Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La disciplina intertemporale sull´uso del captatore informatico ai fini dell´intercettazione di comunicazioni tra presenti (di Mauro Trogu, Dottore di ricerca in Diritto processuale penale interno, internazionale e comparato – Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”)


Nel 2017 il legislatore italiano ha apportato alcune modifiche alla disciplina delle intercettazioni di comunicazioni prevista dal codice di procedura penale. Tra queste merita di essere segnalata l’introduzione della prima regolamentazione sul captatore informatico ai fini delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti, la cui applicabilità però è stata via via differita nel tempo. La nuova disciplina (che nel mentre il legislatore ha già modificato) si innesta su un contesto giurisprudenziale criticato da buona parte della dottrina, e pone problemi in ordine alla corretta individuazione delle norme applicabili prima della data fissata per la piena efficacia delle nuove disposizioni.

The intertemporal regulation on the use of malware for the interception of communications between those present

In 2017, the Italian legislator made some changes to the regulation of interception of communications provided for by the code of criminal procedure. Among these, it is worth mentioning the introduction of the first regulation of the use of malware for the purpose of interception of communications face to face, whose applicability, however, has been gradually deferred over time. The new regulation (which in the meantime the legislator has already modified) meet a jurisprudential context criticized by a large part of the academia, and poses problems regarding the correct identification of the applicable rules before the date set for the full effectiveness of the new provisions.

SOMMARIO:

1. L’evoluzione del quadro normativo - 2. La disciplina transitoria inerente l’uso del captatore informatico per le intercettazioni tra presenti nelle indagini su reati comuni - 3. La disciplina transitoria delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti con l’uso del captatore informatico nelle indagini per reati di criminalità organizzata - 4. La disciplina transitoria sull’uso del captatore informatico per le intercettazioni ambientali nelle indagini per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione - 5. I rapporti tra il diritto vivente e la riforma legislativa - 6. Riserva di legge e riserva di giurisdizione, ovvero del perché l’orientamento Scurato non può convivere con la riforma delle intercettazioni - 7. Successione di leggi nel tempo e individuazione delle norme applicabili - 8. Considerazioni conclusive - NOTE


1. L’evoluzione del quadro normativo

Ripercorrere la tortuosa via seguita dal legislatore per modificare il regime delle intercettazioni di comunicazioni, fino a imbattersi nel problema oggetto del presente scritto è un’esperienza che disorienta l’interprete, un esempio di come non si debba legiferare. Come noto, dopo oltre un decennio di tentennamenti e disegni di legge caduti sotto il fuoco incrociato di parti politiche avverse, di magistrati, avvocati e giornalisti, all’esito di una gestazione durata circa tre anni hanno acquistato piena efficacia le norme che modificano le disposizioni codicistiche sulle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni telefoniche e telematiche. In questa sede l’analisi sarà limitata alle disposizioni che stabiliscono da quale momento debba ritenersi consentito l’uso del captatore informatico ai fini delle intercettazioni ambientali e domiciliari. Tutto ha avuto inizio con la l. 23 giugno 2017, n. 103, il cui art. 1, comma 82 [1], delegava il Governo ad apportare modifiche, tra l’altro, alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni [2], delega attuata dall’esecutivo con il d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216. Per quel che qui interessa, l’art. 4, comma 1, d.lgs. n. 216/2017 [3], intervenendo sull’art. 266 c.p.p., introduceva la possibilità di eseguire le intercettazioni di comunicazioni tra presenti “anche mediante l’in­se­rimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile”, precisando che “l’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile è sempre consentita nei procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater”. Da parte sua l’art. 6 del medesimo decreto legislativo [4] introduceva una disciplina speciale applicabile nei procedimenti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, prevedendo che in quelli “si applicano le disposizioni di cui all’articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203”. Il comma secondo del medesimo articolo precisava che l’intercettazione di comunicazioni tra presenti nel domicilio “non può essere eseguita mediante l’inserimento di un captatore informatico su [continua ..]


2. La disciplina transitoria inerente l’uso del captatore informatico per le intercettazioni tra presenti nelle indagini su reati comuni

L’art. 4, comma 1, d.lgs. n. 216/2017 ha introdotto la possibilità di eseguire le intercettazioni di comunicazioni tra presenti al di fuori del domicilio “anche mediante l’inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile” per indagare tutti i reati di cui all’art. 266, comma 1, c.p.p. Si tratta di una disposizione divenuta applicabile dal primo giorno di settembre 2020, a seguito dei plurimi interventi procrastinatori sopra elencati. In questi casi il giudice, a norma dell’art. 267, comma 1, c.p.p. come modificato dall’art. 4 d.lgs. n. 216/2017, dovrà emanare un decreto autorizzativo che indichi le ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini, nonché i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono. Nel domicilio questa modalità di intercettazione, al pari di quelle tradizionali, sarà ammissibile solo se vi sia fondato motivo di ritenere che ivi si svolga l’attività criminosa. Il nuovo regime si applica ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020 [8]. Si tratta di un regime intertemporale sufficientemente chiaro, che non pone particolari problemi all’interprete (salve le criticità riportate nella nota 8) [9].


