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità»; 2) il riferimento al «principio di non dispersione dei mezzi di prova». Il colpo di grazia all’impermeabilità della prova dibattimentale veniva, poi, inferto dalla pronuncia [19] di illegittimità costituzionale dell’art. 513 c.p.p., che, attraverso il meccanismo delle letture, aveva favorito l’acquisizione dei verbali redatti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria a discapito della formazione della prova in dibattimento e nel contraddittorio tra le parti. Potremmo dire che vi è stata una bulimia conoscitiva in forza della quale contava il risultato e non il “come” ad esso si perveniva, sfociata in una vera e propria risposta giudiziaria al potere legislativo; di lì, poi, l’inevitabile braccio di ferro tra Parlamento e Corte costituzionale, ove il primo intendeva tutelare il principio del contraddittorio nella formazione della prova mentre la seconda salvare i processi, facendo prevalere l’esigenza di non dispersione della prova. La Corte, facendo leva su un “più che discutibile” principio di non dispersione dei mezzi di prova, aveva finito col prospettare un sistema in piena controtendenza con le scelte ideologiche contenute nella legge delega. Unico rimedio per superare quella situazione di empasse, quello di intervenire sul testo dell’art. 111 Cost. proclamando espressamente, in tutte le sue possibili sfaccettature, il principio del [continua ..]


3. La stagione dell’efficientismo processuale: il ridimensionamento dell’immediatezza ad opera della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite

Un ulteriore significativo colpo all’ossatura portante del nostro codice è stato inferto, proprio di recente, dalla Corte costituzionale [25] e dalle Sezioni unite [26], con dei dicta i quali hanno stravolto i solidi equilibri che si erano venuti a creare nel tempo tra la “mutazione” del giudice e la rinnovazione della prova dichiarativa già assunta, recidendo una «relazione (un tempo virtuosa) tradizionalmente ancorata o comunque funzionalmente strumentale alla realizzazione del fondamentale principio di immediatezza» [27]. Le pronunce delle due richiamate Corti hanno, infatti, rianimato una discussione che sembrava ormai sopita dopo i plurimi interventi della Consulta [28], volti alla piena affermazione del diritto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale quale logica conseguenza del principio di immediatezza. In particolare, nella ordinanza n. 205 del 2010, la Corte aveva chiarito come la ratio giustificatrice della rinnovazione della prova non fosse rinvenibile in una presunta incompletezza o inadeguatezza della originaria escussione, ma si fondasse sulla opportunità di mantenere un diverso e diretto rapporto tra giudice e prova, particolarmente quella dichiarativa, non garantito dalla semplice lettura dei verbali: vale a dire dalla diretta percezione, da parte del giudice deliberante, della prova stessa nel momento della sua formazione, così da poterne cogliere tutti i connotati espressivi, anche quelli di carattere non verbale, particolarmente prodotti dal metodo dialettico dell’esame e del controesame. Nella nuova pronuncia, invece, la Corte ha avvertito la necessità di evidenziare la «incongruità dell’attuale disciplina, così come interpretata dal diritto vivente», e ha rivolto un monito al legislatore di rimodulare il principio di immediatezza, esortandolo a trovare una soluzione in grado di assicurare la piena tutela del diritto di difesa dell’imputato [29]. In una necessaria prospettiva di sintesi, i giudici costituzionali, pur riconoscendo il valore dei principi di oralità e immediatezza nel modello tratteggiato dal codice di rito, hanno rilevato che «l’e­spe­rien­za maturata in trent’anni di vita del vigente codice di procedura penale restituisce [] una realtà assai lontana dal modello ideale immaginato dal legislatore. [continua ..]


