Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La riforma dei reati tributari: profili processuali. Sfatato il tabù del processo agli enti (di Giuseppe Biscardi, Ricercatore di procedura penale – Università degli Studi di Roma Tor Vergata)


L’inclusione dei delitti di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, all’interno del catalogo dei reati – presupposto per la responsabilità degli enti, è spesso vista quale approdo fisiologico – e persino tardivo – del principio per cui societas delinquere potest. In realtà, tale affermazione va necessariamente contestualizzata. Alla luce della strutturazione delle fattispecie sostanziali, nonché dell’immedesimazione organica tra soggetto metaindividuale e persona fisica che lo rappresenta, è rinvenibile un automatismo di fatto tra condanna di quest’ultima ed affermazione di responsabilità dell’ente; con intuibili conseguenze in punto di pregiudizio delle concrete possibilità difensive di quest’ultimo. Inoltre, la gravità delle pene comminabili, correlata alla severità delle sanzioni amministrative tributarie pure irrogabili in relazione allo stesso fatto, pone seri problemi di compatibilità tra la disciplina interna ed il ne bis in idem processuale e sostanziale scolpito nelle fonti sovranazionali, nonostante recenti orientamenti della Corte EDU volti ad un’inter­pretazione “compromissoria” tra la legislazione statuale e la normativa convenzionale.

Judicial profiles of the tax crime reform. The once-upon-a-time taboo of trials to body corporates is debunked

The crimes included in the legislative decree n. 74 of March 10th 2020 lead to a body corporate responsibility that is of tenseen as a remedy – even a late one – to the principle societas delinquere potest. Yet, such an assumption has to be readaccording to the context.

de facto link between a person condemnation and a body corporate responsibilty derives from the crime layout sand the overlapping between person and body; with all the consequences related to the lack of actual defense for the latter. Moreover, the seriousness of punishments and sanctions related to the same facts leads to a number of issues concerning the compatibility between internal discipline and the ne bis in idem principlee stablished in super-national rules, not with standing the recent decisions of the European Court of Human Rights aiming at finding a compromise between state law and European law.

SOMMARIO:

1. Inasprimento sanzionatorio dei reati tributari: ricadute processuali dirette - 2. (Segue): e indirette - 3. Processo agli enti e delitti tributari: note caratterizzanti - 4. (Segue): e criticità - 5. La prova dell’irresponsabilità, tra wishful thinking e ostacoli oggettivi - 6. Bis in idem processuale tra disciplina interna e (dis)orientamenti europei - NOTE


1. Inasprimento sanzionatorio dei reati tributari: ricadute processuali dirette

La “cifra” del d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, conv. in l. 19 dicembre 2019, n. 157, è costituita dal rafforzamento, in chiave repressiva, delle già severe [1] previsioni di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Le modalità attuative di tale intento sono anzitutto quella, si direbbe “basica”, dell’aumento dei tetti (minimi e massimi) di pena edittale. Così, il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs. n. 74/2000) è punito, a decorrere dal 24 dicembre 2019 [2], con la reclusione da quattro anni (anziché un anno e sei mesi, come previsto nel testo originario del d.lgs. cit.) ad otto anni (anziché sei). Lo stesso è a dirsi per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8 d.lgs. cit.). La fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 d.lgs. cit.), è sanzionata con la reclusione da tre ad otto anni (in luogo degli originari un anno e sei mesi e sei anni). Il reato di dichiarazione infedele (art. 4 d.lgs. cit.) prevede oggi un minimo di due anni ed un massimo di quattro anni e sei mesi di reclusione (anziché un anno e tre anni, come disposto in origine). Il delitto di omessa dichiarazione (art. 5 d.lgs. cit.) vede aumentare la pena minima da uno a due anni di reclusione, e quella massima da quattro a cinque [3]. Sensibile anche l’implemento sanzionatorio in caso di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 d.lgs. cit.): la pena originaria da un anno e sei mesi a sei anni viene innalzata, rispettivamente, a tre ed otto anni. Inoltre, nel caso già menzionato della dichiarazione infedele (art. 4 d.lgs. cit.), è disposta anche la riduzione della cosiddetta soglia di punibilità, che passa da centocinquantamila a centomila euro d’imposta evasa, con ovvio accrescimento delle condotte punibili [4]. L’illustrata riscrittura delle fattispecie sostanziali comporta conseguenze processuali dirette. Per il delitto di omessa dichiarazione (art. 5 d.lgs. n. 74/2000), a seguito della novella sarà possibile il ricorso alla custodia cautelare, attesi l’innalzamento a cinque anni del massimo edittale e la previsione di cui all’art. 280, comma 2, c.p.p. [5]. Si tratta di innovazione di non poco conto; posto che la fattispecie in esame [continua ..]