3. La disciplina transitoria delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti con l’uso del captatore informatico nelle indagini per reati di criminalità organizzata

Leggendo da una parte le nuove disposizioni di rango legislativo e dall’altra parte le soluzioni offerte dalla Corte di cassazione in alcuni provvedimenti giurisdizionali [10] e in uno studio dell’Ufficio del Massimario [11] sul tema in oggetto, pare che legislatore e Corte di legittimità fingano di ignorare l’uno ciò che fa l’altro. In questo paragrafo ci si soffermerà soltanto sul significato da dare al testo normativo dettato dal legislatore, mentre più avanti si cercherà da chiarire se e in quale misura gli orientamenti attualmente accolti dalla Corte di cassazione possano indurre a conclusioni diverse da quelle qui proposte. Tra le poche disposizioni del d.lgs. n. 216/2017 che non hanno subito modificazioni ci sono le lett. a) e b) dell’art. 4, comma 1, d.lgs. n. 216/2017. La lett. a) ha introdotto la prima parte del comma 2-bis dell’art. 266 c.p.p., prevedendo che nei procedimenti per reati di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. l’intercettazione ambientale mediante l’uso del captatore informatico sia sempre consentita: l’avverbio “sempre” indica che tale intercettazione è ammessa anche nel domicilio, a prescindere che ivi si svolga l’attività criminosa. La lettera b) ha invece interpolato l’art. 267, comma 1, c.p.p., prevedendo che “il decreto che autorizza l’intercettazione tra presenti mediante inserimento di un captatore informatico su dispositivo elettronico portatile indica le ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini”. In ragione del rinvio dell’applicabilità dell’art. 4 d.lgs. n. 216/2017, prevista dall’art. 9 del medesimo decreto legislativo, non paiono esservi dubbi che le intercettazioni ambientali e domiciliari mediante captatore informatico non possano essere disposte nei procedimenti per reati di criminalità organizzata iscritti entro il 31 agosto 2020. Ma la validità di questa conclusione, come detto, deve essere verificata alla luce di un recente ma consolidato orientamento giurisprudenziale.


4. La disciplina transitoria sull’uso del captatore informatico per le intercettazioni ambientali nelle indagini per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione

L’art. 6 d.lgs. n. 216/2017 nella versione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’11 gennaio 2018, n. 8 è stato in vigore dal 26 gennaio 2018, scadenza del normale termine di vacatio legis, fino al 30 gennaio 2019, data in cui sono entrate in vigore le modifiche ad esso apportate con la l. n. 3/2019. Il primo comma, mai modificato, prevede che nei procedimenti per i più gravi delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione si applichino le disposizioni di cui all’art. 13 d.l. n. 152/1991. Al secondo comma inizialmente veniva espressamente escluso che l’intercettazione di conversazioni tra presenti nel domicilio potesse essere eseguita mediante l’inserimento di un captatore informatico su dispositivo elettronico portatile qualora non vi fosse motivo di ritenere che ivi si stesse svolgendo l’attività criminosa (contenuto vincolato dalla legge delega, quindi insuperabile da parte del Governo). Poiché l’art. 6 d.lgs. n. 216/2017 non è stato sottoposto al differimento di applicabilità stabilito dall’art. 9 del medesimo decreto, occorre capire se fin dal momento della sua vigenza potessero disporsi intercettazioni tra presenti mediante il captatore informatico per i reati in oggetto. Se ci si sofferma sul dato testuale e sulla lettura sistematica del d.lgs. n. 216/2017, la risposta deve essere negativa. Con l’art. 4 d.lgs. n. 216/2017 il legislatore ha soddisfatto per la prima volta la riserva di legge, imposta dall’art. 15 Cost., rendendo legittimo l’uso del captatore informatico quale nuovo modo di intercettare. Rendere applicabile l' art. 13 d.l. n. 152/1991 ai reati contro la pubblica amministrazione come previsto dall’art. 6 d.lgs. n. 216/2017 implica “solo” un allentamento dei presupposti (qualità degli indizi e utilità per le indagini, non necessità dell’attività criminosa in atto per intercettare nel domicilio) e una diversa regolamentazione della durata (40 giorni anziché 15) delle operazioni [12], ma nulla aggiunge sui modi dell’intercettazione. Vero è che la deroga dettata nel secondo comma dell’art. 6 d.lgs. n. 216/2017 sul regime delle intercettazioni domiciliari aveva una portata ambigua, ma ogni dubbio pare dipanarsi a far data dal 31 gennaio 2019, quando è entrata in vigore la l. n. 3/2019, che ha [continua ..]