4. La stagione dell’emergenza: dal dibattimento a distanza alla smaterializzazione del processo

Un ulteriore attacco ai canoni del sistema accusatorio è stato inferto con la smaterializzazione del processo e, prima ancora, con la partecipazione dell’imputato a distanza attraverso un sistema di collegamento audiovisivo. Ma procediamo con ordine. La partecipazione dell’imputato a distanza è stata introdotta dall’art. 2 della l. 7 gennaio 2008, n. 11, che ha aggiunto l’art. 146-bis all’interno delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale [38]. A voler esser precisi, l’impiego di tecnologie di videoconferenza nel processo penale risaliva a circa sedici anni prima quando per effetto dell’art. 7, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, era stato introdotto l’art. 147-bis disp. att. c.p.p. con cui veniva disposto che nei confronti delle persone ammesse, in base alla legge, a programmi o misure di protezione, l’esame in dibattimento si svolgesse con le necessarie cautele volte alla tutela della persona e, qualora disponibili adeguati mezzi tecnici, a distanza. Estesa anche all’imputato la possibilità di una sua partecipazione a distanza, si era tuttavia avvertita la delicatezza che una “smaterializzazione” della sua presenza nel dibattimento avrebbe comportato. Inizialmente, il legislatore aveva previsto che tale particolare modalità di partecipazione al processo avrebbe potuto avere luogo solo quando si fosse proceduto per taluno dei delitti indicati nell’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. nei confronti di persona a qualsiasi titolo in stato di detenzione in carcere. Salvo che per il caso in cui, nei confronti dell’imputato detenuto, fosse stata disposta l’applicazione delle misure di cui all’art. 41-bis (l. 26 luglio 1975, n. 354), per il quale la partecipazione a distanza (a partire dalle modifiche apportate dal d.l. 24 novembre 2000, n. 341) costituiva la regola, nelle altre ipotesi la partecipazione tramite videoconferenza a distanza era prevista a condizione che ricorressero alcune condizioni. Essa, infatti, poteva essere discrezionalmente disposta dal giudice, qualora fossero state ravvisate gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico; qualora il dibattimento fosse stato di particolari complessità e la partecipazione a distanza fosse risultata necessaria ad evitare ritardi nel suo svolgimento, anche in ragione del fatto che nei confronti dello stesso imputato fossero [continua ..]


5. L’illusione del sistema accusatorio

Per comprendere le radici del declino del processo accusatorio, occorre partire da lontano e, precisamente, dall’atteggiamento refrattario mostrato dalla magistratura verso il nuovo ed attuale modello di processo penale. Fin dall’inizio, infatti, una buona parte della classe della magistratura, ancora fortemente imbevuta dei canoni del vecchio sistema, si è mostrata poco incline verso i nuovi meccanismi di garanzia, spesso vissuti con malcelata insofferenza. I segni che il mondo togato non appartenesse all’area dei sostenitori della riforma si sono percepiti col tentativo (pur fallito) di farne slittare l’entrata in vigore ma la vera levata di scudi si è realizzata in quel fatidico 1992 che ha segnato l’inizio del declino del neonato sistema codicistico, e, probabilmente, disvelato l’illusione del sistema a vocazione accusatoria. Sono bastati soli tre anni alla magistratura ordinaria, spalleggiata dalla Corte costituzionale, per opporsi al nuovo sistema processuale e sferrare una vera e propria controriforma, messa a punto attraverso interpretazioni giurisprudenziali volte a limitare la portata garantistica offerta dal nuovo corpus di norme [49]. Una offensiva diretta a colpire il meccanismo di formazione e valutazione della prova, eludendo il principio della separazione delle fasi ed elevando a principio essenziale quello di “non dispersione della prova” [50]. In un primo momento, le stragi di mafia e la stagione della Tangentopoli hanno impedito il ripristino dei meccanismi su cui era stato costruito il nuovo codice di procedura penale; anzi, l’incedere di tali forme di criminalità ha costretto il legislatore ad assestare il colpo di grazia al nuovo sistema, con la emanazione del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, attraverso il quale hanno fatto ingresso nel nostro codice il doppio binario probatorio di cui all’art. 190-bis c.p.p. ed il meccanismo di acquisizione delle sentenze irrevocabili di cui all’art. 238-bis c.p.p. [51]. Poi, con la riforma dell’art. 111 Cost., da un lato, è stato rivalorizzato il principio della separazione delle fasi attraverso l’affermazione delle molteplici sfaccettature del contraddittorio [52] ma, dall’altro, come già anticipato, si è finito col creare una confusione sulla esatta portata dei principi di oralità, contraddittorio e immediatezza e sulla [continua ..]


NOTE
Fascicolo 6 - 2020