2. (Segue): e indirette

Le conseguenze processuali non automatiche dell’illustrata riscrittura delle fattispecie sostanziali sono, in quanto tali, meno visibili; ma non per questo meno rilevanti. È evidente, infatti, che il sensibile inasprimento sanzionatorio per i delitti di dichiarazione fraudolenta (artt. 2 e 3 d.lgs. n. 74/2000), ed emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 d.lgs. cit.) [22], renderà meno fruibile il rito differenziato dell’applicazione di pena su richiesta delle parti [23]; rectius, renderà più frequente il ricorso al cosiddetto “patteggiamento allargato” [24]. A ciò dovendosi aggiungere che l’elevata quantificazione delle pene edittali renderà oltremodo ardua la concessione della sospensione condizionale di cui all’art. 163 c.p. [25]; e comunque non infrequente l’«…emissione di ordini di esecuzione non sospesi ex art. 656, comma 5, c.p.p.» [26]. Sempre in tema di patteggiamento, è noto che, già prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 124/2019, conv. in l. n. 157/2019, lo stesso, nell’ambito qui in esame, era connotato da limitata appetibilità; atteso che requisito strutturale per l’accesso al rito alternativo in oggetto è l’estinzione del debito tributario [27], «…comprese sanzioni amministrative e interessi, …mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione…» [28] (art. 13-bis, comma 1, d.lgs. n. 74/2000 [29]). In proposito, occorre segnalare altra importante innovazione apportata dalla legge di conversione, n. 157/2019, del d.l. n. 124/2019. Come noto, in relazione ai delitti di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater d.lgs. n. 74/2000, è prevista una causa sopravvenuta di non punibilità, anch’essa [30] identificata con l’estinzione integrale del debito tributario a norma dell’art. 13, comma 1, d.lgs. cit. La non punibilità è altresì disposta per le fattispecie di dichiarazione infedele (art. 4 d.lgs. cit.) e dichiarazione omessa (art. 5 d.lgs. cit.) [31]. Tuttavia, in queste ultime due ipotesi, per poter beneficiare della sopravvenienza occorrono, in aggiunta all’estinzione integrale del debito tributario, anche il ravvedimento operoso [32], o [continua ..]