5. I rapporti tra il diritto vivente e la riforma legislativa

È noto che nel 2016 le Sezioni unite penali della Corte di cassazione, con la contestatissima sentenza Scurato [17], hanno affermato il principio di diritto per il quale “l’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante l’installazione di un captatore informatico in un dispositivo elettronico è consentita nei soli procedimenti per delitti di criminalità organizzata per i quali trova applicazione la disciplina di cui all’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, che consente la captazione anche nei luoghi di privata dimora, senza necessità di preventiva individuazione ed indicazione di tali luoghi e prescindendo dalla dimostrazione che siano sedi di attività criminosa in atto” [18]. Quindi, secondo la Corte di cassazione, l’art. 13 d.l. n. 152/1991 sarebbe sufficiente a garantire il rispetto della riserva di legge imposta dall’art. 15 Cost. con riferimento al nuovo strumento di intercettazione. Questo orientamento è stato confermato da alcune sentenze delle sezioni semplici [19]. La dottrina si è quasi unanimemente schierata contro tale soluzione ermeneutica, lamentando in particolar modo proprio la violazione della riserva di legge in ordine all’indicazione dei casi e dei modi in cui possa utilizzarsi il captatore informatico [20]. A oltre un anno di distanza da quella sentenza il legislatore ha introdotto una disarticolata serie di modifiche al codice di procedura penale sotto l’insegna della “Riforma Orlando”, che ha come caratteristica particolarmente biasimevole quella di aver fatto assurgere al rango di diritto positivo interpretazioni giurisprudenziali spesso non condivise dalla dottrina, “quasi a manifestare una complimentosa sudditanza dei compilatori verso le prassi giudiziarie”, che esprime la “tendenza a porre il sigillo legislativo sulle esegesi della giurisprudenza meno inclini alla tutela dei diritti individuali” [21]. In una recente relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione [22] si dà per implicito che ciò sia accaduto anche in materia di captatore informatico, posto che non una parola è stata spesa sui rapporti tra gli artt. 4 e 6 del d.lgs. n. 216/2017, ritenendosi scontato che, fino a che non poteva applicarsi il nuovo comma 2-bis dell’art. 266 c.p.p., la [continua ..]


6. Riserva di legge e riserva di giurisdizione, ovvero del perché l’orientamento Scurato non può convivere con la riforma delle intercettazioni

A dispetto di quanto appena riportato, una lettura complessiva delle disposizioni che dal primo settembre 2020 regolano l’uso del captatore informatico per eseguire le intercettazioni di conversazioni tra presenti porta ad escludere che il legislatore abbia codificato le regole create dalla giurisprudenza [26] consentendo che queste sopravvivessero fino al momento in cui le nuove disposizioni codicistiche hanno trovato applicazione. Ed invero, nonostante la filosofia della riforma Orlando, nonostante la volontà del legislatore del “penale-spazza” [27] e grazie ad un'evidente eterogenesi dei fini, oggi la legge detta disposizioni incompatibili con l’impostazione di fondo della sentenza Scurato, consentendo di affermare che le intercettazioni di conversazioni tra presenti mediante l’uso del captatore informatico sono possibili solo nei procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020, anche per i reati specificamente indicati dall’art. 266, comma 2-bis, c.p.p., non potendo trovare ulteriore spazio l’interpretazione largamente estensiva fatta dell’art. 13 d.l. n. 152/1991 dalla giurisprudenza [28]. La soluzione contraria apparirebbe oltremodo irragionevole sotto diversi profili. Il primo attiene alla riserva di legge [29]. Secondo la sentenza Scurato la garanzia prevista dall’art. 15 Cost. sarebbe soddisfatta dall’art. 13 d.l. n. 15/1991 perché “all’atto di autorizzare una intercettazione da effettuarsi a mezzo di captatore informatico installato su di un apparecchio portatile, il giudice non può prevedere e predeterminare i luoghi di privata dimora nei quali il dispositivo elettronico (smartphone, tablet, computer) verrà introdotto, con conseguente impossibilità di effettuare un adeguato controllo circa l’effettivo rispetto della normativa che legittima, circoscrivendole, le intercettazioni domiciliari di tipo tradizionale”. Pertanto l’art. 13 in questione, consentendo sempre le intercettazioni domiciliari, fornirebbe una adeguata copertura legale all’uso del captatore informatico. Questo presupposto è smentito testualmente dai nuovi artt. 266, comma 2, e 267, comma 1, c.p.p., secondo i quali le intercettazioni di conversazioni tra presenti con l’uso del captatore possono essere disposte per tutti i reati di cui all’art. 266, comma 1, c.p.p., a condizione che [continua ..]


7. Successione di leggi nel tempo e individuazione delle norme applicabili

Il rischio, paradossale, è che il riferimento ai principi generali del nostro ordinamento costituzionale – troppo spesso piegati alle esigenze contingenti di salvare ogni attività giudiziaria e investigativa illegittima – non sia sufficiente a scongiurare che le attività mediante captatore informatico compiute dal 26 gennaio 2018 (data di entrata in vigore dell’art. 9 d.lgs. n. 216/2017) al 31 agosto 2020 vengano ritenute valide sulla base della sentenza Scurato [37]. Ed invero, troppo spesso si assiste a letture distorsive anche delle più chiare regole generali, con la creazione di distinguo ed eccezioni non previste dal testo normativo (e non prevedibili se si maneggia quest’ultimo con i normali strumenti ermeneutici). Vi è però una regola ermeneutica, forse la più nota di tutte, che conduce ad una conclusione difficilmente contestabile, ed la regola secondo la quale la norma successiva abroga la norma precedente che con essa sia in contrasto. Ammesso e non concesso che l’art. 13 d.l. n. 152/1991 consentisse l’uso del captatore informatico per indagare sui reati di criminalità organizzata, l’art. 4 d.lgs. n. 216/2017, disciplinando la stessa materia, l’ha abrogato: si parla in questi casi di abrogazione implicita, che si verifica con l’entrata in vigore della fonte legislativa, quindi dal 26 gennaio 2018, a nulla rilevando che l’applicabilità di alcune disposizioni abroganti sia stata differita nel tempo. Infatti una cosa è la vigenza della legge, ossia la sua idoneità a produrre modificazioni nell’ordinamento, altra cosa è l’applicabilità di un istituto introdotto da una legge in un dato momento storico: “la norma diventa efficace quando la disposizione da cui è tratta entra in vigore (o meglio, quando entra in vigore l’atto che contiene quella disposizione, e quindi dopo la pubblicazione di esso e trascorsa la vacatio legis) [38]“. La semplice entrata in vigore della legge successiva determina quindi l’abrogazione della legge precedente. La formulazione dell’art. 9 d.lgs. n. 216/2017 è chiarissima: essa non posticipa l’entrata in vigore del decreto, ma prevede l’applicazione di taluni articoli solo alle operazioni di intercettazione autorizzate (prima versione) e ai procedimenti penali iscritti (seconda [continua ..]


8. Considerazioni conclusive

Le sentenze delle sezioni unite penali e civili che hanno deciso i casi Scurato e Palamara sono espressione di una cultura della giurisdizione penale intesa in funzione squisitamente repressiva: il modello a cui pare ispirarsi il giudice penale italiano è quello di un giudice chiamato a punire persone e fatti prima che a iuris dicere [39]. Lo sforzo argomentativo in cui si spendono le sezioni unite in entrambi i casi sono emblematiche di come nell’ordinamento italiano talune volte le cose vadano al contrario rispetto a come dovrebbero. La riserva di legge vuole che i pubblici poteri limitino le libertà fondamentali solo nei casi e nei modi previsti dalla fonte democratica per eccellenza, eppure non di rado capita, come nei casi in esame, che i pubblici poteri prima limitino una libertà fondamentale e, solo dopo, si pongano il problema di trovare una disposizione di legge che autorizzi detta limitazione. Quando questa non si trova, perché non esiste, non si disdegna di crearla con pindarici voli ermeneutici. Non si tratta certo di un approdo che potesse dirsi scontato, almeno se si rileggono alcune storiche sentenze delle sezioni unite penali [40], che hanno più volte rimarcato la necessità di garantire la tutela dei principi costituzionali nel procedimento probatorio. Una prima importante affermazione di principio la si trova nella sentenza Sala [41] del 1996, secondo la quale rientrano nella categoria delle prove sanzionate dall’inutilizzabilità anche le prove formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati dalla legge, ed, a maggior ragione, quindi, quelle acquisite in violazione dei diritti tutelati in modo specifico dalla Costituzione, perché l’antigiuridicità di prove così formate od acquisite attiene alla lesione di diritti fondamentali, riconosciuti cioè come intangibili dalla Costituzione (soluzione poi amaramente contraddetta nella decisione finale [42]). La sentenza Sala, come è noto, si occupava del problema delle perquisizioni eseguite in violazione degli artt. 13 e 14 Cost., ma lo stesso principio venne riaffermato anche in materia di tabulati telefonici dalle sentenze Gallieri [43] del 1998 e D’Amuri [44] del 2000. Nel 2006, con la sentenza Prisco [45] si riconosceva che, se il sistema processuale deve avere una sua [continua ..]


NOTE
Fascicolo 5 - 2020