3. Processo agli enti e delitti tributari: note caratterizzanti

Come sinora visto, il d.l. n. 124/2019, conv. in l. n. 157/2019, appronta, per gli illeciti tributari in materia di imposte dirette ed IVA a rilevanza penale, un apparato sanzionatorio di tutto rispetto. Che si aggiunge a quanto già previsto dalla normativa vigente sino al 24 dicembre 2019 [43]. Si pensi, in proposito, alle pene accessorie di cui all’art. 12, commi 1 e 2, d.lgs. n. 74/2000 [44]; o alla temibile confisca, anche per equivalente [45], da disporre obbligatoriamente pure in caso di applicazione di pena a richiesta delle parti [46]. Si guardi anche alla disciplina della prescrizione, i cui termini in subiecta materia sono aumentati di un terzo rispetto alle ipotesi ordinarie di cui agli artt. 157, comma 1, e 160 c.p. [47]. A tale ultimo proposito, non può inoltre trascurarsi l’entrata in vigore, a decorrere dal 1° gennaio 2020, dell’art. 1, lett. e), l. 9 gennaio 2019, n. 3, che, in riforma dell’art. 159, comma 2, c.p. [48], ha disposto in sostanza l’im­pre­scrittibilità del reato [49], ossia la sospensione della prescrizione, «dalla pronunzia della sentenza di primo grado [50] o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o del­l’ir­re­vocabilità del decreto di condanna»; con effetti di intuibile prorompenza, ad esempio, per il delitto di dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000, se commesso dopo il 1° gennaio 2020 [51]. Ritornando al d.l. n. 124/2019, conv. in l. n. 157/2019, al di là dei pur robusti interventi, sopra ricordati, in punto di quantum di pena e di (abbassamento delle) soglie di punibilità, non pare dubbio che, nell’ottica di un rafforzamento del quadro repressivo, il vero “salto di qualità” si compia introducendo nel corpus della disciplina di settore due novità di decisiva rilevanza. La prima è la previsione di confisca “allargata”, o “per sproporzione”, di cui all’art. 240-bis c.p., per i delitti di dichiarazione fraudolenta (artt. 2 e 3 d.lgs. n. 74/2000), quando, rispettivamente, l’ammontare delle passività fittizie è superiore a duecentomila euro, e l’imposta evasa supera i centomila euro; per il delitto di emissione di fatture per operazioni [continua ..]


4. (Segue): e criticità

Non di rado [89], l’inclusione dei delitti tributari [90] nel catalogo dei reati-presupposto di cui al d.lgs. n. 231/2001 è stata vista quale approdo fisiologico – e quindi persino tardivo – in relazione agli ambiti elettivi di responsabilità dell’ente. Se societas delinquere potest, non vi è dubbio che il topos di tale “delinquenza” sia costituito proprio dall’evasione tributaria [91]. In tale ottica, l’affermazione ora registrata è in effetti ineccepibile. Ma la stessa regge (molto) meno se contestualizzata: ossia immessa all’interno della specifica disciplina dettata dal legislatore per le violazioni tributarie penalmente illecite. Sebbene il fatto oggetto di giudizio coincida, tanto nel processo all’imputato quanto nel processo all’ente [92], è la concreta manifestazione dell’«interesse», e soprattutto del «vantaggio» [93] – che come visto fondano la responsabilità metaindividuale – a rendere nella sostanza “confusa”, ossia indistinguibile, quest’ultima, rispetto alla responsabilità della persona fisica. In altri termini: accertata questa, non si vede come possa disconoscersi l’altra [94], atteso che la condotta individuale, risolvendosi comunque in un beneficio per l’ente sotto forma di risparmio del tributo dovuto, per ciò solo integra il «vantaggio» [95] che legittima la punibilità di quest’ultimo. D’altra parte, è chiaro che tale conclusione è fortemente sospinta dalla struttura delle fattispecie sostanziali di cui al d.lgs. n. 74/2000, come noto imperniate sulla tutela del gettito erariale, sebbene distinte dalla previsione di modalità fraudolente [96] o meno [97] di realizzazione della condotta. Infatti, a fronte di una diversa configurazione delle norme incriminatrici [98], l’identificazione tra la condotta accertata e gli effetti di quest’ultima sarebbe stata connotata da (molto) minore automatismo. Insomma: non è chi non veda la macroscopica differenza che intercorre tra il caso in esame e, ad esempio, i reati in materia di sicurezza sul lavoro, che pure fungono da presupposto per la responsabilità dell’ente [99]. In quest’ultima ipotesi, l’allestimento di cautele, [continua ..]


5. La prova dell’irresponsabilità, tra wishful thinking e ostacoli oggettivi

In una situazione complessiva già, come visto, piuttosto critica, sembrano emergere due aspetti ulteriormente problematici. Anzitutto, alla difficoltà “strutturale” di dimostrare la non addebitabilità dell’illecito “da reato” [112], si aggiunge, come già in parte segnalato, una difficoltà “settoriale”, ossia propria dei reati tributari come configurati dalla disciplina positiva. Si tratta di questione eminentemente processuale, risolvendosi in un’analisi della ripartizione dell’onere probatorio; a prescindere dalle modalità, più o meno tipizzate, di assolvimento dello stesso [113]. In primo luogo, non pare dubbio che nel processo agli enti sussista una suddivisione dell’onus probandi, viceversa gravante in via esclusiva sul pubblico ministero nel processo a carico della persona fisica. La conclusione contraria, pur supportata da significativa giurisprudenza [114], non sembra condivisibile; quantomeno versus la fattispecie di reato commesso dagli esponenti “apicali” dell’ente [115]. In tale ultimo caso, è anzitutto inequivoca la lettera della legge: «Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’art. 5, comma 1, lett. a), l’ente non risponde se prova… etc» [116]. Ciò posto, è indiscusso – e quindi ininfluente ai fini dimostrativi che qui rilevano – che la parte pubblica debba provare la colpevolezza dell’imputato [117]. È molto opinabile, invece, che su di essa gravi l’onere di dimostrare le carenze organizzative che “trascinano” l’ente nella vicenda processuale: nella sostanza, la cosiddetta colpa d’organizzazione [118]. La circostanza che quest’ultima debba necessariamente sussistere ai fini della punizione dell’ente, che altrimenti sarebbe sanzionato per fatto altrui [119], non vale a mutare le conclusioni cui qui si aderisce: a fronte di colpevolezza della persona fisica, l’ente esce indenne dal processo, si ripete, se prova l’adozione ed efficace attuazione di protocolli operativi idonei a prevenire il [120] reato. In altri termini: la colpa d’organizzazione è presunta, e smentire tale presunzione è onere del soggetto metaindividuale. A condividere tale assunto, non pare negabile la problematica [continua ..]


6. Bis in idem processuale tra disciplina interna e (dis)orientamenti europei

Per i fatti commessi dopo il 24 dicembre 2019 [141], l’ente potrà essere sottoposto a due processi: il primo a norma del d.lgs. n. 231/2001, il secondo dinanzi alle Commissioni Tributarie [142] per le violazioni di cui al d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471. Quest’ultimo, tuttavia, avrà carattere di eventualità: essendo possibile che la sanzione irrogata dall’ufficio finanziario non venga impugnata dal (presunto) trasgressore [143]. Di conseguenza, l’ente sarà passibile di doppia sanzione per lo stesso fatto [144]. Ciò è certo per le società di capitali, a norma dell’art. 7 d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in l. 24 novembre 2003, n. 326 [145]. L’identità del fatto va desunta in base al noto criterio dell’idem storico, e non dell’idem legale, secondo costante orientamento della giurisprudenza sovranazionale [146]; non rilevando, quindi, differenze in punto di elemento soggettivo [147], o di scopo [148] perseguito dalle previsioni sanzionatorie. Il giudizio di identità, pertanto, ha ad oggetto la condotta, eventualmente integrata dall’oggetto fisico su cui incide [149], o al più quest’ultima con l’aggiunta di nesso causale ed evento naturalistico [150]. Se questo è lo “stato dell’arte”, pare davvero arduo negare, nella fattispecie in esame, la sussistenza dell’idem factum: si pensi, ad esempio, all’omessa dichiarazione IVA, sanzionata tanto dall’art. 5 d.lgs. n. 471/1997 che dall’art. 5 d.lgs. n. 74/2000. A meno che la condotta di cui al d.lgs. n. 231/2001 venga ravvisata non nel fatto (reato) che produce responsabilità, ma nell’omissione costituita dalla mancata adozione di misure organizzative idonee a prevenire l’illecito penale. Si tratta di tesi non sostenibile: il “fatto” è il reato che produce conseguenze vantaggiose per l’ente [151]; il modello di cui all’art. 6 d.lgs. cit., rectius la sua predisposizione ed attuazione, è una condotta che, se realizzata pre-delictum, esonera l’ente da responsabilità [152]; se avverantesi post delictum, ha efficacia mitigante quest’ultima, in punto di trattamento sanzionatorio [153]. In sintesi: il fatto rilevante per la responsabilità [continua ..]


NOTE
Fascicolo 5 - 2020